Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.24262 del 03/11/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33339/2018 proposto da:

ANAS SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA 441, presso lo studio dell’avvocato PAOLO MARINI, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

F.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FILIPPO CORRIDONI 15, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO BURIGANA, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3138/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 11/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 24/06/2020 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI.

RILEVATO

che:

l’ANAS s.p.a. propose opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Roma con cui era stato intimato il pagamento di 24.822,20 Euro in favore dell’ing. F.G., a fronte di prestazioni professionali che questi aveva reso in qualità di componente di una commissione di collaudo incaricata dall’ANAS;

l’opponente eccepì l’incompetenza del Tribunale ordinario, indicando come competente il Tribunale in funzione di giudice del lavoro, e contestò la spettanza del compenso preteso dall’opposto sulla base delle tariffe professionali degli ingegneri ed architetti, rilevando che, al momento del conferimento dell’incarico, il F. era dipendente dell’ANAS e aveva diritto soltanto alla liquidazione delle diarie e al rimborso delle spese di viaggio;

il Tribunale rigettò l’opposizione;

provvedendo sul gravame dell’ANAS, la Corte di Appello di Roma ha dichiarato l’inammissibilità dell’impugnazione per difetto di specificità in relazione all’art. 342 c.p.c.;

ha proposto ricorso per cassazione l’ANAS, affidandosi a tre motivi; l’intimato ha resistito con controricorso.

CONSIDERATO

che:

col primo motivo, la ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in relazione al D.P.R. n. 748 del 1972, art. 50 e D.P.R. n. 554 del 1999, art. 210, rilevando di avere sempre “radicalmente negato la spettanza di ogni e qualsiasi compenso” e censurando pertanto la sentenza impugnata nella parte in cui ha affermato che l’ANAS “non ha indicato a quanto ammonterebbe il compenso dovuto all’appellato in base alle deleghe, nè ha indicato in modo puntuale in base a quale calcolo la somma di Euro 24.822,20 oltre accessori liquidata in sede monitoria dal Tribunale di Roma dovrebbe ritenersi eccessiva ed ingiustificata”;

col secondo motivo, viene dedotta la violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 342 c.p.c.: la società ricorrente trascrive il contenuto dell’atto di appello, riportando quanto esposto in relazione alla “indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado” e in riferimento alla “indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata”; tanto premesso, assume che l’appello rispettava pienamente i requisiti di specificità richiesti dall’art. 342 c.p.c., in relazione ad entrambi i motivi di gravame;

il terzo motivo denuncia “violazione delle norme sulla competenza” e violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 409 c.p.c., n. 1: trascritto il motivo di gravame relativo al mancato accoglimento dell’eccezione di incompetenza, l’ANAS rileva che “la errata declaratoria di inammissibilità dell’appello (ma relativamente al primo motivo di gravame) ha portato la Corte Territoriale ad omettere qualsiasi esame circa la eccezione di incompetenza funzionale”;

va esaminato prioritariamente il secondo motivo, in quanto afferisce direttamente alla dichiarazione di inammissibilità dell’appello per difetto di specificità dei motivi, che costituisce – “per entrambi i motivi” (cfr. pag. 4 della sentenza) – la ratio fondante della decisione impugnata;

il motivo è fondato, atteso che:

“gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata” (Cass., S.U. n. 27199/2017; conf. Cass. n. 13535/2018);

nel caso di specie, la Corte di merito ha erroneamente escluso la specificità dei motivi di appello a fronte di una impugnazione che individuava chiaramente le parti della sentenza censurate e indicava le ragioni poste a fondamento dei due motivi di gravame, compendiabili nell’assunto che si doveva tener conto della disciplina applicabile al momento del conferimento dell’incarico, allorquando il F. era dipendente dell’ANAS, e nell’affermazione della competenza funzionale del giudice del lavoro;

la circostanza che i motivi dell’appello riproducessero sostanzialmente le ragioni poste a fondamento dell’opposizione al d.i. non vale ad escludere la specificità del gravame, giacchè l’ANAS non si è limitata alla mera riproposizione della domanda originaria, ma ha specificamente individuato le statuizioni della sentenza di primo grado ritenute erronee e, rispetto ad esse, ha illustrato le ragioni della diversa soluzione richiesta, in tal modo cumulando parte volitiva e parte argomentativa e assolvendo all’onere di specificità del gravame;

del tutto inconferente appare il rilievo della Corte di merito circa la mancata indicazione – da parte dell’appellante – del compenso che risulterebbe dovuto al F. alla stregua della tesi sostenuta dell’ANAS, essendo evidente che una siffatta indicazione non era richiesta ai fini della specificità di un atto di appello che era fondato proprio sull’assunto che nessun compenso fosse dovuto;

in accoglimento del secondo motivo, la sentenza va pertanto cassata (assorbiti gli altri due motivi), con rinvio alla Corte territoriale; il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese di lite.

P.Q.M.

accoglie il secondo motivo, con assorbimento degli altri due, cassa e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 24 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2020

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