Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza Interlocutoria n.3553 del 13/02/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 1122/2017 proposto da:

AZIENDA SPECIALE CONSORTILE CONSORZIO SERVIZI SOCIALI DELL’OLGIATESE, in persona del presidente del consiglio di amministrazione legale rappresentante p.t. Avv. C.V., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L. ANDRONICO 24, presso lo studio dell’avvocato ILARIA ROMAGNOLI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCESCO TREBESCHI;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI GRAVINA DI PUGLIA, in persona del Sindaco Dott. V.A. legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MUZIO CLEMENTE 9, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE RAGUSO, rappresentato e difeso dall’avvocato MARIA GURRADO;

COMUNITA’ SAN GIUSEPPE RIFUGIO CUOR DI GESU’, in persona del legale rappresentante pro tempore P.A.D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 14 A-4, presso lo studio dell’avvocato GABRIELE PAFUNDI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIANFRANCO GARANCINI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2091/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 27/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 09/10/2019 dal Consigliere Dott. PASQUALE GIANNITI.

RILEVATO IN FATTO E RITENUTO IN DIRITTO 1. L’Azienda Speciale Consortile – Consorzio Servizi Sociali dell’Olgiatese (di seguito il Consorzio) ricorre avverso la sentenza n. 2091/2016 della Corte di Appello di Milano che – respingendo l’impugnazione da essa proposta nei confronti della Comunità San Giuseppe/Rifugio Cuor di Gesù (di seguito la Comunità) e del Comune di Gravina in Puglia (di seguito il Comune) – ha integralmente confermato la sentenza n. 32/2015 del Tribunale di Como.

2 La controversia ha riguardato l’individuazione del soggetto tenuto al pagamento della retta relativa alla minore M.M. (nata il *****), ospite della Comunità, in esecuzione del provvedimento 7/5/2013 emesso dal Tribunale per i Minorenni di Milano (di seguito T.M.).

Con detto provvedimento il T.M., dato atto della separazione dei genitori della minore e degli episodi di violenza domestica dei quali la stessa pareva essere stata vittima, in attesa dei necessari approfondimenti, aveva limitato la potestà dei genitori ed aveva affidato M. “all’ente tenuto per legge agli interventi in favore di minori soggetti a provvedimento dell’Autorità Giudiziaria ed ai relativi oneri” affinchè la mantenesse in comunità protetta.

Il Consorzio (del quale faceva parte il Comune di Binago, in provincia di Como, ove M.M. risiedeva con la madre all’atto dell’emissione del provvedimento del T.M.) aveva corrisposto il 50% delle rette, sulla base dell’assunto che, in base alla normativa regionale lombarda, dell’altro 50% doveva farsi carico il Comune di Gravina, in provincia di Bari, dove risiedeva il padre della minore (una volta allontanatosi dalla famiglia).

Al contrario, il Comune di Gravina aveva contestato di essere tenuto al pagamento di alcunchè, in quanto la normativa della regione Puglia indicava quale soggetto tenuto al pagamento dell’intera retta il Comune, nel quale risiede il minore nel momento in cui si manifesta la necessità di intervento (e, dunque, il Comune di Binago; e, per esso, il Consorzio).

Era così accaduto che la Comunità con ricorso 25/3/2014, presentato ai sensi dell’art. 702 bis c.p.c., si era rivolto al Tribunale di Como, chiedendo che fosse giudizialmente individuato l’ente tenuto a corrispondere ad essa la retta per il mantenimento della minore, con conseguente condanna di detto individuando ente a corrispondere l’intero dovuto (integrando altresì le somme non corrisposte dal maggio 2013).

Si erano costituiti in giudizio il Consorzio, che aveva preliminarmente eccepito la giurisdizione del giudice amministrativo, ed il Comune di Gravina, che aveva preliminarmente eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva. Entrambi i convenuti avevano contestato la domanda attorea.

