Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.9019 del 15/05/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16820/2015 proposto da:

M.F., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Donà Gabriele, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Cassa di Risparmio del Veneto S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via di Villa Grazioli n. 15, presso lo studio dell’avvocato Gargani Benedetto, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Solinas Gianni, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2874/2014 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 22/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 28/02/2020 dal Cons. Dott. TRICOMI LAURA.

RITENUTO

che:

M.F. propone ricorso per cassazione con tre mezzi avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia in epigrafe indicata; la Cassa di Risparmio ha replica con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 380 bis 1, c.p.c..

La controversia, concernente le originarie domande proposte da M. di dichiarazione di nullità, annullamento, risoluzione del contratto avente ad oggetto l’ordine di acquisto dell’obbligazione ***** impartito in data 8/8/2001 per 30.000,00, aveva avuto esito favorevole all’attore in primo grado, giacchè il Tribunale, ritenuto il titolo altamente rischioso all’epoca della negoziazione, aveva ravvisato la responsabilità contrattuale della banca per violazione del canone di diligenza da osservare in relazione alla tipologia dell’investimento ex art. 21 TUF e artt. 28 e 29 del Regolamento CONSOB n. 11522/1998 (di seguito, il Regolamento CONSOB), condannandola al risarcimento del danno, respinte le altre domande.

La Corte di appello, in riforma della decisione di primo grado, avendo accertato che il M. non aveva reso la dichiarazione concernente il suo profilo ed aveva dimostrato una elevata propensione al rischio, ha ravvisato solo la violazione dell’art. 21 del TUF e dell’art. 28, comma 2, del Regolamento CONSOB, circa il mancato assolvimento l’obbligo informativo in merito alla situazione del mercato dei titoli *****; quindi, è giunta ad escludere che l’inadempimento della banca si ponesse in nesso di causalità omissiva ipotetica con il danno subito dall’investitore, “in quanto non solo non è stata fornita dal cliente la prova, neppure presuntiva, della sussistenza del nesso causale, ossia che il M. non avrebbe dato corso all’operazione se fosse stato compiutamente informato, ma deve ritenersi – alla luce delle risultanze di causa – sulla base di un giudizio contro-fattuale, che, nonostante l’inadempimento della banca dell’obbligo di fornire adeguate informazioni… il M. avrebbe comunque impartito l’ordine, così come prima e dopo quell’acquisto, diede corso a investimenti, se non maggiormente, non meno speculativi e rischiosi di quello oggetto di questo giudizio” (fol. 15/16 della sent. imp.) ed ha condannato M. alla restituzione di quanto percepito per effetto della decisione di primo grado.

CONSIDERATO

che:

1.1. Con il primo motivo si denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio e l’omessa applicazione del principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c., ed al D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 10, comma 3.

Il ricorrente sostiene che la Corte di appello – laddove, accogliendo la tesi dell’istituto di credito, aveva ritenuto che l’operazione era adeguata al profilo dell’investitore perchè coerente con la propensione al rischio fino ad allora manifestata da questi aveva omesso di esaminare il fatto rappresentato dalla “dichiarazione confessoria” resa dalla stessa banca circa l’inadeguatezza dell’operazione desumibile da un documento prodotto dal M. in primo grado, segnatamente un ordine di acquisto delle obbligazioni in questione contenente l’avvertenza di non adeguatezza dell’operazione (indicato come doc. 9), ordine che il M. si era rifiutato di firmare avendo già sottoscritto altro ordine privo dell’informazione di non adeguatezza – trattenendone copia e che – nella prospettiva del ricorrente – costituisce “confessione stragiudiziale” della banca dell’inadeguatezza dell’operazione, in merito alla quale la stessa nulla aveva contestato, di talchè tale condotta avrebbe dovuto essere considerata rilevante ai sensi dell’art. 115 c.p.c..

Rimarca che la questione attinente a detto documento era stata “oggetto di discussione tra le parti” perchè tempestivamente introdotta sin dal primo grado.

