LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –
Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 23174/2016 proposto da:
F.M., in proprio e quale titolare dell’associazione professionale Studio Legale Associato F. e L., elettivamente domiciliato in Roma, Via Nomentana n. 76, presso lo studio dell’avvocato Selvaggi Marco, rappresentato e difeso dall’avvocato Pravisani Giovanni, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Fallimento ***** S.p.a., in persona del curatore avv. O.L., elettivamente domiciliato in Roma, Viale delle Milizie n. 3, presso lo studio dell’avvocato Cefaloni Roberto, rappresentato e difeso dall’avvocato Mancini Fabio, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso il decreto del TRIBUNALE di FROSINONE, del 09/08/2016;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 18/12/2019 dal Cons. Dott. TERRUSI FRANCESCO.
RILEVATO
che:
l’avv. F.M., in proprio e per conto dell’associazione professionale “Studio legale associato F. e L.”, chiese di essere ammesso al passivo del fallimento de ***** s.p.a. per la somma di 199.575,98 Euro, in privilegio ex art. 2751-bis c.c., per compensi professionali maturati in un arco temporale di 20 mesi relativamente a una complessa attività stragiudiziale di ricostruzione delle passività della società (e di un’impresa individuale collegata) onde consentirne poi la cessione unitamente al gruppo;
la domanda fu respinta dal giudice delegato per difetto di idonea documentazione;
il Tribunale di Frosinone, nella resistenza della curatela del fallimento, esperita l’istruttoria accolse parzialmente l’opposizione e ammise al passivo l’associazione professionale per l’importo di 18.919,00 Euro, oltre le spese, col privilegio di cui all’art. 2751-bis c.c., n. 2;
nello specifico, e per quanto ancora interessa, il tribunale ritenne che il credito fosse dovuto limitatamente ad alcune voci (consultazione, posizione e archivio, redazione di lettere, comunicazioni telefoniche o telematiche, esame e studio, conferenze di trattazione fuori sede, assistenza alla stipulazione di accordi, ispezioni ricerche e richieste di documenti, indennità di trasferte), che tuttavia era impossibile determinare nel numero in modo certo; donde, in applicazione del D.M. n. 127 del 2004, reputò congruo quantificare il corrispettivo su base equitativa per l’importo sopra detto;
l’avv. F. ha proposto ricorso per cassazione, in proprio e per conto dell’associazione professionale;
ha articolato due motivi, con all’interno distinte censure;
la curatela ha replicato con controricorso;
le parti hanno depositato memorie.
CONSIDERATO
che:
I. – col primo motivo il ricorrente denunzia la nullità “della sentenza” (rectius: del decreto) per violazione degli artt. 24 e 111 Cost., art. 6 Cedu, artt. 115 e 116 c.p.c., art. 2697 c.c. e L. Fall., art. 99;
nella sostanza ascrive al tribunale di aver ritenuto la genericità della domanda di determinazione del compenso per la mancanza di una parcella comprovante il credito, senza considerare la copiosa documentazione prodotta, le risultanze istruttorie testimoniali e il progetto di notula depositato in sede di insinuazione; egli nello specifico lamenta:
(a) la violazione della L. Fall., art. 99, poichè il giudice dell’opposizione, nell’impossibilità di ricostruire i termini effettivi della domanda in base alla documentazione in atti, era “tenuto a provvedere all’acquisizione della domanda di ammissione al passivo”, e segnatamente era tenuto ad acquisire il suddetto progetto di notula;
(b) la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e art. 2697 c.c., poichè comunque il tribunale non avrebbe potuto riconoscere al solo progetto di notula il valore probatorio decisivo ai fini della dimostrazione dell’ammontare del credito, atteso il principio di disponibilità e di atipicità dei mezzi di prova;
(c) la violazione degli artt. 24 e 111 Cost., oltre che degli artt. 115 e 116 c.p.c., poichè era ingiustificata la decisione del tribunale di non ammettere la prova testimoniale dedotta (della sig.ra R.d.C.D.) su alcuni capitoli di prova, ritenuti generici, essendosi trattato di circostanze comunque decisive e attesa la possibilità di richiedere le eventuali necessarie precisazioni al teste durante l’escussione;
(d) la violazione degli artt. 24 e 111 Cost., art. 2697 c.c. e artt. 115 e 116 c.p.c., visto che comunque ben sarebbe stato possibile al tribunale, anche in mancanza di notula e anche in mancanza della testimonianza indicata, verificare la coerenza delle attività svolte con l’ammontare del credito in virtù della copiosissima documentazione depositata agli atti, essendo alfine da considerare evidente l’incongruità della valutazione fatta dal giudice del merito sul piano equitativo;
