Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.8939 del 14/05/2020

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – rel. Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 5883/2019 proposto da:

Y.E., elettivamente domiciliato in Roma, Viale Angelico n. 38, presso lo studio dell’avvocato Roberto Maiorana, che lo rappresenta e difende in virtù di procura speciale allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, *****, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1699/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 10/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 17/01/2020 dal Consigliere Dott. IRENE SCORDAMAGLIA.

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di Appello di Ancona, confermando la pronuncia di primo grado, ha respinto la domanda di protezione internazionale proposta da Y.E., cittadino del *****.

A sostegno della decisione ha affermato che non sussistevano i presupposti per il riconoscimento nè della protezione sussidiaria, nè della protezione umanitaria.

Quanto alla protezione sussidiaria ha rilevato che i risultati dell’indagine condotta dalla Commissione territoriale e dal Tribunale consentivano di escludere che il richiedente potesse subire, in ipotesi di rimpatrio, alcuno dei danni gravi previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14: e ciò sia con riferimento alle fattispecie di cui alle lettere a) e b), atteso che dalle pur generiche, lacunose e contradditorie dichiarazioni rilasciate dal cittadino ghanese era emerso che le ragioni dell’allontanamento dal Paese di origine erano da individuarsi nel timore, meramente soggettivo, di dovere subire le conseguenze di un incidente verificatosi sul luogo di lavoro, allorchè era divampato un incendio che aveva cagionato gravi danni alle strutture aziendali e il ferimento due colleghi, sia con riferimento alla fattispecie di cui alla lettera c), posto che le informazioni sul Ghana, desunte dal sito internet di Amnesty International (segnatamente report 2017/2018), escludevano che in tale Paese sussistesse una situazione di conflitto interno o di violenza generalizzata.

Quanto alla protezione umanitaria, ha evidenziato che i seri motivi atti a giustificarne il riconoscimento, non emergevano dalla situazione del Paese di origine e che nulla di ulteriore quanto alla sua situazione soggettiva era stato allegato dal ricorrente.

2. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il menzionato cittadino straniero, affidando l’impugnativa a tre motivi.

– Il primo motivo censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame delle dichiarazioni rese dal ricorrente alla Commissione Territoriale e delle allegazioni portate in giudizio per la valutazione della condizione personale del ricorrente.

– Il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione dell’art. 10 Cost. e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, in relazione alle condizioni socio-politiche del Paese di origine del ricorrente, rispetto alle quali la motivazione contenuta nel provvedimento impugnato sarebbe affetta da apoditticità.

– Il terzo motivo censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, il mancato riconoscimento della protezione umanitaria di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e la violazione del principio di non refoulement di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, in relazione all’art. 10 Cost., avendo tra l’altro la Corte territoriale omesso di considerare la bassissima aspettativa di vita dei cittadini ghanesi, cui è riservato un regime di vita ben al di sotto dello standard previsto per la conduzione di un’esistenza dignitosa.

3. Si è costituito il Ministero dell’Interno ed ha resistito con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso è inammissibile.

1. Il primo motivo è carente di specificità, in considerazione dei limiti del sindacato di legittimità della Corte di Cassazione in relazione all’accertamento dei fatti.

Le doglianze in esso articolate sono sviluppate in spregio all’insegnamento impartito dal diritto vivente secondo cui:” l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” (Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831).

Al lume di tale regula iuris, occorre prendere atto che, in assenza di specifica indicazione dei fatti storici sui quali sarebbe caduta l’omessa valutazione della Corte di appello, nonchè della loro decisività, il dissenso articolato nel motivo in ordine alle valutazioni compiute dal Collegio di merito in punto di apprezzamento delle dichiarazioni del richiedente protezione si risolve in un alternativo apprezzamento del materiale istruttorio, insindacabile in questa sede perchè riportato in una motivazione che ha dato conto dei criteri seguiti in termini giuridicamente corretti e logicamente plausibili (Sez. 6-1, n. 4892 del 19/02/2019, Rv. 652755-01).

2. Il secondo motivo articola censure avverso il diniego di protezione sussidiaria; censure che si appuntano, in particolare, sull’apprezzamento da parte del Collegio di merito della situazione interna del Ghana, non riconosciuta come connotata da un conflitto interno suscettibile di dar luogo a violenza generalizzata sulla base di una motivazione manifestamente carente ed illogica.

Le spiegate doglianze si caratterizzano per genericità e per manifesta infondatezza.

2.1. In punto di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), nulla è dedotto nell’impugnativa per specificamente contrastare le affermazioni, contenute in sentenza, secondo le quali, per un verso il timore, paventato dal ricorrente, di essere sottoposto ad un arresto arbitrario o alla sottoposizione a trattamenti inumani o degradanti, fosse del tutto soggettivo, non essendo stati emessi a suo carico provvedimenti o mandati di cattura ed avendo egli ammesso dinanzi alla Corte territoriale di ignorare gli esiti dell’eventuale controversia con il proprio datore di lavoro; per altro verso, che il timore medesimo fosse privo di fondamento oggettivo, essendosi accertato, attraverso il compiuto espletamento dei doveri di cooperazione istruttoria, come il sistema giudiziario del Ghana offrisse congrue garanzie circa lo svolgimento dei processi e circa l’esecuzione delle pene in condizioni di rispetto dei diritti dei detenuti.

2.2. In punto di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), la critica rivolta al disconoscimento dell’esistenza in Ghana di una situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale” si risolve in una deduzione non consentita nel giudizio di legittimità. La riportata conclusione è frutto, invero, di un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, che non è suscettibile di essere rimesso in discussione, mediante una mera rilettura delle fonti stesse o l’allegazione di altre, ove, come nel caso di specie, sia stato condotto in conformità ai parametri di legge (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3) e con completezza e plausibilità di argomentazione (Sez. 1, n. 30105 del 21/11/2018, Rv. 653226-03; Sez. 6-1, n. 32064 del 12/12/2018, Rv. 652087).

3. Il terzo motivo non si sottrae ai rilievi formulati con riguardo ai precedenti, essendo incentrato sulla astratta elencazione delle prerogative discendenti dal riconoscimento della protezione umanitaria senza alcuna indicazione degli elementi concreti afferenti alla vicenda personale, espressivi e di una individuale condizione di vulnerabilità e di una conseguita integrazione nel Paese ospitante, suscettibili di essere considerati congiuntamente nella valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, richiesta ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria (Sez. U, n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062-02).

Anche il profilo che attiene all’asserita violazione del principio di non refoulement si caratterizza per astrattezza, sostanziandosi nel mero richiamo a norme internazionali, unionali ed interne.

4. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e il doppio contributo andrà versato ove dovuto.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, che liquida in Euro 2.100,00, oltre alle spese prenotate a debito. Il doppio contributo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, andrà versato ove ne sussistano i presupposti. Doppio contributo D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 maggio 2020

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472