1.2. Il motivo è inammissibile.

La tesi prospettata dal ricorrente non persuade perchè la confessione può avere ad oggetto solo circostanze obiettive e non già opinioni o giudizi (Cass. n. 11881 del 06/08/2003) giacchè “Una dichiarazione è qualificabile come confessione ove sussistano un elemento soggettivo, consistente nella consapevolezza e volontà di ammettere e riconoscere la verità di un fatto a sè sfavorevole e favorevole all’altra parte, ed un elemento oggettivo, che si ha qualora dall’ammissione del fatto obiettivo, il quale forma oggetto della confessione escludente qualsiasi contestazione sul punto, derivi un concreto pregiudizio all’interesse del dichiarante e, al contempo, un corrispondente vantaggio nei confronti del destinatario della dichiarazione.” (Cass. Sez. U. n. 7381 del 25/03/2013; Cass. n. 12798 del 23/05/2018): ne consegue che le ammissioni delle parti circa la rischiosità del titolo – così come già affermato da questa Corte in relazione alla dichiarazione resa dal cliente (Cass. n. 6142 del 19/4/2012; n. 4620 del 06/03/2015), – non costituiscono dichiarazione confessoria, in quanto sono rivolte alla formulazione di una valutazione e non all’affermazione di scienza e verità di un fatto obiettivo.

Ed infatti, la valutazione di inadeguatezza, ai fini dell’applicazione della norma che impone all’intermediaria di sconsigliare la relativa operazione, spetta al giudice, il quale, se può dirsi vincolato alla eventuale ammissione espressa in giudizio dalla parte interessata, non è invece vincolato – ove invece, come nella specie, detta parte neghi in giudizio l’inadeguatezza – alla valutazione che essa avrebbe fatto in precedenza fuori del giudizio stesso (come sostiene appunto il ricorrente), la quale può rilevare solo come elemento indiziario liberamente valutabile dal giudice, e perciò appunto non decisivo.

2.1. Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21, comma 1, lett. a) e b) e art. 23, comma 6 e del art. 28, comma 1, lett. a) e b), art. 28, comma 2, artt. 29 e 30 del Regolamento CONSOB n. 11522/1998, sotto plurimi profili.

2.2. Sotto un primo profilo il ricorrente, criticando la statuizione, si duole che sia stata esclusa la violazione della regola di condotta posta a carico della banca dall’art. 29 del Regolamento CONSOB circa l’obbligo dell’intermediario di astenersi dalle operazioni inadeguate per tipologia, oggetto, frequenza o dimensioni, e sostiene che se la Corte territoriale avesse preso in considerazione il doc. 9, contenente la confessione della banca, sarebbe giunta a conclusioni di segno opposto.

Il primo profilo è assorbito dalla declaratoria di inammissibilità del primo motivo perchè ne presuppone l’accoglimento.

2.3. Sotto un secondo profilo, il ricorrente si duole che la Corte territoriale abbia valorizzato esclusivamente le sue pregresse scelte di investimento e sostiene che, contrariamente a quanto accertato dalla stessa, egli – al momento dell’apertura del deposito titoli a custodia datata 13/11/1997- non aveva rifiutato di fornire le informazioni richieste ex art. 28 del Regolamento CONSOB, ma – semplicemente non aveva manifestato alcunchè, poichè dal modulo sottoscritto non si evinceva nè la dichiarazione positiva, di avere fornito le informazioni, nè quella negativa, di rifiuto a fornirle, di guisa che l’omessa assunzione delle informazioni da parte della banca era da ritenere condotta integrante – a suo parere – la violazione degli artt. 28 e 30 del Regolamento CONSOB, con l’ulteriore effetto che in assenza delle informazione la banca si sarebbe dovuta astenere dal compiere l’operazione.

Anche il secondo profilo è inammissibile perchè, pur prospettando una violazione di legge, critica innanzi tutto la ricostruzione del fatto costituito dall’attività di acquisizione di informazioni sul profilo del M. – messa in atto dalla banca con esito negativo, al momento dell’apertura del deposito titoli ed alla consegna della copia del Documento sui Rischi Generali degli Investimenti – e ne fornisce una personale e contrapposta ricostruzione, sulla scorta della quale articola la denunciata violazione di legge, senza tuttavia prospettare nè un vizio motivazionale ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè deducendo la violazione dei parametri di ermeneutica contrattuale.

