Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.23454 del 26/10/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 5414/2018 R.G. proposto da:

SOLFERINO S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t., S.F., T.L., S.A., S.E. e S.O., rappresentati e difesi dall’Avv. Fabio Brusa, con domicilio eletto in Roma, via Attilio Regolo, n. 12/d, presso lo studio dell’Avv. Zosima Vecchio;

– ricorrenti –

contro

BANCA INTERMOBILIARE DI INVESTIMENTI E GESTIONI S.P.A., in persona del procuratore speciale C.E., rappresentata e difesa dall’Avv. Marco Verdi, con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;

– controricorrente –

e PRELIOS CREDIT SERVICING S.P.A., in persona del procuratore speciale P.M., in qualità di procuratrice della NUOVA FRONTIERA SPV S.R.L., rappresentata e difesa degli avv. Vittorio Ferreri, e Francesco Picone, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via A. Gramsci, n. 22;

– interventrice volontaria –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 1389/17, depositata il 5 luglio 2017.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 10 luglio 2020 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino.

FATTI DI CAUSA

1. La Solferino S.r.l., S.F. e L. convennero in giudizio la Banca Intermobiliare di Investimenti e Gestioni S.p.a., proponendo opposizione al Decreto Ingiuntivo n. 3985 del 2012, emesso il 14 giugno 2012, con cui il Tribunale di Venezia, su ricorso della convenuta, aveva intimato ad essi attori il pagamento della somma di Euro 1.101.200,99, oltre interessi, a titolo di restituzione di una linea di credito dell’importo di Euro 4.000.000,00 accesa in favore della Solferino presso la filiale di ***** e garantita dai S. fino a concorrenza dell’importo di Euro 5.200.000,00.

Premesso che con atto del 18 gennaio 2006 S.F. e la madre T.L. avevano affidato alla BIM Fiduciaria S.p.a. l’amministrazione fiduciaria di attività mobiliari, conferendole l’incarico di sottoscrivere un contratto di gestione individuale di portafogli di investimento con la BIM Intermobiliare SGR, avente ad oggetto la linea di gestione denominata “*****”, e trasferendole successivamente l’importo di Euro 1.918.000,00, esposero che il 24 febbraio 2006 i S. avevano stipulato con la Banca opposta un contratto quadro di negoziazione, custodia ed amministrazione di strumenti finanziari, fornendo le informazioni relative alla loro esperienza in materia d’investimento, alla loro propensione al rischio ed ai loro obiettivi d’investimento, ed ottenendo in data 12 settembre 2008 la concessione di una linea di credito di Euro 3.000.000,00 con scadenza al 15 dicembre 2009, garantita dai S. fino all’importo di Euro 4.420.000,00; l’importo della linea di credito era stato successivamente elevato ad Euro 4.000.000,00 e la scadenza prorogata fino al 15 gennaio 2012; alla fine dell’anno 2011, S.F. aveva tuttavia disposto l’integrale disinvestimento dei titoli, a causa dell’introduzione delle disposizioni relative alla tassazione dei depositi, senza che gli fossero segnalate le ingenti perdite che tale operazione avrebbe determinato, risultate pari ad Euro 876.000,00; dalla relazione trimestrale del mese di gennaio 2012 e dal rendiconto relativo al rapporto intestato al S. ed alla T. erano inoltre emersi un profilo finanziario definito “aggressivo” e la natura speculativa degl’investimenti effettuati. Ciò posto, e precisato che alla metà dello anno 2008 la composizione del portafoglio titoli era costituita per oltre la metà da titoli appartenenti al comparto azionario, i quali avevano fatto successivamente registrare ingenti perdite, a fronte delle quali la Banca aveva suggerito l’acquisto di fondi, in tal modo determinando un incremento della componente azionaria, gli attori sostennero che tali scelte, effettuate senza tener conto della loro bassa propensione al rischio, si ponevano in contrasto con gli obiettivi conservativi che essi si erano proposti, aggiungendo che la Banca aveva omesso di segnalare l’inadeguatezza delle operazioni.

