Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.26421 del 20/11/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23804/2018 proposto da:

K.I., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CONFIDA 20, presso lo studio dell’avvocato MONICA BATTAGLIA, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati ANTONINO ROTONDI, GIUSEPPE LANZAVECCHIA;

– ricorrente –

contro

AZIENDA SANITARIA LOCALE AL ASL – ASL AL, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEL POZZETTO 122, presso lo studio dell’avvocato PAOLO CARBONE, rappresentata e difesa dagli avvocati ROBERTO ALBERTO, CRISTINA CAVALIERE;

ASSICURATRICE MILANESE SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COLA DI RIENZO 212, presso lo studio dell’avvocato TIZIANO MARIANI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANDREA PELLEGRINI;

– controricorrenti –

e contro

C.L.; AZIENDA OSPEDALIERA NAZIONALE *****;

CA.EZ.; CO.GI.; CO.DA.FE.;

CO.TA.BE.; CO.GI., quale genitore esercente la responsabilità genitoriale sui figli minori CO.NO.MI., CO.AL. E CO.RU.;

– intimati –

nonchè da:

C.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F. DENZA, 15, presso lo studio dell’avvocato NICOLA PAGNOTTA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARLO TRAVERSO;

– ricorrente incidentale –

contro

K.I.; CO.GI., in proprio e nella qualità di genitore esercente la responsabilità genitoriale sui figli CO.NO.MI., CO.AL. e CO.RU.; CO.TA.BE.;

CO.DA.FE.; AZIENDA SANITARIA LOCALE AL-ASL AL; AZIENDA OSPADALIERA NAZIONALE *****; CA.EZ.; ASSICURATRICE MILANESE SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 978/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 21/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 15/07/2020 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA.

FATTI DI CAUSA

K.I. e Co.Gi., in proprio e quali esercenti la responsabilità genitoriale sui figli minori No.Mi., Ta.Be. (divenuta nel corso del giudizio di primo grado maggiorenne e costituitasi poi, in quella sede, in proprio), Al. e Ru., nonchè Co.Da.Fe., convennero in giudizio, dinanzi al Tribunale di Alessandria, il Dott. C.L., l’Azienda Sanitaria Locale AL ASL – A.S.L. AL (di seguito indicata, per brevità ASL AL), il Dott. Ca.Ez., l’Azienda Ospedaliera *****, chiedendone la condanna la risarcimento dei danni determinati dalla mancata corretta informazione, da parte dei medici cui K.I. si era affidata durante la gravidanza, circa il rischio di malformazioni dell’allora nascitura No.Mi., rispettivamente figlia e sorella degli altri attori, e la mancata prescrizione di specifici esami in gravidanza, informazione e prescrizione che avrebbero consentito di diagnosticare per tempo la sindrome di Down da cui era risultata poi affetta No.Mi. e che avrebbero consentito alla K. il ricorso all’IVG.

I convenuti si costituirono contestando la domanda, della quale chiesero il rigetto; il Ca. chiese ed ottenne di chiamare in causa l’Assicuratrice Milanese S.p.a., che si costituì, a sua volta, in giudizio, contestando la fondatezza della domanda attorea ed eccependo ragioni di inoperatività della garanzia assicurativa.

Il Tribunale adito, con sentenza n. 450/2017, così decise: 1) dichiarò il difetto di legittimazione attiva in capo a Co.No.Mi., Ta.Be., Al., Ru. e Da.Fe.; 2) in accoglimento della domanda di Co.Gi. e K.I., accertata la responsabilità di C.L. e della ASL AL, li condannò in solido, a pagare a Co.Gi. e ad K.I., a titolo di risarcimento del danno patrimoniale, la somma di Euro 90.000,00 (Euro 45.00,00 in favore di ciascuno dei predetti due attori), oltre interessi legali da quella pronuncia al saldo, e, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, la somma di Euro 400.000,00 (Euro 200.000,00 in favore di ciascuno dei predetti due attori), oltre interessi legali da quella pronuncia al saldo; 3) rigettò la domanda di Co.Gi. e K.I. nei confronti di Ca.Ez. e dell’Azienda Ospedaliera *****; 4) condannò C.L. e l’ASL AL, in solido, a pagare, a Co.Gi. e ad K.I., le spese di lite; 5) pose le spese di ATP a carico, in solido, di C.L. e dell’ASL AL; 6) compensò le spese di lite tra tutte le altre parti.