Il Tribunale di Como, disposto il mutamento del rito e respinta l’eccezione di carenza di giurisdizione sollevata dalla difesa del Consorzio, in accoglimento della domanda proposta dalla Comunità, aveva condannato il Consorzio:

a) a corrispondere alla Comunità “tutta la parte non corrisposta e illegittimamente trattenuta (pari al 50%) delle rate mensili pregresse a far tempo dal maggio 2013 fino all’effettivo e completo soddisfo, maggiorato degli interessi legali dalla domanda al saldo”, in relazione al mantenimento, all’accoglienza ed all’assistenza della minore M.M., collocata presso la comunità su disposizione del Tribunale per i Minorenni di Milano;

b) a pagare in futuro le rette mensili relative alla stessa minore ed a rifondere le spese processuali sostenute dalla Comunità;

c) a rifondere le spese processuali sostenute dal Comune di Gravina in Puglia, del quale aveva dichiarato il difetto di legittimazione passiva.

In particolare, il giudice di primo grado, aveva individuato nel Comune di Binago il soggetto tenuto all’integrale pagamento della retta, in quanto: a) al momento dell’emissione del provvedimento del T.M. M.M. risiedeva a *****; b) il Consorzio invocava l’applicazione della normativa della Regione Lombardia (che effettivamente prevedeva la ripartizione degli oneri per l’ospitalità di minore fra i comuni di residenza dei suoi genitori, ove diversi), ma detta normativa non era applicabile nel caso di specie, in quanto il padre di M.M. risiedeva (non in *****, ma) in ***** e tale regione aveva adottato una normativa diversa, peraltro in linea con le disposizioni della Legge Statale 8 novembre 2000, n. 328; c) in considerazione del contrasto fra le normative regionali, si dovevano applicare le disposizioni della Legge Statale, in base alle quali l’ente tenuto al pagamento delle rette (per intero) era il Comune di Binago (e, per esso, il Consorzio).

Avverso la sentenza di primo grado aveva proposto appello il Consorzio, che: a) in primo luogo aveva riproposto l’eccezione di carenza di giurisdizione del giudice ordinario, assumendo che la controversia rientrava nella giurisdizione del giudice amministrativo e rilevando che la giurisprudenza citata nella sentenza impugnata, per affermare la giurisdizione del giudice ordinario, era antecedente l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 104 del 2010; b) sempre in via di principalità, aveva dedotto il proprio difetto di legittimazione passiva; c) nel merito, aveva osservato di non essere tenuto al pagamento di alcunchè alla Comunità, dal momento che M.M. sino al 9 febbraio 2014 (e dunque sino a data successiva l’emissione del provvedimento del T.M.) era residente in *****, Comune che non faceva parte del Consorzio dell’Olgiatese, e solo in tale data (successiva al suo ingresso in comunità) si era trasferita a *****; d) in via subordinata, aveva dedotto di avere in ogni caso assolto compiutamente l’obbligo di pagamento assunto con la dichiarazione di disponibilità inviata alla Comunità in data 15 maggio 2013, nella quale aveva chiarito che il Consorzio avrebbe pagato metà della retta (il che era puntualmente avvenuto) e che l’altra metà avrebbe dovuto essere richiesta al Comune di Gravina; e) in ogni caso aveva chiesto ordinarsi la restituzione delle somme da esso versate alla Comunità in esecuzione della sentenza di primo grado.

Si erano costituiti gli appellati, che avevano chiesto la conferma della sentenza di primo grado, con vittoria di spese del grado.

3. La Corte territoriale, con la impugnata sentenza, come sopra rilevato, ha integralmente confermato la sentenza di primo grado.

