LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –
Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 3574/2018 proposto da:
C.F., C.R., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA FRANCESCO DENZA 15, presso lo studio dell’avvocato NICOLA PAGNOTTA, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARLO TRAVERSO;
– ricorrenti –
contro
V.A., M.I., domiciliati ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dagli avvocati PIER GIORGIO PIZZORNI, FRANCESCO LIMA;
– controricorrenti –
e contro
V.A.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 1412/2017 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 26/06/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 13/01/2020 dal Consigliere Dott. Antonella Di Florio.
RILEVATO
che:
1. C.F. e R. ricorrono, affidandosi ad undici motivi illustrati anche da memoria, per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Torino che aveva confermato la pronuncia del Tribunale di Alessandria con la quale, in accoglimento della domanda di M.I. ed V.A., era stato trasferito, ex art. 2932 c.c., l’immobile oggetto del preliminare stipulato in data 1.2.2007 ed erano stati condannati al pagamento di una somma per i titoli dedotti, comprensiva del risarcimento danni per il ritardo nella consegna del bene, ed alla riduzione del prezzo di acquisto per i vizi denunciati.
2. Le parti intimate hanno resistito, proponendo formalmente ricorso incidentale.
CONSIDERATO
che:
1. Preliminarmente, il Collegio rileva che il ricorso incidentale dei controricorrenti deve ritenersi inesistente.
1.1 Si osserva, infatti, che l’atto di costituzione delle parti intimate è titolato” ricorso incidentale e comparsa di costituzione ex art. 370 c.p.c.”, ma che all’interno di esso vengono prospettate soltanto le posizioni difensive volte a contrastare ciascun motivo di ricorso: risulta, invece, del tutto assente la proposizione di censure autonome o dipendenti da quelle prospettate nel ricorso.
1.2. Questa Corte ha, infatti, affermato il principio, condiviso dal Collegio, secondo cui “un controricorso ben può valere come ricorso incidentale, ma, a tal fine, per il principio della strumentalità delle forme – secondo cui ciascun atto deve avere quel contenuto minimo sufficiente al raggiungimento dello scopo occorre che esso contenga i requisiti prescritti dall’art. 371 c.p.c., in relazione ai precedenti artt. 365, 366 e 369, e, in particolare, la richiesta, anche implicita, di cassazione della sentenza, specificamente prevista dell’art. 366 c.p.c., n. 4 (Cass. SU 25045/2016 ed, in termini, Cass. 20454/2005).
1.3. Nel caso in esame, è del tutto assente la stessa formulazione dei motivi, ragione per cui l’atto deve ritenersi privo del contenuto minimo per essere qualificato come dall’intestazione.
2. Sul ricorso.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti: censura, in particolare, la pronuncia di condanna relativa alla messa a norma del “locale taverna” che, invero, non era stato oggetto del preliminare trascritto stipulato l’1.2.2007 in relazione al quale era stata pronunciata la sentenza costitutiva del trasferimento dell’immobile.
2.2. Assume che la Corte aveva omesso di considerare che tale ambiente, richiamato nella descrizione dell’oggetto del contratto da stipulare nella promessa di compravendita del 26.9.2016, non era stato affatto menzionato nel preliminare registrato all’Agenzia delle Entrate di Ovada in data 9.2.2007, atto che, evidentemente, non era stato esaminato e che aveva modificato il precedente accordo: esso, infatti, non menzionava affatto la “taverna” mentre prevedeva soltanto la realizzazione di un locale box auto al piano seminterrato.
2.3. Il motivo è inammissibile.
2.4. In primo luogo si osserva, infatti, che la pronuncia impugnata è conforme a quella di primo grado: ricorre, pertanto, l’art. 348 ter c.p.c. (ratione temporis vigente) a mente del quale il vizio dedotto non poteva essere invocato.
2.5. Ma, anche a voler qualificare la censura con riferimento alle argomentazioni che denunciano l’assenza di motivazione in relazione al contrasto fra promessa di vendita del 26.9.2016 e preliminare registrato dell’1.2.2007, declinandola, con ciò, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, essa manca di autosufficienza, in quanto il preliminare, di cui viene riportato uno stralcio non è stato prodotto in giudizio: la doglianza richiama, infatti, il “doc. 3 prodotto dalla parte attrice” che non è presente nel relativo fascicolo.
2.6. Ciò impedisce alla Corte di apprezzare anche la diversa ipotesi censoria, per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.
3. Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 101,183,163 e 345 c.p.c., relativamente alla pronuncia di messa a norma dell’impianto elettrico e del gas. Richiamano, al riguardo, il punto 7 dell’elenco dei vizi indicati nella perizia del CTU di cui al doc. C) del giudizio d’appello.
3.1. Il motivo è inammissibile.
3.2. Con la censura, infatti, si deduce che la domanda risarcitoria per i presunti vizi dell’impianto elettrico e del gas fosse nuova in quanto era stata tardivamente introdotta per la prima volta nella memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, secondo termine e si trattava, dunque, di un improprio ampliamento della domanda.