Avverso tale decisione proposero appello principale l’ASL AL e appelli incidentali C.L. nonchè K.I. e Co.Gi., in proprio e quali esercenti la responsabilità genitoriale sui figli minori Co.No.Mi., Al. e Ru., nonchè Ta.Be. e Da.Fe..

Si costituirono gli appellati Ca.Ez., Azienda Ospedaliera ***** e Assicuratrice Milanese S.p.a..

La Corte di appello di Torino, con sentenza n. 978/2018, pubblicata il 21 maggio 2018, rigettò la domanda proposta da Co.Gi. e K.I., in proprio e nella dedotta qualità, nonchè da Ta.Be. e Co.Da.Fe. nei confronti di C.L. e ASL AL; pose le spese di ATP a carico per un terzo degli attori in primo grado, per un terzo a carico dell’ASL AL e per un terzo a carico di C.L.; dichiarò compensate le spese del primo grado del giudizio tra Co.Gi. e K.I. (in proprio e quali esercenti la responsabilità genitoriale sui figli minori Co.No.Mi., Al. e Ru.), Co.Ta.Be. e Da.Fe., nel loro rapporto processuale con ASL AL e C.L.; confermò nel resto la sentenza appellata e dichiarò compensate le spese del secondo grado del giudizio tra tutte le parti.

Avverso la sentenza della Corte di merito K.I. ha proposto ricorso per cassazione, basato su tre motivi e illustrato da memoria.

C.L. ha resistito con controricorso contenente ricorso incidentale basato su due motivi.

Hanno resistito con distinti controricorsi ASL AL e Assicuratrice Milanese S.p.a.. Quest’ultima ha pure depositato memoria.

Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Ricorso principale K..

1. Con il primo motivo si denuncia “Violazione della L. n. 194 del 1978, art. 4 e degli artt. 2727 – 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per erronea valutazione in ordine alla sussistenza dei requisiti ex lege previsti per il ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza entro i primi novanta giorni di gestazione”.

1.1. Va anzitutto precisato che a p. 11 del ricorso viene erroneamente attribuita alla Corte di merito la censura formulata, invece, dagli “appellanti” (v. sentenza impugnata p. 10) e meramente riportata, in sintesi, a p. 11 della sentenza impugnata.

1.2. Assume la ricorrente che l’iter argomentativo seguito dalla Corte di merito a motivazione della dichiarata insussistenza della possibilità, in ogni caso, per la gestante di ricorrere all’IVG ai sensi della L. n. 194 del 1978, art. 4, sarebbe frutto di un ragionamento giuridico presuntivo ex art. 2729 c.c., basato essenzialmente su due elementi: 1) la tempistica per richiedere ed avere il referto degli esami di indagine citogenetica e per anomalie cromosomiche fetali (amniocentesi e villocentesi) e 2) la condizione economica della famiglia K. in relazione al costo dei predetti esami.

Sostiene la ricorrente che, in difetto dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, deve escludersi che gli elementi indiziari possano fornire al giudice la piena prova del fatto ignoto.

Per quanto riguarda i tempi tecnici per l’effettuazione dell’amniocentesi, assume la ricorrente che l’elemento indiziario valorizzato dalla Corte di merito e rappresentato dalla circostanza che nello stesso modulo consegnato alla K., all’esito del bitest, è specificato che “per il risultato occorrono 2-3 settimane”, inerendo esclusivamente alla struttura presso la quale la K. era stata seguita durante la gestazione e non essendo stato provato che quelle indicate nel modulo erano le tempistiche anche di altre strutture, non potrebbe “rivestire valore di piena prova idonea a condurre alla conclusione certa e incontrovertibile che, indipendentemente da una valutazione dei requisiti soggettivi di cui alla L. n. 194 del 1978, art. 4, la gestante si sarebbe trovata – se correttamente informata – nell’impossibilità oggettiva di ricorrere a IGV”.