3.1. In primo luogo, la corte di merito ha ribadito la giurisdizione del giudice ordinario sulle domande dl pagamento proposte dalla Comunità, argomentando che:

a) come statuito in più occasioni dalle Sezioni Unite di questa Corte (puntualmente richiamata nella impugnata sentenza): le controversie patrimoniali tra comuni ed enti erogatori circa gli obblighi di assistenza non rientrano fra quelle per le quali vi è la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in quanto non afferiscono a rapporti costituiti o modificati da provvedimenti amministrativi, ricollegandosi le obbligazioni che ne scaturiscono a presupposti prefigurati dalla legge; in particolare, la Legge Quadro Statale 6 novembre 2000, n. 328 configura espressamente le prestazioni assistenziali come oggetto di diritto delle persone che si trovino in stato di bisogno, senza che la nascita dl tale diritto sia condizionata all’emanazione di atti discrezionali; la giurisdizione del giudice ordinario è estesa anche, in caso di azione promossa dal soggetto che gestisce la struttura residenziale, all’individuazione del soggetto tenuto al pagamento della retta;

b) tutti detti principi, affermati dalle Sezioni Unite, permangono validi anche dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, in quanto, anche in base a detto decreto (in particolare all’art. 7, che prevede che siano “devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi, concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni”), va affermata in materia la giurisdizione del giudice ordinario, non essendo in essa rinvenibile alcun esercizio di “potere amministrativo”;

c) il Consorzio, al fine di affermare la giurisdizione amministrativa, aveva invocato il D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 133, comma 1, lett. c) e lett. a), n. 2, assumendo che nella vicenda era ravvisabile l’esplicitazione del potere della Pubblica Amministrazione (essendo stata chiesta l’accoglienza della minore in Comunità dall’ente erogatore del servizio all’ente che tale servizio gestiva per conto del Comune, con un procedimento assimilabile alla concessione di pubblico servizio); ma tale prospettazione non era condivisibile, posto che l’accoglienza era stata richiesta in ottemperanza a provvedimento giudiziale (del T.M.) che l’aveva prescritta, sicchè non era ravvisabile, nella fattispecie, alcuna esplicazione del potere amministrativo.

3.2. Ribadita la giurisdizione del giudice ordinario, la Corte territoriale ha a sua volta individuato il Consorzio quale soggetto obbligato al pagamento della retta, in quanto:

a) M.M. risiedeva nel Comune di ***** dal ***** (e non dal *****, come indicato a pag. 3 dell’atto di appello): ciò risultava chiaramente dal doc. 3 prodotto in primo grado dallo stesso Consorzio, nel quale il Comune di Binago aveva attestato che la minore ed il suo nucleo familiare erano ivi residenti e risultavano iscritti all’anagrafe di quel Comune dal *****, “Immigrati da *****”;

b) il decreto del Tribunale per i Minorenni aveva indicato quale ente affidatario (non il Comune di Mainate, ma, più genericamente, l’Ente territoriale), da individuarsi pertanto nel Comune di *****, ove la minore era residente alla data del 7 maggio 2013;

c) se l’Ente affidatario fosse stato *****, non era dato comprendere il motivo del tempestivo intervento del Consorzio, per conto del Comune dl Binago, e neppure l’impegno, dallo stesso spontaneamente assunto, nel maggio 2013, al pagamento del 50% della retta.

3.3. Infine, dopo il giudice di primo grado, anche la Corte di merito ha ritenuto applicabile alla fattispecie la L. n. 328 del 2000, art. 6, comma 4 (in base al quale “per i soggetti per i quali si renda necessario il ricovero stabile presso strutture residenziali, il comune nel quale essi hanno la residenza prima del ricovero, previamente informato, assume gli obblighi connessi all’eventuale integrazione economica”), in quanto:

a) il richiamo all’art. 73 legge c.d. Crispi era inconferente, non foss’altro che per l’abolizione, ormai risalente, della “patria potestà”;

b) era condivisibile il principio, affermato nella sentenza impugnata, a tenore del quale deve essere applicata la legge statale (nella specie il D.Lgs. n. 328 del 2000, art. 6) ogniqualvolta sussista contrasto fra le normative regionali astrattamente applicabili;

