Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.9181 del 19/05/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33991/2018 proposto da:

B.S., rappresentato e difeso dall’Avv. Roberto Giammaria, del foro di Isernia, elettivamente domiciliato in Roma, presso lo studio dell’Avv. Maria Grazia Picciano, via Ippolito Nievo n. 61;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, *****, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura dello Stato, domiciliato presso i suoi Uffici, in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– resistente –

avverso il decreto n. 2184/2018 del Tribunale di Campobasso, depositato il 9/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 7 febbraio 2020 dal Consigliere Dottoressa IRENE SCORDAMAGLIA.

FATTI DI CAUSA

1. B.S., cittadino del *****, propone ricorso per cassazione avverso il decreto del Tribunale di Campobasso, pubblicato il 9 ottobre 2018, che ha rigettato la sua domanda di protezione internazionale, ritenendo che egli non fosse meritevole del riconoscimento dello status di rifugiato e delle forme di protezione sussidiaria che presuppongono una personalizzazione del rischio di esposizione ad un danno grave (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b)), in quanto il racconto delle vicissitudini vissute nella regione di ***** (*****) per mano dei ribelli, che dopo averlo sequestrato, l’avevano tenuto prigioniero per una settimana, non solo presentava plurimi profili di inattendibilità – non avendo, egli, saputo offrire sicuri riferimenti in ordine all’ubicazione del villaggio di provenienza e circa l’organizzazione dei ribelli stessi -, ma era, anche, smentito dagli accertamenti officiosi compiuti, che avevano dimostrato che nella regione indicata non vi erano più stanziamenti di ribelli almeno dal 2004; che non potesse, neppure, beneficiare della protezione sussidiaria prevista dal D.Lgs. n. 521 del 2007, art. 14, lett. c), poichè il ***** non era attualmente interessato da una situazione di violenza generalizzata derivante da conflitto armato interno e perchè, comunque, nulla era stato allegato in ordine a circostanze, attinenti al proprio vissuto, suscettibili da esporlo al rischio di un danno grave in relazione alla situazione generale del Paese di origine; che non possedesse, infine, i requisiti per la concessione della protezione umanitaria, non emergendo nella sua situazione personale, specifici indicatori di particolare vulnerabilità.

2. Il ricorso per cassazione consta di tre motivi, di seguito dettagliatamente illustrati.

3. L’intimato Ministero dell’Interno non ha articolato difese.

4. Il difensore del ricorrente ha depositato memoria recante la data del 22 gennaio 2020.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Collegio ha disposto che la motivazione della presente ordinanza sia redatta in forma semplificata, non facendosi questioni rilevanti ai fini della funzione nomofilattica di questa Corte.

1. Il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. e), art. 3, comma 3, lett. a), art. 5, lett. b) e art. 14 nonchè, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione al mancato riconoscimento, nella vicenda narrata dal richiedente, dei presupposti per l’attribuzione dello status di rifugiato ovvero per il riconoscimento del danno grave di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 in riferimento al rischio, allegato dal deducente, di rimanere esposto alle azioni violente e ritorsive dei ribelli tutt’ora presenti nella regione di *****.

Il motivo è inammissibile.

Vige, in materia, il principio di diritto secondo il quale, in materia di protezione internazionale, l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione ad azioni discriminatorie o al rischio grave per la vita o per la persona, di modo che, qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 non occorre procedere ad alcun approfondimento istruttorio officioso, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Sez. 1, n. 33858 del 19/12/2019, Rv. 656566, Sez. 6 – 1, n. 33096 del 20/12/2018, Rv. 652571 – 01; Sez. 6 – 1, n. 16925 del 27/06/2018, Rv. 649697); ciò comporta, con riferimento alle forme di protezione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 7 e art. 14, lett. a) e b) che la valutazione di non credibilità del ricorrente e di inattendibilità del suo narrato integra un’autonoma e autosufficiente ratio decidendi del provvedimento impugnato.

Tale specifica ratio – attinente ai plurimi profili di inattendibilità del racconto del richiedente, che non aveva saputo offrire sicuri riferimenti in ordine all’ubicazione del villaggio di provenienza e circa l’organizzazione dei ribelli, che dopo averlo sequestrato, l’avevano tenuto prigioniero per una settimana – non è stata contestata dal ricorrente, nulla essendo stato specificamente indicato, secondo quanto stabilito dal diritto vivente (Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831), in ordine ai “fatti storici”, di cui sarebbe stato omesso l’esame (oltre che in riferimento al “dato”, testuale o extratestuale, da cui ne sarebbe risulta l’esistenza, al “come” e al “quando” tale fatto sarebbe stato oggetto di discussione processuale tra le parti), che se considerati avrebbero condotto ad un diverso apprezzamento delle sue dichiarazioni; la doglianza è, dunque, generica.

2. Il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g), art. 3, comma 3, lett. a), art. 5, lett. b) e art. 14 nonchè, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in riferimento al diniego della protezione sussidiaria nella forma di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), essendosi, nella motivazione del provvedimento impugnato, fatto generico riferimento alla situazione del *****, senza alcuna considerazione della gravissima situazione esistente nella regione di *****, riconosciuta come tale da tutte le più autorevoli fonti internazionali.

Il motivo è inammissibile.

Il Tribunale ha ritenuto inattendibile il racconto del ricorrente con riguardo anche con riguardo al profilo della sua stessa provenienza dalla regione di *****; apprezzamento, in fatto, questo, dotato di assoluta decisività con riferimento alla forma di protezione invocata, che, tuttavia, non è stato sottoposto ad idonea censura da parte del ricorrente.

3. Il terzo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo, per avere il Tribunale respinto la domanda di protezione umanitaria senza tener conto dell’intrapreso percorso di integrazione sociale del richiedente in Italia e delle violenze da lui subite in Libia.

Il motivo è infondato.

Le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062, hanno affermato che: “In tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato”.

In motivazione, la Corte ha chiarito che: “Non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza”, prendendosi, altrimenti, in considerazione:”… non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma, piuttosto, quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria”.

Poichè i requisiti indicati dal ricorrente a fondamento della domanda non coincidono con quelli individuati dal diritto vivente per il riconoscimento della protezione umanitaria, le deduzioni sul tema vanno respinte.

Va, per completezza, osservato che, in riferimento alle violenze subite in Libia, il ricorrente non ha indicato il “come” e il “quando” le stesse siano state fatte oggetto di discussione tra le parti (Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831); in ogni caso si tratta di allegazioni prive di specificità in riferimento al decisivo profilo della connessione tra la permanenza in Libia e il contenuto della domanda di protezione umanitaria, con riguardo alla compromissione dei beni primari del richiedente (Sez. 6 – 1, n. 2861 del 06/02/2018, Rv. 648276).

4. Il ricorso va, pertanto, rigettato. Nulla è dovuto per le spese non avendo il Ministero dell’interno articolato difese. Il doppio contributo di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dovrà essere versato ove ne sussistano i presupposti, secondo quanto chiarito dalla sentenza Sez. 1 n. 9660/2019, cui si intende prestare adesione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 7 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2020

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