L’ulteriore elemento indiziario, costituito dal costo degli esami di indagine citogenetica per anomalie cromosomiche fetali (amniocentesi e villocentesi) – costo di cui, secondo la Corte di merito, non avrebbe potuto farsi carico la famiglia K., per la situazione di difficoltà economica in cui versava -, sarebbe una mera congettura laddove sarebbe massima di comune esperienza che anche soggetti non facoltosi sono disposti a far sacrifici economici qualora si presenti la necessità di affrontare spese necessarie urgenti, per trattamenti o esami clinici il cui espletamento può avere forti ripercussioni sulla salute della persona e, quindi, dell’intera famiglia cui la medesima appartiene.

Ad avviso della ricorrente, “una corretta valutazione complessiva della portata indiziante e di guisa della positiva efficacia probatoria degli elementi di causa avrebbe dovuto portare il Giudice di seconde cure ad opposta conclusione”.

Inoltre, K.I. denuncia il vizio di motivazione della sentenza impugnata per illogicità e contraddittorietà, nella parte in cui vi si afferma che l’amniocentesi può essere praticata solo dopo la quindicesima settimana e, quindi, ben oltre la scadenza del termine di 90 giorni, in quanto, ad avviso della ricorrente, se tale esame non potesse essere effettuato in ogni caso nel primo trimestre di gravidanza, nessuna donna potrebbe ricorrere ad amniocentesi in tale termine e, quindi, ad aborto ai sensi della L. n. 194 del 1978, art. 4, con conseguente interpretatio abrogans della richiamata norma.

1.3. Il motivo, così come formulato, è inammissibile.

1.4. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte di legittimità, dal quale non vi è motivo di discostarsi in questa sede, spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità, dovendosi tuttavia rilevare che la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi ad affermare un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio – il che non è avvenuto nella specie, nei limiti in cui i vizi motivazionali ora rilevano, vedi quanto appresso precisato -, restando peraltro escluso che là sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo (Cass. 2/04/2009, n. 8023; Cass., ord., 26/02/2020, n. 5279).

La censura della ricorrente veicolata espressamente come violazione di legge ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione agli artt. 2727- 2729, oltre che alla L. n. 194 del 1978, art. 4 (v. rubrica del mezzo all’esame), si risolve, in sostanza, in un diverso apprezzamento della ricostruzione della questio facti, e in definitiva, nella prospettazione di una diversa, ricostruzione della medesima questio, tendendo così a sollecitare un controllo sulla motivazione del giudice in relazione a detta ricostruzione, non consentita in questa sede, se non nei ristretti limiti di cui appresso.

Infatti, osserva il Collegio come la combinata valutazione delle circostanze di fatto indicate dalla Corte territoriale a fondamento del ragionamento probatorio in concreto eseguito (secondo il meccanismo presuntivo di cui all’art. 2729 c.c.) non può in alcun modo considerarsi priva, ictu oculi, di quella minima capacità rappresentativa suscettibile di giustificare l’apprezzamento ricostruttivo che i giudici del merito hanno ritenuto di porre a fondamento del ragionamento probatorio argomentato in sentenza, anche alla luce delle allegazioni e dei rilievi attorei, con la conseguente oggettiva inidoneità della censura in esame a dedurre la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., nei termini analiticamente indicati da Cass., Sez. Un., 24/01/2018, n. 1785 (v. in motivazione sub par. 4. e segg.).

Pertanto, nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe del motivo d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ubi consistam delle censure sollevate dall’odierna ricorrente deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla Corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti e dei fatti di causa ritenuti rilevanti; tale operazione critica appare con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato.

Alla luce di quanto appena precisato, va ribadito che il motivo d’impugnazione, così come formulato, deve ritenersi inammissibile, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante, sul quale la sentenza doveva pronunciarsi, non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5, ai fini del controllo della legittimità della motivazione, nella prospettiva di una riqualificazione della censura auspicata in memoria dalla ricorrente.

