Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.9335 del 21/05/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. GILOTTA Bruno – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 20934/2013, promosso da:

M.B., rappresentata e difesa in giudizio dall’avv. Roberto Corsello del foro di Palermo ed elettivamente domiciliata in Roma presso lo studio dell’avv. Migliazzo, in via degli Scipioni, 110;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza n. 27/29/13 emessa il 28 gennaio 2013 dalla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, avente ad oggetto l’avviso di accertamento n. *****, per i.v.a., i.r.pe.f.

e i.r.a.p. 2000.

RILEVATO

CHE:

Con la sentenza sopra detta la Commissione tributaria regionale della Sicilia, confermando quella di primo grado, ha validato l’accertamento in oggetto con il quale l’Agenzia delle Entrate, sulla base di una verifica eseguita dalla Guardia di Finanza, aveva contestato l’omessa contabilizzazione di ricavi Lire 128.754.000 e determinato le maggiori imposte dovute per i.v.a., i.r.pe.f. e i.r.a.p. relative all’anno 2000. La sentenza della Commissione tributaria provinciale era stata appellata dalla contribuente che aveva, fra l’altro, dedotto l’errata applicazione di una percentuale di ricarico del 49,65%; percentuale ritenuta invece congrua dalla Commissione tributaria regionale in quanto corrispondente alle informazioni fornite dalla stessa contribuente e calcolata su base ponderata.

La contribuente ricorre per la cassazione di questa sentenza per tre motivi.

Resiste con controricorso l’Agenzia, che ha preliminarmente rilevato il giudicato formatosi su altra sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, avente ad oggetto l’accertamento relativo all’anno 2001 fondato sulla stessa percentuale di ricarico.

CONSIDERATO

CHE:

Occorre preliminarmente disattendere l’exceptio iudicati sollevata dalla resistente in relazione alla sentenza della stessa Commissione tributaria regionale, ritenuta definitiva, che ha validato, per l’esercizio precedente, la stessa percentuale di ricarico. La sentenza prodotta, infatti, si fonda su una valutazione (la percentuale di ricarico appunto) e non su un punto di fatto, come tale inidonea a vincolare il giudizio per le annualità successive.

Con il primo motivo la ricorrente denuncia “Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41-bis, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma s, dell’art. 41 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3,” in quanto l’accertamento si era fondato su un campione rappresentativo di appena il 54% dei beni commercializzati; non aveva tenuto conto che l’esercizio era ubicato in un piccolo centro abitato dove la frequente conoscenza dei clienti imponeva l’applicazione diffusa di sconti sul prezzo; del fatto che gli articoli venduti erano soggetti a rapidi deterioramento in ragione dell’evolversi del mercato e della moda; del fatto che l’imponibile era stato calcolato anche sulle giacenze di magazzino; del fatto che per gli anni successivi, in sede di accertamento per adesione, l’Ufficio aveva ritenuto congrua una percentuale di ricarico del 42%.

Con il secondo motivo deduce “errata valutazione di un fatto decisivo ai fini della decisione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”, in quanto la sentenza si sarebbe fondata su un’errata lettura delle dichiarazioni del marito della ricorrente in ordine alla percentuale di ricarico applicata nel corso degli anni 2000.

Con il terzo motivo deduce “insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’artt. 360 c.p.c., n. 5,” in quanto la Commissione tributaria regionale si sarebbe sottratta all’obbligo di motivazione “ritenendo, sic et simpliciter, che la percentuale di ricarico anzidetta è stata calcolata dalla Guardia di Finanza prima e, successivamente, dall’Ufficio finanziario, facendo riferimento alla stessa percentuale indicata dal contribuente con riferimento al successivo anno 2001”, così operando un mero e acritico rinvio all’operato dall’Ufficio.

I motivi devono essere trattati unitariamente perchè fra loro strettamente connessi.

Tutti e tre riguardano la percentuale di ricarico applicata e validata dalla Commissione tributaria regionale, sostanzialmente sulla base dell’informazioni assunte dal marito della contribuente, persona addetta al negozio e postasi in relazione con gli accertatori. Dichiarazioni che la ricorrente reputa acriticamente recepite nel terzo motivo ed erroneamente lette e intrepretate nel secondo motivo.

Sono infondati il secondo e il terzo motivo.

Quanto alla motivazione per relationem, essa è pienamente ammessa dalla giurisprudenza sia allorquando l’Ufficio abbia recepito le conclusioni del p.v.c. della Guardia di finanza (da ult., Cass., 32957/2018) sia quando il giudice, anche in sede di appello, le abbia fatto proprie in risposta alle doglianze esposte dal contribuente (Cass., 21037/2018). In questo caso la Commissione tributaria regionale, nel richiamare il p.v.c., già richiamato dalla Commissione tributaria provinciale, ha ribadito, a fronte delle “generiche critiche” dell’appellante, il fatto che la percentuale era stata calcolata sulla base di quanto riferito dal marito della contribuente “collaboratore familiare, appositamente delegato da M.B., titolare della ditta, giusta delega in atti”; in altre parole, ha ribadito che la percentuale di ricarico era stata formulata sulla base di una dichiarazione confessoria.

Riguardo all’esatto contenuto delle dichiarazioni rese dal marito della contribuente, il motivo si rivela inammissibile, perchè sfornito del requisito dell’autosufficienza, non essendo state le predette dichiarazioni interamente riprodotte e non essendo stata domandata, a norma dell’art. 369 c.p.c., comma 2, la trasmissione dei fascicoli di merito.

Da rigetto del secondo e del terzo motivo, (Ndr: testo originale non comprensibile).

Il ricorso va, quindi, rigettato.

Le spese seguono la soccobenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la contribuente alla rifusione delle spese, che liquida in Euro 4.100,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovute.

Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2020

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