Chiesero pertanto la revoca del decreto ingiuntivo e l’annullamento di tutti gli ordini d’investimento impartiti dal mese di gennaio 2007, con la condanna della Banca alla restituzione della somma di Euro 876.000,00, oltre interessi, e la compensazione di tale credito con quello azionato nel procedimento monitorio.

Si costituì la Banca, e resistette alla domanda, della quale chiese il rigetto, con la condanna degli attori al pagamento della somma di Euro 1.101.200,90, oltre interessi, ovvero, in subordine, al pagamento della somma dovuta, avuto riguardo al concorso degli attori nella produzione del danno.

Il giudizio, dichiarato interrotto per la morte di S.L., fu riassunto dalla Banca nei confronti degli altri opponenti e di T.L., S.A., E. ed O., in qualità di eredi.

1.1. Con sentenza del 4 maggio 2016, il Tribunale di Venezia rigettò l’opposizione.

2. L’impugnazione proposta dalla Solferino, dalla T. e dai S. è stata rigettata dalla Corte d’appello di Venezia con sentenza del 5 luglio 2017.

A fondamento della decisione, la Corte ha innanzitutto escluso l’inammissibilità della domanda riconvenzionale proposta dagli opponenti, osservando che, anche a voler ritenere che la compensazione non potesse costituire oggetto di una domanda riconvenzionale, in quanto fondata su un rapporto diverso da quello fatto valere nel procedimento monitorio, la stessa avrebbe potuto essere fatta valere come eccezione riconvenzionale, il cui accoglimento non avrebbe comunque potuto condurre alla condanna della Banca, ma, al più, alla parziale estinzione del credito azionato.

Premesso inoltre che, nell’addebitare alla Banca di aver effettuato operazioni di acquisto inadeguate, gli attori avevano omesso di specificare quali tra quelle compiute non risultassero in linea con la loro propensione al rischio, essendosi limitati ad evidenziare la composizione del loro portafoglio titoli alla metà dell’anno 2008 e la perdita derivante dall’integrale disinvestimento effettuato alla fine dell’anno 2011, ha osservato che la domanda di annullamento, oltre a poter riguardare soltanto gli acquisti di titoli azionari, avrebbe richiesto la verifica della riconducibilità delle perdite ai predetti titoli e la mancata produzione di qualsiasi profitto da parte degli stessi. Ha aggiunto che gli attori non avevano fornito alcuna indicazione in ordine alla causa d’invalidità degli ordini, non individuabile nella violazione dell’art. 29 del Regolamento Consob n. 11522 del 1 luglio 1998, la quale può dar luogo soltanto a responsabilità precontrattuale, ove intervenga nella fase anteriore o coincidente con la stipulazione del contratto d’intermediazione finanziaria. Precisato inoltre che la violazione lamentata dagli attori si collocava a valle della stipulazione del contratto, consistendo nello scostamento dal profilo di rischio degl’investitori, e quindi nell’inadempimento degli obblighi gravanti sull’intermediario finanziario, ha affermato che tale inadempimento risultava inidoneo a giustificare l’azione di annullamento, ricollegabile esclusivamente a vizi del consenso, osservando che l’unico vizio ipotizzabile consisteva nell’errore, tardivamente adombrato in comparsa conclusionale, e comunque privo dei connotati di essenzialità e riconoscibilità.