II. – col secondo motivo il ricorrente denunzia inoltre l’omesso esame di fatto decisivo (art. 360 c.p.c., n. 5) rappresentato dall’avvenuto riconoscimento del debito da parte della suindicata sig.ra R.d.C.D., nella qualità di presidente del c.d.a. della società ***** e di procuratrice della ditta individuale R.d.C.A.;
III. – il ricorso innanzi tutto è inammissibile nella parte in cui è stato proposto dall’avv. F. in proprio; difatti il decreto impugnato ha motivatamente escluso la legittimazione attiva del medesimo, a fronte della sola legittimazione dell’associazione professionale, e su tale capo della decisione non sono state avanzate censure;
IV. – il ricorso è peraltro inammissibile anche in rapporto alle censure svolte in nome dell’associazione professionale;
il primo motivo, nelle sue varie articolazioni, non tiene conto della effettiva ratio decidendi del tribunale; onde si rivela fallace sia in prospettiva di autosufficienza, sia in prospettiva di specificità;
il tribunale ha osservato: (i) che la domanda di ammissione era generica in punto di quantificazione del credito, “non essendo stata accompagnata dalla produzione di una parcella con indicazione dettagliata delle voci e delle attività professionali svolte, con indicazione dei compensi dovuti secondo le previsioni tariffarie all’epoca vigenti”; (ii) che il documento “pretesamente depositato unitamente all’istanza di ammissione al passivo” in verità non era stato depositato affatto, “come da allegata certificazione di cancelleria”; (iii) che l’istante non aveva precisato gli importi specificamente richiesti neppure in sede di memoria conclusionale;
a fronte di tali rilievi, sono chiaramente inammissibili le doglianze di cui ai punti (a) e (b), sintetizzati nel contesto del sopra indicato primo motivo di ricorso;
lo sono per difetto di pertinenza e di autosufficienza – in quanto non è stata avversata la specifica affermazione contraria del tribunale dedotta dalla certificazione di cancelleria (atto fidefacente fino a querela di falso), a proposito della mancata produzione della notula anche in sede di ammissione, oltre che in sede di opposizione; e in quanto neppure in questa sede, nel corpo del ricorso per cassazione, è stato trascritto il contenuto e della domanda di ammissione e dell’asserito progetto di notula, onde potersi fondatamente contestare la concorrente affermazione del tribunale circa la genericità della domanda;
a loro volta le censure prospettate ai punti (c) e (d) del medesimo primo motivo sono generiche e implicano un sindacato di fatto in ordine alla quantificazione del credito su base equitativa;
in particolare, quella di cui al punto (c), riferita alla decisione del tribunale di non ammettere alcuni capitoli di prova per genericità di formulazione, si infrange col principio per cui “l’indagine del giudice di merito sui requisiti di specificità e rilevanza dei capitoli formulati dalla parte istante va condotta non solo alla stregua della loro formulazione letterale, ma anche in correlazione all’adeguatezza fattuale e temporale delle circostanze articolate” – il che infine il tribunale ha escluso con valutazione in fatto; e inoltre “la facoltà del giudice di chiedere chiarimenti e precisazioni ex art. 253 c.p.c., di natura esclusivamente integrativa, non può tradursi in una inammissibile sanatoria della genericità e delle deficienze dell’articolazione probatoria” (v. Cass. n. 14364-18, Cass. n. 3280-08);
quella di cui al punto (d) si infrange col principio per cui l’esercizio, in concreto, del potere discrezionale del giudice di liquidare un credito in via equitativa non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità quando la motivazione della decisione dia adeguatamente conto dell’uso di tale facoltà, indicando il processo logico e valutativo seguito (v. Cass. n. 5090-16, Cass. n. 18637-17, Cass. n. 24070-17); per quanto tale principio sia stato per lo più affermato in relazione alla liquidazione in via equitativa di un credito risarcitorio, è evidente che lo stesso vale anche laddove sia liquidato equitativamente dal giudice del merito un compenso professionale;
V. – inammissibile infine è il secondo motivo, poichè basato su documenti (lettere e mail di R.d.C.D.) che il tribunale, con affermazione generale e non censurata, ha ritenuto privi di data certa e come tali inopponibili al Fallimento;
in conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile;
le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente alle spese processuali, che liquida in 5.200,00 Euro, di cui 200,00 Euro per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella massima percentuale di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 18 dicembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 17 aprile 2020