Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.9197 del 19/05/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – rel. Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 16080/2018 proposto da:

Fallimento ***** S.r.l., n. ***** in persona curatore in carica, elettivamente domiciliato in Roma alla via Pietro Paolo Rubens, n. 31 presso lo studio dell’avvocato Bottai Luigi Amerigo che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

L.G., elettivamente domiciliato in Roma alla via del Circo Massimo, n. 9 presso lo studio dell’avvocato Innocenti Francesco che lo rappresenta e difende;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 01310/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 27/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/12/2019 da Dott. Cristiano Valle, osserva:

FATTI DI CAUSA

Il Fallimento di ***** s.r.l. convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma il dottor L.G., quale attestatore, ai sensi della L. Fall., art. 161, della proposta di concordato preventivo, e ne chiese la condanna al risarcimento dei danni derivanti dall’inesatto adempimento della prestazione professionale, che aveva causato la ritardata dichiarazione di fallimento/e consistenti negli esborsi che erano stati sopportati dalla curatela per il compenso in favore del commissario giudiziale e agli interessi passivi sui debiti in privilegio, quantificati in circa cinquantamila Euro.

Il Tribunale di Roma, disattesa l’eccezione di incompetenza in favore della Sezione specializzata imprese, rigettò la domanda, non ritenendo sussistente nesso causale tra la condotta ascritta al L., nella sua qualità di attestatore, ai sensi della L. Fall., art. 161, e gli esborsi sopportati dalla curatela.

La Corte di appello di Roma ha confermato, seppure con diversa motivazione, la sentenza di primo grado, rigettando l’impugnazione principale della curatela fallimentare e dichiarando in parte inammissibile quella del L., accogliendola, tuttavia, nella parte relativa alla compensazione delle spese, con conseguente condanna della curatela al rimborso in favore del L..

Il ricorso principale, della curatela fallimentare avverso la sentenza d’appello, è articolato su due motivi.

Ad esso resiste con controricorso L.G., che propone, altresì, ricorso incidentale, articolato su due gruppi di censure, di cui alcune proposte in via condizionata all’accoglimento del ricorso del fallimento ed altre in via principale.

Il P.G. non ha presentato conclusioni.

Il solo Fallimento ricorrente ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il primo motivo del ricorso del Fallimento di ***** S.r.l. in liquidazione deduce violazione e (o) falsa applicazione degli artt. 1218,1223, 1225 e 2697 c.c., nonchè artt. 115 e 116 c.p.c. e contesta il ragionamento decisorio della Corte d’Appello laddove questa afferma che non vi è collegamento eziologico tra l’inadempimento contestato al L. e il danno.

Il secondo motivo deduce violazione e (o) falsa applicazione della L. Fall., art. 161.

I due mezzi possono essere congiuntamente scrutinati, in quanto strettamente connessi poichè l’ampiezza con la quale si configura il mandato professionale dell’attestatore della proposta di concordato fallimentare si riverbera necessariamente sulla decisione in ordine alla sussistenza o meno di un suo (del professionista) inadempimento totale o parziale.

La Corte di Appello, nella sentenza qui impugnata, ha affermato che le revoca dell’ammissione al concordato della ***** S.r.l. in liquidazione fu dovuta al mancato versamento, da parte della stessa società, della somma di cinquantamila Euro per le spese di procedura.

La detta affermazione del giudice di merito non è adeguatamente contrastata dai motivi all’esame, che tornano, ma con difetto di specificità in ordine ai tempi ed ai modi con cui le questioni vennero riproposte in sede di impugnazione di merito, su prospettazioni effettuate dal giudice di primo grado (che pure aveva rigettato la domanda risarcitoria). La sentenza in scrutinio afferma che l’unica causa della revoca dell’ammissione alla procedura concordataria fu il mancato versamento della somma di Euro cinquantamila per spese di procedura, che dipendeva dall’incapienza delle disponibilità finanziarie della società stessa. Operando, in modo molto sintetico, il controgiudizio fattuale la Corte territoriale afferma che la tenuta della condotta necessaria, ossia il versamento delle spese di procedura nella misura di Euro cinquantamila, avrebbe evitato la dichiarazione di fallimento (premettendo che la realizzazione del concordato sarebbe stata maggiormente satisfattiva) ma in conclusione non ritiene che il mancato versamento della somma fosse imputabile all’attestatore, in considerazione della limitazione del suo mandato professionale alla preventiva determinazione della somma necessaria.