La Corte ha peraltro ritenuto che l’intrinseca inaccoglibilità della domanda, così come formulata dagli attori, non ne impedisse un’interpretazione fondata sul contenuto sostanziale della pretesa azionata, in virtù della quale ha ipotizzato che gli attori intendessero in buona sostanza conseguire il risarcimento del danno per l’allegato inadempimento dell’intermediario finanziario, consistente nell’indicazione di un’eccessiva componente azionaria nei titoli acquistati. Ciò posto, ha passato in rassegna la documentazione prodotta a sostegno della domanda, dalla quale ha desunto che nessun profilo d’inadempimento era addebitabile alla Banca nell’esecuzione della volontà dei mandanti, essendo questi ultimi in grado di rendersi conto delle conseguenze delle loro decisioni: premesso infatti che le dichiarazioni rese dai S. evidenziavano un’adeguata conoscenza dei mercati finanziari e dei relativi meccanismi di funzionamento, anche in considerazione della loro qualità d’imprenditori, ha osservato che l’inconsistenza delle doglianze sollevate dagli attori trovava conferma nella sostenuta operatività in strumenti finanziari anche ad elevato rischio, emergente dal numero, dalla dimensione, dalla frequenza e dalla tipologia degli ordini impartiti. Rilevato in particolare che l’obiettivo d’investimento previsto dal contratto stipulato il 24 febbraio 2006, consistente nell'”impiego dinamico del risparmio”, poteva giustificare anche una composizione del portafoglio costituita in maggioranza da titoli azionari, ha aggiunto che gli attori non avevano precisato neppure quale percentuale avrebbe potuto essere ritenuta adeguata, osservando comunque che la predetta indicazione era stata modificata nel corso del rapporto con un incremento della propensione al rischio, ed aggiungendo che gli attori non avevano contestato la riconducibilità del disinvestimento ad una loro precisa scelta, motivata da ragioni fiscali.

La Corte ha infine escluso l’ammissibilità delle censure riguardanti la configurabilità di una responsabilità della convenuta, in qualità di Banca depositaria, ai sensi dell’art. 38 del Regolamento Consob n. 11522 del 1998, rilevando che gli appellanti non avevano mosso motivate critiche alla sentenza di primo grado, nella parte in cui aveva ritenuto che le violazioni allegate fossero ascrivibili al gestore del risparmio, ma si erano limitati ad insistere sulla natura imperativa del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 21 e dell’art. 29 del Regolamento Consob. Ha confermato comunque che la banca depositaria è responsabile esclusivamente per l’inadempimento degli obblighi previsti dell’art. 38 cit., comma 2, i quali non comprendono gli obblighi informativi, posti a carico della società di gestione del risparmio.

3. Avverso la predetta sentenza la Solferino, la T. ed i S. hanno proposto ricorso per cassazione, articolato in cinque motivi, illustrati anche con memoria. La Banca ha resistito con controricorso, anch’esso illustrato con memoria. Ha spiegato intervento nel giudizio la Prelios Credit Servicing S.p.a., in qualità di procuratrice speciale della Nuova Frontiera SPV S.r.l., che nel corso del giudizio si è resa cessionaria dei crediti vantati dalla Banca.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente, va dichiarata l’inammissibilità dell’intervento spiegato nella presente fase dalla Prelios Credit Servicing, in rappresentanza della Nuova Frontiera SPV, avente causa della controricorrente, in qualità di cessionaria del credito controverso.

Il successore a titolo particolare nel diritto controverso è infatti legittimato ad impugnare per cassazione la sentenza di merito, ma non anche ad intervenire nel giudizio di legittimità, mancando una espressa previsione normativa, riguardante quest’autonoma fase processuale, che consenta al terzo di partecipare al giudizio con facoltà di esplicare difese, assumendo una veste atipica rispetto alle parti necessarie, che sono esclusivamente quelle che hanno partecipato al giudizio di merito (cfr. Cass., Sez. VI, 7/08/2018, n. 20565; Cass., Sez. I, 23/03/2016, n. 5759; Cass., Sez. III, 11/05/2010, n. 11375).

