Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.23526 del 27/10/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. PAOLITTO Liberato – rel. Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. CIRESE Marina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28792-2014 proposto da:

AQ ENERGY SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA COSSERIA 2, presso STUDIO FAIS PLACIDI, rappresentato e difeso dall’avvocato LORENZO AMORUSO, giusta procura a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, UFFICIO PROVINCIALE BARI TERRITORIO, AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE BARI;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1818/2014 della COMM. TRIB. REG. di BARI, depositata il 16/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/03/2020 dal Consigliere Dott. LIBERATO PAOLITTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. TOMMASO BASILE che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato CARUSO per delega dell’Avvocato AMOROSO che si riporta agli scritti.

FATTI DI CAUSA

1. – Con sentenza n. 1818/6/14, depositata il 16 settembre 2014 e notificata il successivo 1 ottobre 2014, la Commissione tributaria regionale della Puglia ha accolto l’appello proposto da AQ Energy S.r.l. e, in parziale riforma della pronuncia di prime cure, ha rideterminato in Euro 25.000,00 la rendita catastale di impianto fotovoltaico (classato in categoria D/1) che, – già quantificata in Euro 35.610,04 nella impugnata sentenza, – con avviso di accertamento emesso in esito a dichiarazione di variazione, presentata secondo la procedura cd. Docfa, l’Agenzia del Territorio aveva rettificato in Euro 40.844,74 (a fronte della rendita proposta di Euro 7.274,00).

A fondamento del decisum il giudice del gravame ha rilevato che:

– andava disatteso l’eccepito “difetto dei poteri di firma e di rappresentanza processuale da parte del funzionario firmatario dell’atto di costituzione in giudizio qualificatosi quale “Direttore”, ai sensi del D.L. n. 95 del 2012, art. 23 quater, comma 7, conv. in L. n. 135 del 2012, ed avuto riguardo alla proroga di poteri (facenti capo alla incorporata Agenzia del Territorio) ivi espressamente prevista;

– il primo giudice, diversamente da quanto denunciato dall’appellante, aveva pronunciato sull’eccezione relativa al difetto di motivazione dell’atto impugnato, correttamente escludendo un siffatto vizio dell’atto;

– i criteri posti a fondamento dell’accertamento catastale si discostavano dalle indicazioni offerte dalla stessa prassi amministrativa (circolare n. 6/12 del 30 novembre 2012), avuto riguardo alla necessità di attualizzare la rendita, calcolata secondo il procedimento indiretto di stima incentrato sul costo di ricostruzione, al periodo censuario 1988/1989, e dietro applicazione di coefficienti Istat di svalutazione monetaria nonchè di un adeguato deprezzamento dei beni (in relazione alla loro vita utile ed al valore residuo dell’impianto al termine del suo utilizzo);

– detti criteri, peraltro, andavano intesi “in senso relativo”, tenuto, quindi, conto di “specificità e specialità dell’impianto fotovoltaico e… complessità delle operazioni di stima delle sue componenti”, connotate da aleatorietà (a fronte, poi, di impianto “ad alta tecnologia innovativa ancora “in nuce” all’epoca del periodo censuario 1988/1989…”), – così che doveva ritenersi “equo e ragionevole” l’importo di Euro 25.000,00 quale rendita catastale desumibile da “soluzioni transattive già definite… con altre Società del comparto” (alla stregua dei prodotti verbali di conciliazione stragiudiziale).

2. – AQ Energy S.r.l. ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di cinque motivi, illustrati con memoria.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, espone la denuncia di violazione dell’art. 112 c.p.c., con riferimento all’eccezione svolta in ordine alla nullità dell’avviso di accertamento che non risultava sottoscritto da funzionario “munito dei necessari poteri di rappresentanza della soppressa Agenzia del Territorio”.

Col secondo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la ricorrente denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè violazione e falsa applicazione di legge, in relazione alla L. n. 135 del 2012, art. 23 quater, comma 7 ed al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 32, comma 1, avuto riguardo all’eccezione processuale di rito svolta a fronte delle controdeduzioni depositate da controparte nel giudizio di appello, controdeduzioni sottoscritte da “Funzionario non munito di regolare potere di rappresentanza dell’Ufficio”, in difetto di ogni riscontro documentale di una delega da parte del direttore pro tempore della Direzione Provinciale di Bari.

Col terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la ricorrente denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. sul rilievo che, – diversamente da quanto ritenuto dal giudice del gravame, – il proposto motivo di appello recava la censura di nullità del provvedimento impugnato per difetto della relativa motivazione, non anche quella di nullità della impugnata sentenza per omessa pronuncia sulla ridetta eccezione di difetto di motivazione.

