Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.24821 del 06/11/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11949/2019 proposto da:

J.M., elettivamente domiciliato in Roma presso la CANCELLERIA civile della CORTE SUPREMA di CASSAZIONE e rappresentato e difeso dall’avvocato Daniela Vlgliotti, in forza di procura speciale in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 4469/2018 della Corte d’appello di MILANO, depositata il 15/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio dell’8/10/2020 dal Cons. Dott. IOFRIDA GIULIA.

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Milano, con sentenza n. 4469/2018, depositata in data 15/10/2018, ha respinto il gravame di J.M., cittadino del *****, avverso il decreto del Tribunale che aveva rigettato la richiesta dello stesso, a seguito di diniego della competente Commissione territoriale, di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria e per ragioni umanitarie.

In particolare, i giudici d’appello hanno ritenuto la domanda di protezione inammissibile e comunque infondata, in quanto: come già vagliato dal giudice di primo grado, il racconto del richiedente (essere fuggito dal Paese d’origine, perchè era stato emesso nei suoi confronti un mandato di arresto, avendo egli assistito all’omicidio, compiuto da amici universitari, di un segretario generale di un gruppo studentesco avente connotati politici, pur non essendo egli in alcun modo responsabile di tale omicidio) era del tutto generico e comunque non integrava, involgendo episodio di violenza a carattere privato (essendo stata motivata la fuga dalla volontà di sottrarsi alla giustizia), i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, anche D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), non potendo la concessione di tale misura protettiva essere giustificata neppure dalla situazione generale del Paese d’origine, non emergendo una situazione di violenza indiscriminata, alla luce delle fonti consultate (siti “*****” e “*****”); non ricorrevano neppure i presupposti per la concessione della protezione umanitaria, in difetto di situazioni di personale vulnerabilità.

Avverso la suddetta pronuncia, J.M. propone ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che si costituisce al solo fine di partecipare all’udienza pubblica di discussione).

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta: a) con il primo motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, non avendo la Corte d’appello adempiuto al proprio obbligo istruttorio officioso in relazione alla valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente, senza compiere alcuna istruttoria al fine di verificare la veridicità dei fatti allegati dal richiedente; b) con il secondo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1 lett. e), e dell’art. 8, lett. e), avendo la Corte di merito ritenuto erroneamente che la falsa accusa di omicidio di un giovane esponente politico non integrasse persecuzione per motivi politici, ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato; c) con il terzo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), per non avere la Corte di merito riconosciuto la sussistenza del pericolo di una minaccia grave alla vita del richiedente per una possibile condanna a morte nel Paese d’origine o sottoposizione a trattamenti inumani e degradanti durante la detenzione, come sarebbe attestato da fonti internazionali; d) con il quarto motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), in riferimento alla omessa valutazione delle condizioni di estrema violenza indiscriminata e violazione dei diritti umani fondamentali del Bangladesh, in tutto il territorio nazionale, ai fini della protezione sussidiaria; e) con il quinto motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, per non avere la Corte d’appello assolto all’onere di cooperazione istruttoria gravante sul giudice nella materia, avendo la stessa Corte fatto riferimento, tra le fonti, unicamente al sito del Ministero degli Esteri, non avente funzione di analisi delle condizioni di sicurezza di un cittadino che vive nel Paese straniero; f) con il sesto motivo, in relazione al diniego di protezione per ragioni umanitarie, sia la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, art. 5, comma 6 e art. 19 del TUI, sia l’omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 5, di fatto decisivo, non avendo la Corte d’appello correttamente esaminato le condizioni di violenza indiscriminata esistenti anche nella zona di provenienza del richiedente ed i contratti di lavoro in Italia prodotti dal richiedente (presso società fornitrice di servizi a Fincantieri).

2. Preliminarmente, deve ritenersi che la Corte distrettuale abbia ritenuto infondato l’appello nel merito, stante il diffuso sviluppo sul punto delle proprie argomentazioni dalla pag. 5 alla pag. 8 della sentenza, pur avendo essa, all’inizio dell’esame delle doglianze, esordito con un giudizio di inammissibilità dell’appello per genericità (“avendo chiesto genericamente il riconoscimento della protezione nelle sue forme sulla base della situazione di violenza generalizzata e quindi della situazione di instabilità in cui si trova il suo Paese d’origine”). Così questa Corte ha ritenuto inammissibile, per carenza di interesse, il ricorso per cassazione con il quale si contesti esclusivamente l’avvenuto rilievo in motivazione, da parte del giudice di appello, dell’inammissibilità dei motivi di impugnazione per difetto di specificità, ove tale rilievo sia avvenuto “ad abundantiam” e costituisca un mero “obiter dictum”, che non ha influito sul dispositivo della decisione, la cui “ratio decidendi” è, in realtà, rappresentata dal rigetto nel merito del gravame per infondatezza delle censure (Cass. 30354/2017; Cass. 22782/2018).