2. Con il primo motivo d’impugnazione, i ricorrenti denunciano la violazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21, art. 29 del Regolamento Consob n. 11522 del 1998, dell’art. 39 del Regolamento Consob n. 16190 del 29 ottobre 2007 e degli artt. 1175 e 1375 c.c., censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto che l’identificazione dell’obiettivo d’investimento in un “impiego dinamico del risparmio”, risultante dall’allegato n. 5 del contratto di negoziazione, costituisse indice di una propensione al rischio superiore a quella media prevista dal medesimo contratto. Premesso che, in applicazione del principio della massima diligenza, la Banca avrebbe dovuto agire con la necessaria cautela, contestano che dalla comparazione della predetta formula con le altre riportate nel contratto potesse desumersi la possibilità di acquisire un portafoglio titoli composto in prevalenza da titoli azionari, osservando che il contratto non recava informazioni in tal senso, non fornite dalla Banca neppure al momento della sua stipulazione, in contrasto con il dovere di chiarezza imposto agl’intermediari dalle norme comunitarie e da quelle interne. Affermano comunque che il questionario per la verifica dell’adeguatezza dei clienti, compilato soltanto dopo l’entrata in vigore della direttiva 2004/39/CE del 21 aprile 2004, non rifletteva la propensione al rischio degli investitori, ma solo la composizione del patrimonio investito alla data della compilazione.

3. Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono la violazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21, comma 1, lett. a), b) e d) e dell’art. 26, lett. e), artt. 28 e 29 del Regolamento Consob n. 11522 del 1998, censurando la sentenza impugnata per aver desunto l’alta esperienza in investimenti finanziari e l’elevata propensione al rischio dei clienti dalla profilatura effettuata in occasione dell’instaurazione di un altro rapporto. Premesso che l’obbligo di acquisire informazioni in ordine all’esperienza del cliente, alla sua situazione finanziaria, ai suoi obiettivi d’investimento ed alla sua propensione al rischio dev’essere adempiuto in occasione della stipulazione del contratto quadro, sostengono che l’adeguatezza degl’investimenti doveva essere valutata alla stregua delle informazioni fornite al momento dell’instaurazione del rapporto e della condizione soggettiva degl’investitori.

4. Con il terzo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 1175 e 1375 c.c., D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21, comma 1, lett. a), b) e d) e dell’art. 26, lett. e), artt. 28 e 29 del Regolamento Consob n. 11522 del 1998, sostenendo che l’adeguatezza delle operazioni compiute avrebbe dovuto essere valutata in relazione alle caratteristiche proprie degli strumenti finanziari, cui si riferivano le doglianze relative all’elevata componente azionaria del portafoglio, ed in base alle informazioni circa la propensione al rischio assunte al momento della conclusione del contratto, anzichè alla frequenza delle operazioni effettuate successivamente.

5. I predetti motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto questioni strettamente connesse, sono inammissibili.

La formulazione delle censure risulta infatti obiettivamente perplessa e per molti versi scarsamente comprensibile, accomunando profili assai diversi, concernenti rispettivamente l’interpretazione del contratto quadro, la violazione degli obblighi informativi strumentali alla stipulazione dello stesso e la valutazione di adeguatezza degl’investimenti. I ricorrenti sembrano voler contestare da un lato il significato attribuito dalla sentenza impugnata alle espressioni utilizzate nel contratto per descrivere l’esperienza dei clienti ed i loro obiettivi d’investimento, da un altro la sufficienza delle informazioni fornite dalla Banca in ordine al loro profilo di rischio, e da un altro ancora il parametro di riferimento adottato ai fini della valutazione di adeguatezza delle operazioni di acquisto dei titoli.

E’ noto peraltro che, in quanto volta all’individuazione della comune intenzione delle parti, l’interpretazione del contratto si traduce in un’indagine di fatto, riservata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità esclusivamente per inosservanza delle regole legali di ermeneutica contrattuale o per incongruenza o illogicità della motivazione (cfr. Cass., Sez. III, 14/07/2016, n. 14355; 26/05/2016, n. 10891; 10/02/2015, n. 2465): la deduzione di tali vizi postula tuttavia che la parte non si limiti, come nella specie, a contrapporre la propria lettura del testo negoziale a quella risultante dalla sentenza impugnata, ma indichi puntualmente i canoni interpretativi violati, nonchè il punto ed il modo in cui il giudice di merito se ne è discostato, ovvero le lacune argomentative o le contraddizioni che impediscono la ricostruzione del percorso logico seguito per giungere alla decisione (cfr. Cass., Sez. I, 27/06/2018, n. 16987; Cass., Sez. III, 28/11/2017, n. 28319).