Soggiunge la ricorrente che il denunciato difetto di motivazione, così come illustrato già nel ricorso introduttivo del giudizio, trovava riscontro nella stessa condotta processuale di controparte, – che, in corso di giudizio, aveva di volta in volta adottato diversi criteri di determinazione della rendita catastale, – oltrechè nel decisum della gravata sentenza che essa stessa aveva esposto la difformità dei criteri posti a fondamento dell’accertamento catastale rispetto alle indicazioni offerte dalla circolare n. 6/12 del 30 novembre 2012.

Il quarto motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, denuncia violazione degli artt. 112 e 113 c.p.c., e dell’art. 114 c.p.c., avendo il giudice del gravame, in sede di rideterminazione della rendita catastale, pronunciato secondo equità e, così, difformemente dalle richieste di parte.

Col quinto motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di fatti controversi e decisivi per il giudizio, violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nonchè, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, violazione dell’art. 115 c.p.c. con riferimento al principio di non contestazione.

Si assume, così, in sintesi, che l’accertamento operato dalla gravata sentenza aveva omesso di considerare che la rendita catastale, dietro procedimento indiretto di stima, presupponeva che il costo di ricostruzione delle opere dovesse essere ricondotto all’epoca censuaria delle stime catastali (biennio 1988-89) mediante i coefficienti di svalutazione ISTAT, previa applicazione di un “adeguato coefficiente di riduzione in rapporto allo stato attuale delle unità immobiliari” (cd. deprezzamento; D.P.R. n. 1142 del 1949, art. 28, comma 2); criteri, questi, che erano stati specificamente esposti nella prodotta perizia di parte il cui procedimento di stima nè era stato contestato da controparte nè era stato considerato dallo stesso giudice del gravame.

2. – Tutti i proposti motivi, – che pur prospettano profili di inammissibilità, – sono destituiti di fondamento e vanno senz’altro disattesi.

3. – In ordine al primo ed al secondo motivo, – da trattare congiuntamente perchè connessi, – occorre premettere che, a fronte della denunciata violazione dell’art. 112 c.p.c., si pone (solo) l’esigenza di una correzione della motivazione della gravata sentenza, cui non è di ostacolo il denunciato error in procedendo, in quanto il dispositivo è conforme a diritto (art. 384 c.p.c., comma 4), e la correzione (anch’essa solo in diritto) non implica valutazioni di fatto (v., ex plurimis, Cass., 1 marzo 2019, n. 6145; Cass. Sez. U., 2 febbraio 2017, n. 2731; Cass., 3 marzo 2011, n. 5139; Cass., 1 febbraio 2010, n. 2313; Cass., 28 luglio 2005, n. 15810; Cass., 23 aprile 2001, n. 5962).

3.1 – Posto quindi che, nella fattispecie, viene in considerazione una dichiarazione di variazione catastale (D.L. n. 16 del 1993, art. 2, conv. in L. n. 75 del 1993) la cui disciplina procedimentale rinviene dal D.M. 19 aprile 1994, n. 701 (procedura cd. Docfa), alla cui stregua la nullità dell’avviso di accertamento catastale, per difetto di sottoscrizione, non è conseguenza prevista dalla legge (v. Cass., 7 marzo 2019, n. 6633), rileva, quindi, la Corte che (condivisibilmente) il giudice del gravame ha dato rilievo al disposto di cui al D.L. n. 95 del 2012, art. 23 quater, comma 7, cit., il quale, – nel disciplinare l’incorporazione dell’Agenzia del Territorio, – ha previsto che “Al fine di garantire la continuità delle attività già facenti capo agli enti di cui al presente comma fino al perfezionamento del processo di riorganizzazione indicato, l’attività facente capo ai predetti enti continua ad essere esercitata dalle articolazioni competenti, con i relativi titolari, presso le sedi e gli uffici già a tal fine utilizzati.”.

3.2 – A fronte, dunque, di una vicenda sostanzialmente evolutiva, – che, in difetto di ogni liquidazione della preesistente Agenzia (del Territorio), ne ha previsto l’incorporazione in altra Agenzia (quella delle Entrate) pur preesistente, – la disposizione radica, in effetti, una prorogatio delle strutture organizzative preesistenti che, – in funzione di un processo di riorganizzazione da attuare da parte delle Agenzie incorporanti, – conservano la loro legittimazione, secondo il (già) vigente criterio di competenza.