c) nel caso di specie, in cui si discute (non della prestazione erogata, ma) dell’individuazione dei soggetti tenuti al pagamento, non veniva in rilievo soltanto la normativa della regione Lombardia (regione nella quale ha sede la Comunità che ha erogato la prestazione) ma anche la normativa della regione Puglia (regione nella quale si trovava anche il Comune di Gravina, in ipotesi tenuto al pagamento della prestazione); orbene, in base ai principi generali, era da escludersi che una regione, con la propria legislazione, potesse imporre ad un comune, compreso in altra regione, oneri economici, che la legge di quella regione, invece, esclude; tanto più che la L.R. n. 19 del 2013, richiamata dal Consorzio a sostegno delle sue ragioni, aveva ad oggetto “Disposizioni per l’attuazione della programmazione economico-finanziaria regionale”, e come tale era necessariamente circoscritta all’ambito della Regione Lombardia;

d) anche nel caso in cui fosse nella specie applicabile la L.R. n. 19 del 2013, non era per nulla certo che il Comune di Gravina fosse tenuto al pagamento del 50% della retta: sia perchè la L.R. Lombardia n. 19 del 2013 (l’unica che contiene una disposizione che espressamente suddivide le spese fra i due comuni di residenza dei genitori, ove diversi) era successiva al provvedimento del T.M., e, pertanto non sarebbe comunque applicabile alla fattispecie in esame; sia perchè la ripartizione delle spese fra i diversi Comuni di residenza dei genitori è limitata all’ipotesi in cui al minore sia stato nominato un tutore, circostanza questa che nella specie non ricorreva;

e) tutte le altre disposizioni regionali richiamate anche dal Consorzio facevano riferimento, per l’imputazione della spesa, al Comune (uno solo) di residenza del minore, chiarendo che esso si identifica con la residenza dei genitori esercenti la potestà (ora responsabilità) genitoriale: ciò sull’evidente presupposto che i genitori abbiano la stessa residenza; mentre nel caso in cui tale presupposto non ricorre (come per l’appunto nel caso in esame, nel quale la madre risiedeva a ***** ed il padre a *****), si deve avere riguardo al Comune di residenza del minore (nella specie il Comune di Binago), e non alle due diverse residenze dei suoi genitori (facendo riferimento infatti le norme richiamate “al” Comune ed “alla” residenza dell’assistito, e non potendo essere quest’ultima che una sola);

f) la normativa regionale, laddove ha inteso suddividere le spese fra due comuni (e cioè nell’ipotesi di nomina del tutore a minore i cui genitori risiedano in due Comuni diversi), lo ha espressamente previsto.

4. Avverso la sentenza della Corte territoriale ha proposto ricorso il Consorzio, formulando sei motivi (tutti, salvo il secondo, articolati in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

4.1. Con il primo motivo, ha denunciato la falsa applicazione dell’art. 133, comma 1, lett. a), n. 2 e lett. c), deducendo la natura autoritativa degli atti da esso posti in essere in relazione all’inserimento della minore in Comunità e comunque l’afferenza della materia alla competenza esclusiva del giudice amministrativo. Ha sostenuto detta afferenza: sia in considerazione dei compiti propri dei servizi sociali comunali (in relazione al mantenimento dei minori agli stessi servizi sociali affidati) derivanti dalla L. n. 328 del 2000, art. 6, comma 1; sia perchè la materia rientrerebbe nell’ambito dei servizi pubblici o comunque degli accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento amministrativo, pure inclusi nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