La denuncia di violazione degli obblighi informativi gravanti sulla Banca ai fini della stipulazione del contratto comporta a sua volta l’introduzione di una questione non trattata nella sentenza impugnata, la quale, nell’individuare la causa petendi della pretesa risarcitoria, ha precisato che il profilo d’inadempimento denunciato dagli attori si esauriva nell'”indicazione di una eccessiva percentuale di componente azionaria nei titoli acquisiti”, in tal modo circoscrivendo il thema decidendum alla verifica dell’inadeguatezza delle operazioni effettuate rispetto al profilo di rischio delineato dal contratto quadro: tale affermazione, rimasta incensurata, impedisce di dare ingresso alla questione proposta con il ricorso, la quale, avendo ad oggetto l’obbligo della Banca d’informare i clienti delle implicazioni connesse alle dichiarazioni rese all’atto della stipulazione, presuppone un accertamento di fatto in ordine alla sufficienza delle informazioni fornite, non consentito in questa sede (cfr. Cass., Sez. VI, 13/12/2019, n. 32804; Cass., Sez. II, 24/01/2019, n. 2038; 9/08/2018, n. 20694).

Quanto infine alle censure riguardanti la valutazione di adeguatezza delle operazioni, le stesse non attingono per intero la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale, nel procedere a tale valutazione, si è limitata ad affermazioni di carattere generale in ordine all’esperienza degli attori in materia d’investimenti finanziari ed alla loro propensione al rischio, risultanti dalle dichiarazioni allegate al contratto quadro e da quelle sopravvenute nel corso del rapporto, dando atto dell’impossibilità di qualsiasi riscontro in ordine alla conformità degl’investimenti compiuti al profilo di rischio risultante dal contratto quadro, alla luce della mancata indicazione da parte degli attori della percentuale di titoli azionati che avrebbe potuto considerarsi adeguata e della mancata allegazione delle caratteristiche dei titoli azionari concretamente acquistati. Tale affermazione, rimasta anch’essa incensurata, preclude qualsiasi apprezzamento in ordine alla correttezza dei parametri adottati dalla Corte di merito ai fini della valutazione dell’adeguatezza delle operazioni, il cui riscontro è rimasto su un piano meramente astratto ed ipotetico, in assenza d’indicazioni più specifiche di quelle riguardanti la mera composizione percentuale del portafoglio titoli.

6. L’indicazione delle caratteristiche specifiche (natura, oggetto, importo, durata, etc.) delle operazioni rivelatesi dannose, costituendo il presupposto necessario per l’individuazione delle informazioni che l’intermediario avrebbe dovuto fornire per consentire al cliente di effettuare consapevolmente la propria scelta d’investimento, costituisce d’altronde un aspetto del più generale onere di allegazione incombente all’investitore nelle controversie in materia di responsabilità degl’intermediari finanziari, e funzionale allo adempimento da parte dell’intermediario dell’onere probatorio posto a suo carico dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23, comma 6: tale disposizione, conformemente alle regole generali che disciplinano la ripartizione dell’onere della prova nei giudizi aventi ad oggetto la risoluzione del contratto ed il risarcimento dei danni per inadempimento, impone infatti all’investitore, il quale lamenti la violazione degli obblighi informativi previsti dalla legge, di allegarne specificamente l’inadempimento, attraverso una sintetica ma circostanziata individuazione delle informazioni che l’intermediario avrebbe omesso di somministrare, spettando invece all’intermediario provare che tali informazioni sono state fornite, ovvero che esse esulavano dall’ambito di quelle dovute (cfr. Cass., Sez. I, 24/05/2019, n. 14335; 24/04/2018, n. 10111; 19/01/2016, n. 810).