E, sotto tale profilo, va quindi rimarcato l’orientamento interpretativo della Corte, alla cui stregua nei gradi di merito del processo tributario gli uffici periferici dell’Agenzia delle Entrate, secondo quanto previsto dalle norme del regolamento di amministrazione, adottato ai sensi del D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 66, sono legittimati direttamente alla partecipazione al giudizio e possono essere rappresentati sia dal direttore, sia da altra persona preposta al reparto competente, da intendersi per ciò stesso delegata in via generale a sostituire il direttore, senza necessità di una speciale procura, salvo che ne sia eccepita e provata la non appartenenza all’ufficio ovvero l’usurpazione del potere (v., ex plurimis, Cass., 31 gennaio 2019, n. 2901; Cass., 25 gennaio 2019, n. 2138; Cass., 30 ottobre 2018, n. 27570; Cass., 21 marzo 2014, n. 6691).

4. – Premesso che la gravata sentenza, – nel criticamente condividere l’assunto del primo giudice, – ha, ad ogni modo, escluso la nullità dell’avviso di accertamento catastale per difetto di motivazione, va, ad ogni modo, considerato, in ordine ora al terzo motivo di ricorso, che, nella fattispecie, viene in rilievo un avviso di accertamento emesso in esito allo svolgimento della procedura cd. Docfa, e senz’alcuna immutazione dei dati fattuali esposti dalla parte nella presentata dichiarazione di variazione (immutazione che, difatti, nemmeno la ricorrente prospetta, se non in relazione ai valori hinc et inde diversamente assunti).

4.1 – Con riferimento all’atto di classamento adottato in esito alla procedura in questione, – connotata, come si è rilevato, da una “struttura fortemente partecipativa”, – là. Corte ha statuito che l’obbligo di motivazione “deve ritenersi osservato anche mediante la mera indicazione dei dati oggettivi acclarati dall’ufficio… e della classe conseguentemente attribuita all’immobile, trattandosi di elementi idonei a consentire al contribuente, mediante il raffronto con quelli indicati nella propria dichiarazione, di intendere le ragioni della classificazione, sì da essere in condizione di tutelarsi mediante ricorso alle commissioni tributarie”; ed ha, in particolare, rimarcato che, laddove viene in rilievo quale presupposto, e fondamento (motivazionale), dell’avviso di classamento, – la stima diretta dell’unità immobiliare (R.D.L. n. 652 del 1939, art. 10; D.P.R. n. 1142 del 1949, artt. 8 e 30) esplicita “un giudizio sul valore economico dei beni classati di natura eminentemente tecnica, in relazione al quale la presenza e l’adeguatezza, o non, della motivazione rilevano ai fini, non già della legittimità ma, della attendibilità concreta del giudizio cennato, e, in sede contenziosa, della verifica della bontà delle ragioni oggetto della pretesa (v., ex plurimis, Cass., 9 luglio 2018, n. 17971; Cass., 3 febbraio 2014, n. 2268; Cass., 21 luglio 2006, n. 16824; Cass., 7 giugno 2006, n. 13319).

La Corte ha, quindi, precisato che gli indicati termini di riscontro dell’obbligo di motivazione dell’atto di classamento, adottato in esito alla procedura Docfa, debbono ritenersi inadeguati (solo) a fronte di una immutazione della proposta formulata dalla parte (con la dichiarazione di accatastamento), immutazione rilevante, – ai fini dell’assolvimento dell’obbligo di motivazione, – qualora incentrata sugli “elementi di fatto” di detta proposta, non anche qualora (ad elementi di fatto immutati) la diversa valutazione della rendita catastale (così come nella fattispecie) consegua “da una diversa valutazione tecnica riguardante il valore economico dei beni” (v. Cass., 13 novembre 2019, n. 29373; Cass., 22 maggio 2019, n. 13778; Cass., 7 dicembre 2018, n. 31809; Cass., 23 maggio 2018, n. 12777; Cass., 16 giugno 2016, n. 12497; Cass., 24 aprile 2015, n. 8344; Cass., 31 ottobre 2014, n. 23237).

4.2 – Nè diversamente rilevano i riferimenti operati dalla ricorrente alla condotta processuale dell’amministrazione (quanto ai criteri di stima dell’impianto), ed allo stesso contenuto motivazionale della gravata sentenza (quanto alla violazione dei criteri posti dal D.P.R. n. 1142 del 1949, art. 28, qual declinati da un documento di prassi), posto che la motivazione costituisce requisito strutturale dell’atto, requisito che rileva, dunque, ex se ai fini della validità dell’atto, – tanto da non poter essere nemmeno integrato in corso di giudizio (cfr., ex plurimis, Cass., 19 novembre 2019, n. 29993; Cass., 12 ottobre 2018, n. 25450; Cass., 23 ottobre 2017, n. 25037; Cass., 9 marzo 2017, n. 6065; Cass., 6 febbraio 2015, n. 2184; Cass., 31 ottobre 2014, n. 23237; Cass., 13 giugno 2012, n. 9629), – e che non va (evidentemente) confuso con l’idoneità probatoria dei dati (esposti con corretta motivazione e) posti a fondamento della pretesa azionata.