2.4. Sotto un terzo profilo, il ricorrente si duole che la prova della consegna del Documento sui Rischi Generali sia stata ravvista sulla scorta della sottoscrizione del documento da parte sua, nonostante questo portasse un data ritenuta dalla stessa Corte territoriale palesemente non veritiera, perchè antecedente rispetto al momento della presunta consegna, desumibile dallo stesso Documento – che era stato previsto dal Regolamento CONSOB adottato in epoca successiva ed al quale il contratto faceva riferimento -, e sostiene anche di non avere mai allegato di avere apposto di suo pugno “una data anteriore alla sottoscrizione”.

Il motivo è inammissibile anche sotto questo profilo.

Premesso che la Corte territoriale, sulla scorta della complessiva valutazione delle emergenze istruttorie, in attuazione dei compiti suoi propri, ha accertato che il ricorrente non aveva mai contestato di avere apposto la data in questione, nè aveva disconosciuto la paternità della sottoscrizione (fol. 11 della sent. imp.), ed è pervenuta alla conclusione sulla retrodatazione del documento in base ad un ragionamento di tipo logico, e che tale accertamento non risulta smentito nemmeno nel motivo, dove si sostiene che il ricorrente non avrebbe allegato di avere apposto la data anteriore alla sottoscrizione, si deve rimarcare che ancora una volta la doglianza è volta tutta a pervenire ad un improprio riesame del merito.

2.5. Sotto altro profilo, ci si duole che la Corte territoriale, dopo avere ravvisato, nel caso di specie la violazione da parte della banca degli obblighi di comportamento fissati dall’art. 21, comma 1, del TUF e dalle norme regolamentari correlate, per non aver fornito la stessa informazioni al M., cliente retail, sulla situazione di mercato dei titoli ***** ed in merito all’inadeguatezza dell’operazione, abbia escluso la ricorrenza del nesso di causalità con il danno verificatosi a seguito del default del titolo.

In particolare si sostiene che se la Corte di appello avesse preso in considerazione la confessione della banca circa l’inadeguatezza dell’operazione (vedi primo motivo di ricorso), la ricerca del nesso causale sarebbe stata del tutto irrilevante; ugualmente si ritiene che dovrebbe ritenersi decisivo, per ravvisare il nesso di causalità, la mancata informazione del M. circa la rischiosità dell’investimento.

Anche sotto questo aspetto la doglianza è inammissibile.

E’ necessario evidenziare, in proposito, che la statuizione impugnata presenta una duplice ratio decidendi: la prima costituita dal riscontro del mancato assolvimento dell’onere probatorio, nemmeno in via presuntiva da parte del M. (fol. 15 della sent. imp.) – ratio che non risulta impugnata -; la seconda fondata su un ragionamento controfattuale, secondo il quale sussisteva comunque la prova della insussistenza del nesso per la propensione agli investimenti rischiosi da parte del M., che aveva impartito prima e dopo l’operazione in esame ordine di acquisto per titoli ancora più speculativi e rischiosi – la cui impugnazione non risulta decisiva, essendo sufficiente la prima ratio a reggere la decisione.

Risultano pertanto prive di decisività le questioni riproposte in merito alla “confessione “della banca ed alla mancata informazione del M..

3.1. Con il terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 1223 e 1224 c.c., mediante la riproposizione dell’appello incidentale svolto avverso la quantificazione dei danni compiuta in primo grado, che il ricorrente assume errata per il mancato riconoscimento della rivalutazione monetaria e degli interessi legali dalla data di investimento al saldo effettivo.

3.2. Il terzo motivo è inammissibile perchè attiene ad una questione – il quantum debeatur – non affrontata dalla Corte territoriale, che ha risolto la controversia negando in toto il diritto al risarcimento.

4. In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. S.U. n. 23535 del 20/9/2019).

PQM

– Dichiara inammissibile il ricorso;

– Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed accessori di legge;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 28 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 maggio 2020

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