LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –
Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 7241/2015 proposto da:
T.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CRESCENZIO 20, presso lo studio dell’avvocato SALVINO GRECO, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati GAETANO DE RUVO, DANIELA ANZIANO, SAMUELA PISCHEDDA;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 8240/2014 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 17/09/2014 R.G.N. 20787/2012;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 15/09/2020 dal Consigliere Dott. ROBERTO BELLE’.
RITENUTO
Che:
il Tribunale di Roma ha rigettato l’opposizione agli atti esecutivi proposta dall’avv. T.G. avverso l’ordinanza con cui il giudice dell’esecuzione aveva a propria volta respinto, per indebita parcellizzazione del credito, l’istanza di assegnazione delle somme pignorate dalla predetta in danno all’I.N.P.S.;
in fatto è accaduto che l’avv. T., distrattaria delle spese processuali in vari provvedimenti giudiziali emessi tra il 2000 ed il 2002, dopo avere originariamente azionato esecutivamente il credito per tali spese e gli accessori fiscali e previdenziali, avesse poi agito con ulteriori atti di precetto per la quota di spese generali non liquidate nei predetti titoli, sul presupposto che solo successivamente questa Corte avesse maturato un orientamento secondo cui quegli importi potessero essere ritenuti far parte del titolo sebbene da esso non espressamente contemplati;
il Tribunale di Roma, nel decidere nei termini di cui sopra, segnalava come dal 2003 l’orientamento giurisprudenziale fosse nel senso del rientrare nel titolo anche delle spese generali, sebbene in esso non menzionate, per concluderne che l’avere proceduto esecutivamente nel 2011 solo per esse costituiva un indebito frazionamento di un credito unitario;
la T. ha proposto ricorso per cassazione con un unico articolato motivo, resistito da controricorso dell’I.N.P.S..
CONSIDERATO
Che:
con l’unico motivo di ricorso la T. afferma (art. 360 c.p.c., n. 3), la violazione o falsa applicazione degli artt. 112,115,116,100 c.p.c. e art. 2697 c.p.c., oltre a vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, argomentando in sostanza rispetto al fatto che, al momento della notificazione del primo precetto, non avrebbe potuto essere richiesta la quota per spese generali, in quanto il relativo diritto è stato riconosciuto come facente parte del titolo solo dalla giurisprudenza successiva;
il motivo è inammissibile;
il ragionamento della ricorrente, per essere seguito, avrebbe dovuto essere completato, nel suo contesto discorsivo, dalla specifica affermazione e precisazione delle date di notificazione dei precetti;
solo tali date potrebbero infatti avvalorare l’affermazione per cui all’epoca non fossero ancora maturati gli orientamenti su cui fondare la richiesta delle spese generali nonostante esse non fossero state contemplate nel provvedimento giudiziale-titolo esecutivo, di modo da escludere altresì la possibilità di ravvisare un abusivo frazionamento, per il fatto che l’esercizio di quella pretesa, per quell’epoca, non avrebbe potuto essere ragionevolmente ipotizzato;
tuttavia, i contenuti argomentativi del ricorso, i quali devono indispensabilmente emergere dall’atto a pena di inammissibilità (c.d. principio di autosufficienza o, meglio, di specificità) non recano l’indicazione puntuale ed esatta di tali date, delle quali non può richiedersi al giudice di effettuare una ricerca in uno o più documenti interpolati al ricorso stesso, magari ricostruendo una connessione logica tra essi (come ad es. tra atto di precetto e documenti relativi alla sua notificazione) non esplicitamente affermata dalla parte;
il principio di libertà di forme di cui all’art. 121 c.p.c., non permette in effetti di escludere radicalmente che nel contesto dell’atto-ricorso per cassazione siano inseriti documenti (come anche grafici o altre forme), finalizzati alla migliore comprensione del testo (Cass. 17 maggio 2017, n. 12415);
tuttavia, tale possibilità ed il predetto principio non hanno nulla a che vedere con i requisiti di contenuto del ricorso stesso, il quale deve consistere di motivi ed argomentazioni espressi mediante la concatenazione sintattica di parole, frasi e periodi e non attraverso documenti o altre forme che impongono all’interprete operazioni di traduzione in discorso linguistico e magari anche di individuazione delle connessioni logiche tra i documenti stessi;
altrimenti si rimette totalmente al giudice, quale destinatario dello scritto così formato, la declinazione di esso in forma argomentativa, se non anche l’attribuzione di significato e di rilevanza a fini impugnatori ai segni – quali date, figure, espressioni non consistenti in frasi – in tal modo variamente riprodotti;
ciò non è consentito dall’art. 366 c.p.c. (v. Cass. 4 aprile 2018, n. 8245; Cass. 30 ottobre 2015, n. 22185) e dall’esigenza di specificità ad esso sottesa, la quale è da intendere, in una logica di chiarezza e autoresponsabilità, anche come necessaria espressione completa del senso del ricorso mediante un discorso linguistico organizzato ed interamente percepibile e comprensibile come tale;
le spese del grado seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere alla controparte le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 15 settembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2020
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