LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 8270/2018 proposto da:
Casa di Cura Santoro S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Orazio n. 3, presso lo studio dell’avvocato Bellini Vito, rappresentata e difesa dall’avvocato Paolini Enzo, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
ASP Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Viale Parioli n. 72, presso lo studio dell’avvocato Jorio Ettore, che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 29463/2017 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di ROMA, depositata il 07/12/2017;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/01/2020 dal Cons. Dott. NAZZICONE LOREDANA;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per l’inammissibilità;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato Paolini Enzo che si riporta;
udito, per la controricorrente, l’Avvocato Vincenzo Reitani, con delega orale, che si riporta.
RILEVATO
– che è proposto ricorso per revocazione della sentenza di questa Corte del 7 dicembre 2017, n. 29463, sulla base di un motivo;
– che resiste con controricorso la ASP – Azienda sanitaria provinciale;
– che la ricorrente ha depositato la memoria.
RITENUTO
– che la ricorrente, nel ricorso per revocazione, censura la pretesa “svista” della sentenza di questa Corte, laddove essa ha riportato un passaggio della motivazione della decisione d’appello, in cui si dava atto – mediante un virgolettato – del contenuto di un accordo con riguardo alle condizioni per il diritto al corrispettivo eccedente il cd. budget assegnato, assumendo la ricorrente che il contenuto di quell’accordo fosse diverso;
– che il ricorso si palesa manifestamente inammissibile;
– che, invero, costituisce principio costantemente affermato quello secondo cui l’errore di fatto, che può legittimare la revocazione di una sentenza della corte di cassazione, deve riguardare gli atti “interni” al giudizio di legittimità, ossia quelli che la corte esamina e direttamente nell’ambito dei motivi di ricorso e delle questioni rilevabili di ufficio, e deve avere, quindi, carattere autonomo, nel senso di incidere direttamente ed esclusivamente sulla sentenza medesima; ne consegue che, ove il dedotto errore di fatto sia stato causa determinante della sentenza pronunciata in grado di appello, in relazione ad atti o documenti esaminati dal giudice di merito, o che quest’ultimo avrebbe dovuto esaminare, la parte danneggiata è tenuta a proporre gli specifici mezzi di impugnazione esperibili contro la sentenza di merito, non essendo invece ammissibile il ricorso per revocazione contro la sentenza di cassazione, che non esamina in via diretta le risultanze processuali (e multis, Cass. 22 ottobre 2018, n. 26643; Cass. 31 maggio 2017, n. 13744; Cass. 18 febbraio 2014, n. 3820; Cass. 14 aprile 2010, n. 8907; Cass. 22 novembre 2006, n. 24860; Cass. 3 settembre 2005, n. 17745);
– che, invece, le parole riportate tra virgolette nella sentenza revocanda (al punto 5 di pagina 6) sono parole tratte dalla sentenza di appello, non dal testo dell’accordo, e sono riportate quale contenuto di quella sentenza di appello, onde nessun valore per definizione possono rivestire ai fini della integrazione della fattispecie della revocazione;
– che le spese seguono la soccombenza.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, che liquida in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie sui compensi nella misura del 15% ed agli accessori come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, se dovuto, del ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 7 gennaio 2020.
Depositato in Cancelleria il 14 maggio 2020