1.5. Quanto, ai denunciati vizi motivazionali, cui pure si fa riferimento nell’illustrazione del motivo (v. p. 13 e p. 14 -15 del ricorso), si osserva, infatti, che la ricorrente, lungi dal proporre delle doglianze che rispettano il paradigma legale di cui dell’art. 360 c.p.c., novellato n. 5, ripropone, inammissibilmente, lo stesso schema censorio della norma appena richiamata nella sua precedente formulazione, inapplicabile ratione temporis. Ed invero, le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 8053 del 7/04/2014, hanno affermato il principio, ribadito più volte, secondo cui la già richiamata riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia – nella specie all’esame non sussistente – si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

Questa Corte ha pure precisato che è denunciabile l’anomalia motivazionale che si concretizza nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, quale ipotesi che non rende percepibile l’iter logico seguito per la formazione del convincimento e, di conseguenza, non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice (Cass., ord., 17/05/2018, n. 12096), laddove, nella specie, è ben percepibile l’iter logico seguito dalla Corte di appello, precisandosi che l’affermazione di tale Corte in relazione ai termini in cui può essere praticata l’amniocentesi (e di cui a p. 18 della sentenza impugnata) non può essere considerata isolatamente, ma va rapportata a quanto poi precisato nell’ultimo capoverso della medesima pagina della sentenza di secondo grado.

Va pure osservato che le Sezioni Unite, con la già richiamata pronuncia, hanno pure precisato che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, così come da ultimo riformulato, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, la ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

2. Con il secondo motivo si lamenta “Violazione e falsa applicazione della L. n. 194 del 1978, art. 6 e artt. 2627 – 2727 – 2729 c.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione al capo della sentenza che esclude l’esistenza dei presupposti previsti dalla L. n. 194 del 1978, art. 6, in contrasto con i principi formulati dalla Suprema Corte in ordine alla loro prova per presunzioni semplici”.

Secondo la ricorrente, la ricostruzione operata dalla Corte di merito in relazione all’insussistenza degli elementi oggettivi da cui desumere il grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna e che avrebbe legittimato il ricorso alla IVG ai sensi della L. n. 194 del 1978, art. 6, sarebbe in contrasto con i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità.

Sostiene la K. che, pacifica la richiesta di accertamenti dei medici sulla salute del feto disposti da medico diverso dal Dott. C., stante l’esistenza di gravi malformazioni del feto e allegato il grave turbamento fisico seguitone nella madre (che avrebbe tentato il suicidio), dovrebbe ritenersi corrispondente alla regolarità causale che la nascita avrebbe prodotto nella madre “grave pericolo per la salute fisica o psichica”.

Ad avviso della ricorrente, il ragionamento della Corte territoriale si scontrerebbe con i principi affermati da Cass. 10/11/2010, n. 22837, in quanto non sarebbe necessario che l’attrice individui esplicitamente la malattia (il grave pericolo per la salute fisica o psichica), essendo sufficiente che, date le condizioni peculiari allegate, sia più probabile che non che una tale malattia insorga. La Corte di merito avrebbe omesso di valutare gli elementi fattuali emersi nel corso del giudizio (tentativo di suicidio arbitrariamente ricollegato a mero episodio causato da crisi post partum, concatenazione tra tale tentativo e la dimissione dall’ospedale subito dopo la conferma della malformazione della neonata) e avrebbe, quindi, omesso di seguire i criteri guida indicati dalla giurisprudenza di legittimità per la valutazione della prova presuntiva e, qualora non avesse ritenuto già ammesse le circostanze per mancata contestazione delle parti, quella Corte avrebbe dovuto disporre la prova sui capitoli richiamati nell’impugnazione incidentale.