3. Le censure da uno a tre vanno esaminate congiuntamente e sono fondate, nei sensi di cui in motivazione.

3.1. Nella prima doglianza il ricorrente si duole del vaglio di credibilità operato dalla Corte in ordine al narrato dello straniero sulle ragioni della fuga dal Paese d’origine e della mancata attivazione dell’obbligo di cooperazione istruttoria.

La Corte d’appello ha ritenuto che i fatti narrati dal richiedente, essenzialmente il mandato di arresto a carico dello stesso per l’accusa di avere partecipato all’omicidio di un esponente di un gruppo studentesco, pur credibile, non integrassero un atto di persecuzione per ragioni politiche o un pericolo di danno grave D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), ma un tentativo di sottrarsi alla giustizia del suo Paese; a pag. 7 della sentenza, la Corte distrettuale, pur ripetendo che le vicende narrate attengono a profili “meramente privatistici”, afferma che tali vicende appaiono altresì inattendibili, essendosi il richiedente limitato “a motivare la propria fuga per sottrarsi alla giustizia del suo paese”.

Parrebbe quindi che la ratio della decisione non sia fondata sulla non credibilità in toto del racconto, dando la Corte per vera la circostanza dell’esistenza di un mandato di arresto a carico del richiedente.

Orbene, quanto alla lamentata violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, il disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. b), (esame su base individuale della dichiarazione e della documentazione presentate dal richiedente) non può essere inteso nel senso di imporre l’analitica valutazione di ciascun documento prodotto al giudicante, il quale, al contrario, è tenuto a enunciare le ragioni del proprio convincimento senza tuttavia dover passare in rassegna ciascuna delle prove offerte dal richiedente asilo ed effettuare una precisa esposizione di tutte le singole fonti di prova e del loro specifico peso probatorio; la stessa norma, al comma 5, detta i criteri di procedimentalizzazione legale della decisione in merito alla valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente, ma non prescrive una valutazione, separata e prioritaria, dei documenti prodotti dal migrante; al contrario, il giudicante è tenuto a un apprezzamento globale della congerie istruttoria raccolta, cosicchè anche in questa materia la scelta degli elementi probatori e la valutazione di essi rientrano nella sfera di discrezionalità del giudice di merito, il quale non è obbligato a confutare dettagliatamente le singole argomentazioni svolte dalle parti su ciascuna delle risultanze probatorie ma deve soltanto fornire un’esauriente e convincente motivazione sulla base degli elementi ritenuti più attendibili e pertinenti.

Nel caso di specie, la Corte ha attribuito carattere di inattendibilità solo ad alcuni aspetti del narrato, neppure nel dettaglio esplicitati.

Quanto alla violazione del dovere di cooperazione istruttoria del giudice, vero che nella materia in oggetto il giudice abbia il dovere di cooperare nell’accertamento dei fatti rilevanti, compiendo un’attività istruttoria ufficiosa, essendo necessario temperare l’asimmetria derivante dalla posizione delle parti (Cass. 13 dicembre 2016, n. 25534); ma la Corte di merito ha attivato il potere di indagine.

Inoltre, si è ulteriormente chiarito (Cass. 27593/2018) che “in tema di protezione internazionale, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati”, cosicchè “la valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate” (cfr. anche (Cass. 27503/2018 e Cass. 29358/2018).

In sostanza, l’attenuazione del principio dispositivo in cui la cooperazione istruttoria consiste si colloca non sul versante dell’allegazione, ma esclusivamente su quello della prova, dovendo, anzi, l’allegazione essere adeguatamente circostanziata, cosicchè solo quando colui che richieda il riconoscimento della protezione internazionale abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto, sorge il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel Paese straniero di origine dell’istante si registrino i fenomeni tali da giustificare l’accoglimento della domanda (Cass. 17069/2018).

Sempre in tema (Cass. 29358/2018), una volta assolto l’onere di allegazione, il dovere del giudice di cooperazione istruttoria, e quindi di acquisizione officiosa degli elementi istruttori necessari, è circoscritto alla verifica della situazione oggettiva del paese di origine e non alle individuali condizioni del soggetto richiedente.

Anche di recente (Cass. 11925/2020), si è comunque affermato che “la valutazione di affidabilità del richiedente è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione che deve essere svolta alla luce dei criteri specifici, indicati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, oltre che di quelli generali di ordine presuntivo, idonei ad illuminare circa la veridicità delle dichiarazioni rese; sicchè, il giudice è tenuto a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda, i cui esiti in termini di inattendibilità costituiscono apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, se non nei limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”.

Nella specie, non tutti gli aspetti significativi della vicenda narrata dal richiedente sono stati esaminati dalla Corte di merito e si è proceduto quindi ad un esame non approfondito ma sommario, in primis non venendo chiarita la vicenda relativa al mandato di arresto per omicidio che avrebbe attinto il richiedente prima della fuga in Italia, essendosi la Corte limitata a qualificare la vicenda come meramente privatistica.