Il Collegio rileva che L.G. svolse l’incarico affidatogli, consistito nella predisposizione della relazione di cui alla L. Fall., art. 161, comma 3, da allegarsi alla domanda di concordato preventivo della ***** s.r.l. in liquidazione, fra l'*****, sicchè deve trovare applicazione la L. Fall., art. 161, comma 3, nella formulazione (“Il piano e la documentazione di cui ai commi precedenti devono essere accompagnati dalla relazione di un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, comma 3, lett. d), che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano medesimo”) vigente prima della modifica apportatagli dal D.L. n. 83 del 2012, art. 33, comma 1, lett. b), n. 2), punto b), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, con la conseguenza che la fattibilità del piano era subordinata alla veridicità dei dati aziendali che, evidentemente, il L. non poteva avere tratto che dai bilanci della stessa società, o comunque da dati in possesso dei vertici della stessa, dai quali risultava la disponibilità della somma per spese di procedura, con il corollario che il mancato versamento della somma, unica causa affermata dal Tribunale per la revoca dell’ammissione alla procedura concordata Euro3, non era allo stesso ascrivibile. Sul punto pare utile richiamare precedente di questa Corte (Cass. n. 22785 del 25/09/2018 Rv. 650930-01), nella diversa tematica della corresponsione del compenso all’attestatore, nel quale la ragione del diniego è stata vista nella inattendibilità, rilevata dal commissario giudiziale dopo l’apertura del concordato, dei dati esposti nella proposta concordataria, fattispecie in questa sede non ravvisabile, poichè, come già tratteggiato, l’unica causa del fallimento della ***** S.r.l., conseguente alla revoca dell’ammissione al concordato, fu ritenuto essere – dal Tribunale (sezione) fallimentare di Roma – il mancato versamento dell’importo per spese di procedura, che, sia detto per inciso, può essere effettuato, come era stato prospettato nella procedura concorsuale relativa a ***** S.r.l. in liquidazione, dallo stesso assuntore.

In questa sede non può che concordarsi con la motivazione del precedente di questa Corte sopra richiamato, secondo la quale, con riferimento al mandato professionale dell’attestatore “l’in sè della prestazione di quest’ultimo, infatti, è rappresentato dalla attendibilità della sua asseverazione dei dati contenuti nella proposta concordataria – sia pure temperata dal carattere necessariamente valutativo del suo operato – ed è in oggi sancita anche penalmente dalla L. Fall., art. 236 bis: norma che, malgrado la sua inapplicabilità, ratione temporis, al caso di specie, comunque altro non ha fatto che inasprire la disciplina del carattere non veritiero della relazione (ed anche la semplice omissione di informazioni rilevanti) ed esprime tutta l’attenzione del legislatore al debito di credibilità del professionista attestatore, certamente preesistente l’introduzione della fattispecie incriminatrice e discendente anche dal carattere di terzietà che riveste la figura in esame”.

Il ricorso principale non censura adeguatamente l’affermazione decisoria della Corte territoriale, soffermandosi su profili di inadempimento della condotta dell’attestare non adeguatamente veicolati nei motivi dell’impugnazione di merito o, comunque, non adeguatamente rappresentati, nei loro svolgimenti specifici, in sede di sindacato di legittimità.

Il ricorso principale è, pertanto, rigettato.

Il ricorso incidentale, che è ammissibile non risultando circostanze in tal senso impeditive, si articola in due parti.

La prima, svolta in via condizionata all’accoglimento del ricorso principale, censura la sentenza d’appello ai sensi dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per omessa pronuncia sulle domande nuove proposte dalla curatela in grado d’appello, nonchè per violazione e (o) falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c., sull’asserito riscontro di mancanza di interesse ad agire del L. ed infine per omessa valutazione di fatti decisivi, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

In detta parte il ricorso incidentale è assorbito dal rigetto del principale, in quanto proposto subordinatamente all’accoglimento di esso.

La parte ulteriore del ricorso è rubricata come “In via principale” ma dalla lettura dei motivi in essa prospettati – “circa la asserita illegittimità della sentenza di secondo grado per violazione e (o) falsa applicazione degli artt. 1218,1223, 1225 e 2697 c.c., nonchè artt. 115 e 116 c.p.c.” e “circa la asserita illegittimità della sentenza di secondo grado per violazione e (o) falsa applicazione della L. Fall., art. 161” -, in una con le conclusioni del controricorso, non si rileva che essa tenda ad ottenere la riforma della sentenza d’appello per diverse ed autonome ragioni, in quanto entrambi i motivi sono in realtà speculari ai motivi del ricorso principale.

Il ricorso incidentale è, pertanto, assorbito integralmente.

Le spese di lite possono essere compensate, in ragione della reciproca soccombenza delle parti.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

rigetta il ricorso;

compensa tra le parti le spese di questo giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale e di quello incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di Cassazione sezione Terza civile, il 19 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2020

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