In quest’ottica, la mancata impugnazione della sentenza d’appello, nella parte in cui ha rilevato che gli attori non avevano indicato le caratteristiche dei titoli acquistati, comporta l’inammissibilità anche del quarto motivo di impugnazione, con cui i ricorrenti hanno denunciato la violazione o la falsa applicazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21 e degli artt. 26 e 28 del Regolamento Consob n. 11522 del 1998, osservando che, ai fini della prova dell’adempimento degli obblighi gravanti sulla Banca, la Corte territoriale si è limitata a ritenere sufficienti informazioni di carattere generale e di stile, senza tener conto dell’obbligo dell’intermediario di fornire informazioni sulle caratteristiche specifiche dei prodotti finanziari.

7. Con il quinto motivo, i ricorrenti deducono la violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 1428 c.c., nonchè l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, affermando che, nell’escludere l’idoneità dei fatti allegati a giustificare l’annullamento del contratto di negoziazione e degli ordini di acquisto, la sentenza impugnata non ha tenuto conto del nesso funzionale tra il contratto di apertura di credito stipulato tra la Solferino e la Banca, la garanzia concessa dai S. ed il contratto di intermediazione finanziaria, emergente dalla destinazione degl’investimenti alla copertura del debito della società nei confronti della Banca. Premesso che la scadenza annuale del debito si poneva in contrasto con investimenti a lungo termine e a rischio elevato, sostengono che, alla luce delle informazioni in suo possesso, la Banca avrebbe dovuto segnalare l’inadeguatezza delle operazioni rispetto sia al profilo di rischio delineato al momento dell’instaurazione del rapporto che alla propensione manifestata dai clienti a seguito delle perdite subite.

7.1. Il motivo è infondato.

In tema d’intermediazione finanziaria, questa Corte ha ripetutamente affermato che, in assenza di un’esplicita previsione normativa, la violazione dei doveri di informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento finanziario non può determinare l’invalidità del contratto quadro o dei singoli atti negoziali posti in essere in base allo stesso, ma può dar luogo soltanto a conseguenze risarcitorie, costituendo fonte di responsabilità precontrattuale nel caso in cui detta violazione si verifichi nella fase antecedente o coincidente con la stipulazione del contratto di intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti, ovvero fonte di responsabilità contrattuale, nonchè causa di risoluzione del contratto, ove le violazioni riguardino le operazioni di investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del contratto quadro (cfr. Cass., Sez. I, 9/08/2016, n. 16820; 10/04/2014, n. 8462).

A tale orientamento si è puntualmente attenuta la sentenza impugnata, la quale, nell’escludere l’annullabilità del contratto di negoziazione e dei successivi ordini di acquisto dei titoli, ha rilevato che la violazione allegata dagli attori, consistente nella mancata segnalazione dell’inadeguatezza delle operazioni, non risultava idonea a legittimare la proposizione di una domanda di annullamento, potendo quest’ultima trovare giustificazione esclusivamente in presenza di vizi del consenso, non ipotizzabili in relazione al comportamento denunciato, il quale si collocava a valle della stipulazione del contratto quadro ed aveva comportato soltanto uno scostamento in sede esecutiva tra il profilo di rischio degl’investitori e gl’investimenti concretamente effettuati. Tali conclusioni resistono alle critiche mosse dai ricorrenti, i quali, nell’insistere sulla tesi dell’annullabilità, non sono in grado d’individuare eventuali vizi del consenso trascurati dalla sentenza impugnata, ma si limitano ad evidenziare il rapporto di strumentalità esistente tra il contratto di intermediazione finanziaria stipulato tra i S. e la Banca e la linea di credito da quest’ultima concessa alla Solferino, a riprova della loro intenzione di effettuare investimenti a basso rischio, desumendone l’obbligo della Banca di segnalare l’inadeguatezza degli ordini di acquisto dei titoli da loro impartiti, in quanto caratterizzati da un margine di rischio non corrispondente al loro profilo, senza considerare che, come correttamente ritenuto dalla sentenza impugnata, l’inadempimento del predetto obbligo non potrebbe in alcun caso condurre all’accoglimento della domanda di annullamento.

8. Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.

PQM

rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 15.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 ottobre 2020

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