3.2. Il secondo ed il terzo motivo involgono invece il diniego del riconoscimento dello status di rifugiato per motivi di persecuzione politica e di protezione sussidiaria, per pericolo di una minaccia grave alla vita del richiedente, correlata al rischio di trattamenti inumani e degradanti durante la custodia in carcere e di condanna alla pena di morte per il reato di omicidio, in caso di rientro nel Paese d’origine, stante l’impossibilità di far valere la propria estraneità ai fatti nello “iniquo e corrotto sistema giudiziario bengalese”, e la valutazione operata dalla Corte di merito in ordine alla non ricorrenza dei presupposti di legge per le chieste tutele.

3.3. Nella censura attinente al diniego dello status di rifugiato, il ricorrente sostiene che la falsa accusa di omicidio di un esponente di un gruppo studentesco, legato ad uno dei maggiori partiti politici, in ambiente universitario, sarebbe dovuta a persecuzione per opinioni politiche.

Nella terza doglianza, in ordine al diniego di protezione sussidiaria, si invoca la sussistenza del pericolo di un danno grave.

La Corte distrettuale, laddove il narrato del richiedente fosse stato ritenuto credibile (come parrebbe sostenere la Corte alle pagg. 6 e 7), avrebbe dovuto chiarire perchè una falsa accusa di omicidio in Bangladesh non possa comportare un pericolo di danno grave per una possibile futura condanna a morte, essendo ivi prevista la pena di morte per il reato di omicidio, o per trattamento inumano e degradante durante la detenzione, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), compiendo un esame del contesto giudiziario nel Paese d’origine (che il ricorrente aveva comunque descritto in ricorso), non essendo sufficiente liquidare la doglianza come attinente ad una vicenda di giustizia privatistica.

4. Con il quarto ed il quinto motivo, si lamenta invece, in relazione al diniego di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), la mancata corretta disamina della situazione socio politica del Bangladesh, avendo la Corte di merito riportato solo le informazioni tratte dal sito del Ministero degli Esteri, ignorando i documenti riversati nel merito dal richiedente.

4.1. Le doglianze sono infondate.

In tema (Cass. 29358/2018), si è affermato che, una volta assolto l’onere di allegazione da parte del richiedente, il dovere del giudice di cooperazione istruttoria, e quindi di acquisizione officiosa degli elementi istruttori necessari, è circoscritto alla verifica della situazione oggettiva del paese di origine e non alle individuali condizioni del soggetto richiedente.

La giurisprudenza di questa Corte ha poi affermato che “D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati” deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di acquisizione di tali informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti in seno alla richiesta di protezione internazionale” (Cass. ord. n. 30105 del 2018).

Al fine di ritenere adempiuto il dovere di cooperazione istruttoria, il giudice è tenuto quindi ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto (Cass. ord. n. 11312 del 2019), in quanto, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione, sicchè il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di motivazione apparente (Cass. 13897/2019).

Peraltro, se la parte ha offerto in visione le COI al momento in cui introduce la domanda, e tra essa e il momento della decisione trascorre del tempo o accadono eventi rilevanti, il giudice deve integrarle con COI più aggiornate (Cass. 28990/2018). Le COI devono infatti essere pertinenti e dirette a far luce sui fatti già dedotti dal ricorrente, ed il concetto stesso di pertinenza va necessariamente coniugato con quello della loro attualità (Cass. 2125/2020).

Il ricorrente si limita a dire, nel ricorso (rinviando, a pag.12, a documenti versati in primo grado ed in appello, non meglio descritti quanto al contenuto), di avere allegato “diffusamente” in appello fonti aggiornate sulla situazione generale del Paese di provenienza e di cui la sentenza non fa cenno ovvero a descrivere (pagg. 14-15) quanto riportato da organizzazioni internazionali, senza collocazione temporale degli estratti relativi. Il che non rende la doglianza autosufficiente.

Nella decisione impugnata, inoltre sì è comunque fatto riferimento, per descrivere da dove si è tratto il giudizio sull’assenza di conflitti interni o violenza indiscriminata nel Paese d’origine, non al solo sito del Ministero degli esteri (che peraltro rappresenta una fonte qualificata equiparata a quelle di altri organismi riconosciuti di comprovata affidabilità e perchè proveniente da un dicastero istituzionalmente dotato di competenze, informative e collaborative, nella materia della protezione internazionale, cfr. Cass. 11103/2019), ma anche alla fonte “the indipendent”, pur dandosi atto dell’elevata minaccia terroristica in detto Paese.

4. Il sesto motivo, attinente al diniego di protezione umanitaria, è di conseguenza assorbito.

5. Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento dei primi tre motivi del ricorso, respinti i motivi quattro e cinque ed assorbito il sesto motivo, va cassata la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione. Il giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie i primi tre motivi del ricorso, respinti i motivi quattro e cinque ed assorbito il sesto motivo, e cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione, anche in punto di liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2020

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