3.3. Al riguardo si osserva che la Corte territoriale ha compiutamente vagliato la questione proposta nel relativo motivo d’appello in quanto ha affermato che la contestazione degli attori (evidente lapsus calami laddove la sentenza indica la “parte appellante” al posto di quella “appellata”) in punto di impianto elettrico risalisse all’atto di citazione (pag. 19 sentenza impugnata) nel quale si denunciava – fra le carenze dell’immobile – la mancanza di energia elettrica e tutti i vizi ulteriori, “inclusi quelli non evidenti e visibili” che venivano poi specificati nella seconda memoria istruttoria: la precisazione, pertanto, è stata correttamente qualificata come emendatio libelli e non come mutatio: la motivazione della Corte sul punto è congrua e logica e non è pertanto sindacabile.
3.4. La censura si risolve, dunque, in una impropria e debole riproposizione di una questione di merito, non consentita in questa sede in quanto il fatto è già stato compiutamente esaminato e valutato.
4. Con il terzo, quarto, quinto, sesto, settimo, ottavo, nono e decimo motivo, tutti proposti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, i ricorrenti deducono l’omesso esame dei seguenti fatti decisivi, riferiti tutti alle risultanze della CTU espletata sulla quale, in tesi, i giudici di appello si sarebbero acriticamente “appiattiti”:
a. il rilascio delle certificazioni di conformità di tutti gli impianti (elettrico e gas), alcuni dei quali pagati dagli stessi attori, a dimostrazione dell’inesistenza delle carenze dedunciate (terzo motivo);
b. l’altezza interna del piano residenziale, previo smantellamento della pavimentazione, abbassamento del massetto e rifacimento del pavimento e delle soglie: lamentano una distorta valutazione delle prove testimoniali ed una sottovalutazione della circostanza che il M. aveva pregresse esperienze professionali in materia edilizia (quarto motivo);
c. l’impermeabilizzazione delle pareti perimetrali interrate: i lavori non erano contrattualmente previsti, contrariamente a quanto affermato dal CTU (quinto motivo);
d. la tinteggiatura delle pareti dell’edificio, alle quali non erano tenuti in quanto non era stata pattuita la costruzione della taverna (sesto motivo);
e. la messa a norma dell’autorimessa e la realizzazione della ventilazione del piano seminterrato che erano lavori non dovuti (settimo motivo);
f. la demolizione ed il rifacimento delle finestre della cucina e la sostituzione dei serramenti: la presenza assidua sul cantiere del M. contrastava con la tesi che le opere erano state mal eseguite, anche per l’erronea valutazione delle prove testimoniali (ottavo motivo);
g. la realizzazione dei due locali antibagni (nono motivo):(lamenta che non era stato tenuto conto dalla Corte delle deposizioni testimoniali che contrastavano con le risultanze della CTU;
h. l’erroneo riconoscimento di responsabilità derivante dalla presentazione di una istanza per permesso di costruire in sanatoria, rilasciato a seguito dell’ordinanza (n. 232 del 7.7.2009) del Comune di Castelletto d’Orba, nonostante la produzione in atti delle lettere di contestazione della responsabilità prodotte in giudizio, lettere mai esaminate dal giudice (decimo).
4.1. Tutte le censure sopra sintetizzate sono inammissibili, in primis, ex art. 348 ter c.p.c.: il vizio dedotto, infatti, non è più invocabile (come già affermato in relazione al primo motivo) ove, come nel caso di specie la pronuncia impugnata sia conforme a quella di primo grado.
4.2. Inoltre la critica chiede platealmente una rivalutazione di merito delle emergenze processuali, congruamente esaminate dalla Corte ed in ragione di ciò non consentite in sede di legittimità (cfr. Cass. 8758/2017; Cass. 13721/2018).
5. Con l’undicesimo motivo, infine, i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., relativamente alla pronuncia in punto di spese legali e di CTU: lamentano, al riguardo, che erano stati condannati, nonostante che fosse stata accolta la domanda riconvenzionale volta ad ottenere il diffalco degli importi contrattualmente pattuiti e l’IVA.
A tale esito della controversia, pertanto, non poteva – in tesi – conseguire una condanna secca alle spese di lite, non sussistendo una completa soccombenza.
5.1. Il motivo è inammissibile.
Infatti, la domanda riconvenzionale proposta – sulla quale si basa la critica avanzata – non viene affatto riportata nella censura, e la statuizione del Tribunale, per come sintetizzata nella sentenza impugnata, non la menziona, essendo evidenziata, infatti, una decisione di condanna degli odierni ricorrenti per una somma complessiva (cfr. pag. 9 della sentenza impugnata): la doglianza, pertanto, manca di autosufficienza con violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, non consentendo a questa Corte di apprezzare la denunciata violazione del principio della soccombenza in relazione a quello di causalità che il giudice di merito deve rispettare per evitare soluzioni arbitrarie (cfr. al riguardo, Cass. 3438/2016).
In conclusione, il ricorso è inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte;
dichiara inammissibile il ricorso principale ed inesistente quello incidentale. Condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 10.200,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi oltre ad accessori e rimborso forfettario spese generali nella misura di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 13 gennaio 2020.
Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2020
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