2.1. Il motivo deve essere disatteso.

2.2. Anche il secondo motivo, come già evidenziato in relazione al primo mezzo, si risolve, in sostanza, in un diverso apprezzamento della ricostruzione di questioni di fatto e, in definitiva, nella prospettazione di una diversa ricostruzione delle medesime, tendendo così a sollecitare un controllo sulla motivazione del giudice in relazione a detta ricostruzione, non consentita in questa sede, se non nei ristretti limiti già sopra precisati, rilevandosi che, con il mezzo all’esame, non sono state veicolate censure motivazionali nel rispetto dei principi affermati da questa Corte (Cass., 7/04/2014, n. 8053) e che la Corte di merito, tenuto conto del quadro assertivo e probatorio offerto dalla parte attrice, ha valutato complessivamente le risultanze istruttorie, pur pervenendo a conclusioni diverse da quelle auspicate dalla ricorrente.

Va pure osservato che la Corte di merito ha affermato che correttamente il Tribunale ha ritenuto irrilevante l’unico capo di prova orale articolato in relazione ad un asserito trauma subito dalla K., risalente al giorno successivo alle dimissioni dall’ospedale dopo il parto e inerente ad un tentativo di gettarsi dal balcone della sua abitazione, sul rilievo che la mera conferma di tale circostanza non fosse un indizio utile ed univoco in relazione ai requisiti di cui alla L. n. 194 del 1978, in considerazione del fatto che trattavasi di episodio isolato e di per sè riconducibile anche a ricorrenti crisi post partum, non necessariamente legate alla malformazione del neonato, e che tale motivazione non è stata fatta oggetto di specifica impugnazione per censurare la mancata ammissione di detta prova, rimarcandosi, peraltro, che la ricorrente si è limitata a sostenere che la Corte di merito, qualora non avesse “ritenuto ammessa la circostanza” avrebbe dovuto disporre la prova orale sui capitoli richiamati nella impugnazione incidentale, neppure riportati in ricorso, con conseguente difetto di specificità della censura sul punto e conseguente inammissibilità della stessa.

3. Con il terzo motivo si denuncia “Violazione della L. n. 194 del 1978, artt. 4-6 e dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per erronea valutazione in ordine alla mancata contestazione della convenuta ASL AL sussistenza dei requisiti ex lege previsti per il ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza in capo all’attrice”.

3.1. Il motivo è inammissibile, trattandosi in realtà di un non motivo, essendosi la ricorrente limitata a riportare un brano tratto da p. 11 della sentenza della Corte di merito senza nulla argomentare sul punto, sicchè manca, in sostanza, l’illustrazione del motivo.

Ricorso incidentale C..

4. Con il primo motivo si deduce “Violazione e falsa applicazione dell’art. 1363 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

C.L. rappresenta che la Corte territoriale, nel valutare la rilevanza probatoria dell’informativa scritta consegnata alla K. (ritenuta da quella Corte “pienamente in possesso dell’uso della lingua italiana”), ha dapprima affermato che in detto modulo viene spiegato in modo semplice e chiaro che il bitest consiste in una mera elaborazione statistica, che si limita ad esprimere un rischio aumentato o ridotto della sindrome di Down e di Trisomia 18, ma che non è di certo affidabile per escluderne o affermarne la presenza, così che anche in caso di esito positivo si sarebbe dovuto necessariamente procedere ad esami di approfondimento diagnostico e non si sarebbe potuto tout court procedere all’IGV. Evidenzia il ricorrente incidentale che quella stessa Corte ha pure poi affermato che “quand’anche si potesse attribuire alla consegna di tale modulo una sufficiente valenza informativa di queste circostanze, esso non è invece sufficiente per fornire la seconda parte delle informazioni dovute, ovvero che anche in presenza di un esito negativo (e specialmente alla luce del risultato solo di poco al di sotto del cut off) gli unici esami idonei sarebbero stati l’amniocentensi o la villocentesi… Invero nel modulo consegnato le informazioni contenute relative alla necessità/opportunità di procedere all’amniocentesi o villocentesi erano legate solo all’ipotesi di esito positivo del bitest e non precisavano in modo netto la presenza di alcuna opportunità o necessità di una loro effettuazione per avere comunque certezza dell’inesistenza della malformazione, anche in caso di esito negativo”.