4.2. Con il secondo motivo, articolato in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, ha denunciato violazione dell’art. 112 c.p.c., nella parte in cui la Corte territoriale ha omesso di pronunciarsi sul motivo di appello II bis dell’atto di citazione in appello (con il quale si era lamentato che il Tribunale non aveva tenuto conto dei criteri di riparto, dettati dall’art. 117 Cost., al fine di individuare la legislazione, nazionale o regionale, da applicare nella specie). Ha rilevato che la sentenza di primo grado era stata impugnata per 5 motivi; in particolare, il motivo II evidenziava come anche la normativa statale dovesse essere intesa nel senso che gli oneri del servizio gravano sul Comune di residenza di ciascun genitore; il motivo II bis evidenziava che, in ogni caso, la scelta tra la normativa statale e quella regionale non potesse prescindere dai criteri adottati dall’art. 117 Cost. (in base al quale, come è noto, la materia dei servizi sociali rientra nell’ambito della competenza residuale regionale); il motivo III evidenziava come la scelta tra le diverse discipline regionali dovesse essere risolta a favore di quella lombarda in applicazione del principio di territorialità. Ha osservato che la Corte, considerando detti motivi come un unico articolato motivo, aveva finito con l’omettere di pronunciarsi su tutta la domanda, e, in particolare, sulla doglianza contenuta nel motivo II bis.

4.3. Con il terzo motivo, ha denunciato la violazione dell’art. 117 Cost., deducendo che il criterio (utilizzato nella sentenza impugnata) per cui la normativa statale dovrebbe essere applicata ogniqualvolta sussista contrasto fra le normative regionali astrattamente applicabili non soltanto non è previsto da alcuna norma, ma è anzi in contrasto con l’art. 117 Cost., che al comma 4, devolve la materia dei servizi sociali alla competenza residuale del legislatore regionale.

4.4. Con il quarto ed il quinto motivo, ha denunciato la violazione del principio di territorialità, nonchè della L.R. Lombardia n. 19 del 2013, L.R. Lombardia n. 3 del 2008, art. 8 e della L.R. Lombardia n. 34 del 2004, art. 4. Ha dedotto che – una volta accertato che la fattispecie va inquadrata nell’ambito della legislazione regionale in quanto afferente alla materia dei servizi sociali – la scelta tra le diverse normative regionali va operata sulla base del principio di territorialità, con la conseguenza che, in materia di servizi sociali, tra le diverse normative regionali si deve applicare quella che regola la prestazione (cioè, nel caso di specie, la normativa regionale lombarda). Ha sostenuto che la normativa regionale lombarda ha sempre imposto il principio in base al quale gli oneri delle prestazioni residenziali a favore dei minori debbano gravare sui Comuni di residenza dei genitori, e, conseguentemente, quando gli stessi siano residenti in Comuni diversi, vanno ripartite in ragione del 50% per ciascun Comune.

4.5. Con il sesto ed ultimo motivo, ha denunciato falsa applicazione L. n. 328 del 2000, art. 6,L. n. 6972 del 1890, art. 73,L. n. 151 del 1975, art. 210,D.Lgs n. 154 del 2013, art. 105. Ha rilevato che anche la normativa statale (e segnatamente la L. n. 328 del 2000, art. 6, in base al quale i comuni sono titolari delle funzioni amministrative concernenti gli interventi sociali svolti a livello locale e tali funzioni sono esercitate dai comuni adottando sul piano territoriale gli assetti più funzionali alla gestione, alla spesa e al rapporto con i cittadini), come interpretata dalla giurisprudenza di legittimità e dalla prassi, faccia coincidere la residenza del minore con quella dei genitori, così come previsto dalla L. n. 6972 del 1890, art. 73, che non si può ritenere abrogato per il solo fatto che faccia riferimento all’ormai superato concetto di “patria potestà”, da intendersi ora quale “responsabilità genitoriale”, ai sensi della L. n. 151 del 1975, art. 210 e D.Lgs. n. 154 del 2013, art. 105.

5. Hanno resistito con rispettivi controricorsi sia la Comunità che il Comune.

6. In vista dell’odierna adunanza hanno depositato memoria a sostegno dei rispettivi assunti sia il consorzio ricorrente che la comunità resistente.

7. La decisione del ricorso postula la disamina del rapporto esistente, nel vigente quadro costituzionale, tra competenza del legislatore statale e competenza del legislatore regionale nella materia ad esso sottesa, disamina per la quale la Corte ritiene opportuna la trattazione in pubblica udienza.

P.Q.M.

La Corte rinvia il procedimento a nuovo ruolo in pubblica udienza.

Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 febbraio 2020

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