5. – Quanto al quarto motivo deve rilevarsi che, come reso esplicito dal complessivo contenuto della gravata sentenza, sopra riassunto, l’accertamento di valore posto a fondamento della determinazione della rendita catastale si è fondato, – piuttosto che su di un giudizio equitativo, – su criteri applicativi desunti dalle soluzioni conciliative intervenute con parti estranee al giudizio; ove, dunque, “equo e ragionevole” è stato ritenuto l’importo della rendita che, però, non è stata affatto determinata secondo un procedimento di valutazione fondato sull’equità (piuttosto che sulle disposizioni di legge il cui contenuto pur risulta dalla gravata sentenza riassunto).

6. – In relazione, ora, al quinto motivo, occorre rilevare innanzitutto che, avuto riguardo alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (secondo il cui disposto rileva, ora, l'”omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”), – qual conseguente alla novella di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134 (applicabile nella fattispecie, posto che la gravata sentenza è stata pubblicata in data 16 settembre 2014), – la Corte ha statuito che la censura di omesso esame di un fatto decisivo deve concernere un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), così che lo stesso omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; ed ha rimarcato che “nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (cfr. Cass. Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053 cui adde, ex plurimis, Cass., 29 ottobre 2018, n. 27415; Cass., 13 agosto 2018, n. 20721; Cass. Sez. U., 22 settembre 2014, n. 19881).

6.1 – Nel determinare la rendita catastale, il giudice del gravame ha dato espressamente conto dei criteri a tal fine rilevanti, – avuto riguardo al procedimento indiretto di stima fondato sul costo di ricostruzione rapportato al periodo censuario 1988/1989, con applicazione di coefficienti Istat di svalutazione monetaria nonchè di un coefficiente di deprezzamento dei beni (D.P.R. n. 1142 del 1949, art. 28), – ed ha, quindi, utilizzato il contenuto di accordi conciliativi (prodotti in giudizio) dal cui esame ha tratto l’accertamento di valore relativamente alla rendita catastale.

In disparte, ora, che la ricorrente deduce l’omesso esame, piuttosto che di fatti decisivi, – di dati istruttori che sottendono una diversa valutazione dell’unità immobiliare in questione (v. Cass., 12 dicembre 2019, n. 32550; Cass., 29 ottobre 2018, n. 27415; Cass., 6 maggio 2015, n. 9029; Cass., 4 aprile 2014, n. 7983), nella fattispecie rileva, per di più, che nemmeno viene riprodotto il contenuto dei cennati accordi conciliativi, così risultando preclusa alla Corte ogni effettiva verifica quanto al denunciato omesso esame di fatti controversi decisivi, ed avuto riguardo al cennato procedimento indiretto di stima.

6.2 – La censura che involge, poi, l’omessa considerazione del comportamento processuale di non contestazione si pone, innanzitutto, in contraddizione con le stesse allegazioni di parte ricorrente che, ripetutamente, dà conto (in ricorso) dell’attività processuale dell’Ufficio che, di volta in volta, ha enucleato criteri di valutazione (ed entità dei valori) ad ogni modo diversi da quelli allegati dal contribuente.

La censura, ad ogni modo, difetta anch’essa di autosufficienza (v. Cass., 10 dicembre 2019, n. 32192; Cass., 10 agosto 2017, n. 19985; Cass., 9 agosto 2016, n. 16655) in quanto non indica il come (condotta processuale), ed il dove (sede processuale), della non contestazione, con particolare riferimento ai contenuti delle difese che (nel più ampio contesto delle deduzioni, e delle argomentazioni, svolte) si sarebbero risolte nel denunciato difetto di specifica contestazione che, peraltro, è rilevante, – avuto riguardo alla indisponibilità dei diritti controversi, esclusivamente per i profili probatori del fatto non contestato.

7. – Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza di parte ricorrente nei cui confronti sussistono, altresì, i presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, se dovuto (D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater).

PQM

La Corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 2.000,00, oltre spese prenotate a debito; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo presidente del collegio per impedimento dell’estensore, ai sensi del del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a).

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 4 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2020

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