Così statuendo, la Corte di merito sarebbe incorsa nella violazione dell’art. 1363 c.c., ad avviso del C., il quale evidenzia che “l’esame isolato ed estrapolato dal suo contesto dell’ultima parte del modulo consegnato alla Sig.ra K. ha condotto l’organo giudica(n)te ad attribuire alle indicazioni ivi contenute una valenza informativa limitata e parziale, al punto da essere considerata non idonea a rendere noto alla gestante che anche in caso di esito negativo del bitest, per avere certezza dell’inesistenza della malformazione era necessaria l’effettuazione di esami quali l’amniocentesi e la villocentesi”. La lettura combinata dell’ultima parte dell’informativa, relativa al caso di screening negativo, con quella fornita in precedenza, nello stesso modulo, con riferimento al caso di screening positivo, renderebbe evidente che anche in caso di test negativo gli ulteriori accertamenti diagnostici da effettuare, per raggiungere idonee certezze, erano gli stessi indicati in caso di test positivo.

Pertanto, dovendosi ritenere fornita la prova documentale che la K. fosse stata compiutamente informata sia della valenza statistica del bitest sia della necessità, per ottenere certezze scientificamente indiscutibili, di effettuare l’amniocentesi e o la villocentesi, le domande attoree avrebbero dovuto essere rigettate non solo per essere stata esclusa la configurabilità del nesso causale tra le omesse informative e la nascita di Co.No.Mi. ma per essere stato dimostrato che le informative non furono omesse ma furono adeguatamente fornite.

4.1. Il motivo è inammissibile.

Ed invero, il mezzo all’esame, proposto come non condizionato all’esito del ricorso principale, è inammissibile per carenza di interesse, alla luce del principio più volte affermato da questa Corte e che va ribadito in questa sede, secondo cui il ricorso incidentale per cassazione, anche se qualificato come condizionato, presuppone la soccombenza e non può, quindi, essere proposto dalla parte che sia risultata completamente vittoriosa nel giudizio di appello (Cass., 16/01/2015, n. 658; Cass. 7/03/2016, n. 4472).

5. Con il secondo motivo si denuncia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Sostiene il ricorrente incidentale che la Corte territoriale, avendo erroneamente interpretato, in violazione di uno specifico canone ermeneutico, come già rappresentato nel primo motivo di ricorso incidentale, il significato della più volte menzionata informativa, sarebbe stata indotta non solo a privare detto documento della sua efficacia probatoria “diretta” ma anche della sua rilevanza indiziaria, che, se riconosciuta, avrebbe consentito di valorizzare, in applicazione dell’art. 2729 c.c., le testimonianze rese dalle infermiere che avevano operato in consultorio unitamente al Dott. C. e che avevano riferito della prassi, negli anni oggetto di causa, di informare le pazienti che anche in caso di esito negativo del bitest, solo gli esami di amniocentesi e villocentesi consentivano di aver certezza circa l’insussistenza di trisomia 21 o 18.

5.1. Il motivo è inammissibile, per le medesime considerazioni espresse in relazione al primo mezzo del ricorso incidentale.

6. In conclusione, alla luce di quanto sopra evidenziato, il ricorso principale deve essere rigettato e il ricorso incidentale deve essere dichiarato inammissibile.

7. Tenuto conto dell’esito dei ricorsi proposti, le spese del giudizio di cassazione vanno compensate per intero tra la ricorrente principale e il ricorrente incidentale; parimenti vanno compensate dette spese tra i predetti ricorrenti e l’Assicuratrice Milanese S.p.a., non essendo state proposte, nei confronti della stessa e del suo assicurato, Dott. Ca., richieste in questa sede; le spese del presente giudizio di legittimità tra la ricorrente principale e ASL AL, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza, mentre non vi è luogo a provvedere per dette spese nei confronti degli intimati, non avendo gli stessi svolto attività difensiva in questa sede.

8. Va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per i rispettivi ricorsi, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale; condanna la ricorrente al pagamento, in favore di ASL AL, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge; compensa le spese del presente giudizio di legittimità tra la ricorrente principale e il ricorrente incidentale e tra i predetti ricorrenti e l’Assicuratrice Milano S.p.a.; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per i rispettivi ricorsi, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2020

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