LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFFERRI Andrea – Presidente –
Dott. FERRO Massimo – Consigliere –
Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 12103-2019 proposto da:
O.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ANNA MARIA GALIMBERTI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERAIT, DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– resistente –
e contro
COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI BOLOGNA;
– intimata –
avverso il decreto N. R.G. 1947/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositato il 26/02/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 22/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. DI MARZIO MAURO.
RILEVATO
CHE:
1. – O.G. ricorre per quattro mezzi, nei confronti del Ministero dell’interno, contro sentenza del 26 febbraio 2019 della Corte d’appello di Bologna di rigetto dell’appello avverso il diniego, da parte del locale Tribunale, della sua domanda di protezione internazionale o umanitaria.
2. – Non svolge difese l’amministrazione intimata, nessun rilievo potendosi ascrivere ad un atto di costituzione tardivamente depositato per l’eventualità della partecipazione all’udienza di discussione.
CONSIDERATO
CHE:
3. – 11 primo motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 3, censurando la sentenza impugnata per aver errato nel ritenere non credibile la narrazione del richiedente.
Il secondo motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8 in relazione allo stesso D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 7, censurando la sentenza impugnata per aver negato che il richiedente avesse fatto riferimento a situazioni riconducibili alla previsione della norma richiamata in rubrica.
Il terzo motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. G, in relazione allo stesso D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, censurando la sentenza impugnata per aver confermato il diniego della protezione sussidiaria.
Il quarto motivo denuncia falsa applicazione dell’art. 5, comma 6, del testo unico immigrazione, per avere la Corte territoriale confermato il rigetto della domanda di protezione umanitaria.
RITENUTO CHE:
4. – Il ricorso è inammissibile sotto diversi aspetti.
4.1. – In primo luogo.
Stabilisce l’art. 366 c.p.c., comma 2, n. 6, che il ricorso per cassazione deve contenere a pena di inammissibilità la specifica indicazione degli atti processuali e dei documenti sui quali il ricorso si fonda.
Tale disposizione pone a carico del ricorrente per cassazione un duplice collegato onere di rilievo formale-contenutistico, onere da un lato intuitivamente attinente alla narrazione di quanto dagli atti o dai documenti emerge, dall’altro alla loro “localizzazione”.
Quanto al primo aspetto, posto che il giudizio di legittimità è retto dal principio di autonomia del ricorso per cassazione (p. es. Cass., Sez. Un., 22 maggio 2014, n. 11308, con riguardo all’osservanza dell’altro requisito dell’esposizione sommaria dei fatti di causa), principio che preclude alla Corte il diretto accesso al fascicolo processuale, è del tutto ovvio che il ricorrente per cassazione debba riferire ad essa quale sia, per la parte rilevante, il contenuto dell’atto o del documento, riassumendolo o trascrivendolo a seconda di quanto di volta in volta occorra, per la ragione, come si diceva intuitiva, che, altrimenti, la Corte non ha modo di intendere di cosa il ricorrente stia discorrendo. Sicchè la sorte del ricorso non autosufficiente, in quanto mancante del riassunto-trascrizione degli atti e dei documenti di volta in volta posti a fondamento di esso, non può che essere l’inammissibilità, per il fatto che un simile ricorso è come tale incomprensibile, giacchè la sua comprensione richiederebbe alla Corte di integrarne il testo con l’accesso diretto al fascicolo processuale, che le è invece come si diceva precluso. Ed è agevole osservare, al riguardo, che, quantomeno per tale aspetto, il requisito in discorso, non è neppure un’emanazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, introdotto con il D.Lgs. n. 40 del 2006, ma è coessenziale alla stessa configurazione del giudizio di legittimità, quale corollario del requisito della specificità dei motivi di impugnazione, corollario che, come questa Corte ha già avuto modo di chiarire, è stato con tale intervento di riforma soltanto “tradotto nelle più definite e puntuali disposizioni contenute nell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4” (Cass., Sez. Un., 22 maggio 2012, n. 8077). Insomma, per usare le parole del regolamento Cedu, i contenuti del ricorso debbono essere di per sè sufficienti a consentire alla Corte di determinare natura e oggetto del ricorso medesimo senza dover consultare altri documenti.
Quanto al secondo aspetto, questa Corte ha in più occasioni avuto modo di chiarire che il citato) art. 366 c.p.c., n. 6, esige inoltre che sia specificato in quale sede processuale tali fatti o documenti risultino prodotti, prescrizione, questa, che va correlata all’ulteriore requisito di procedibilità di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4. Il precetto di cui al combinato disposto delle richiamate norme deve allora ritenersi soddisfatto, almeno qualora l’atto o il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso ricorrente e si trovi nel fascicolo di esse, mediante la produzione del fascicolo, purchè nel ricorso si specifichi che il fascicolo è stato prodotto e la sede in cui il documento è rinvenibile.
Nel caso in esame, nelle sue quattro censure, il ricorso si fonda essenzialmente sulla narrazione svolta dal richiedente in sede di audizione dinanzi alla Commissione territoriale, e, però, non solo il verbale in questione non è localizzato, e cioè non è detto ove esso sia rinvenibile nei fascicoli delle fasi di merito (mentre a pagina 19 si fa riferimento alla sua produzione, parrebbe effettuata ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4,), ma non ne è neppure riferito in dettaglio il contenuto, il che rende incomprensibili le censure rivolte al provvedimento impugnato.
4.2. – In secondo luogo.
Il ricorso manca del requisito dell’esposizione sommaria dei fatti di causa richiesta a pena di inammissibilità dal numero 3 dell’art. 366 c.p.c..
Ed infatti, nello svolgimento del processo, alle pagine 1-2 del ricorso, si dice
-) che la Commissione territoriale competente ha respinto il ricorso dell’odierno richiedente, ma non si dice nè perchè la protezione internazionale fosse stata richiesta, nè perchè la richiesta sia stata respinta;
-) che il Tribunale ha respinto il ricorso del richiedente, ma non si dice nè perchè esso fosse stato proposto, nè con quale motivazione sia stato respinto;
-) che la Corte d’appello ha respinto l’impugnazione del richiedente, ma non si dice nè perchè tale impugnazione fosse stata proposta nè con quale motivazione sia stata disattesa.
L’esposizione sommaria dei fatti di causa, ivi compreso il contenuto del provvedimento impugnato, è dunque totalmente mancante.
E, se manca l’esposizione dei fatti di causa e del contenuto del provvedimento impugnato il ricorso è inammissibile (Cass., Sez. Un., 22 maggio 2014, n. 11308): tale mancanza – chiariscono le S.U. – “non può essere superata attraverso l’esame delle censure in cui si articola il ricorso, non essendone, garantita l’esatta comprensione in assenza di riferimenti alla motivazione del provvedimento censurato, ne” attraverso l’esame di altri atti processuali, ostandovi il principio di autonomia del ricorso per cassazione”.
4.3. – In terzo luogo.
I quattro motivi, che per il loro confezionamento possono essere simultaneamente trattati, sono tutti inammissibili giacchè non hanno nulla a che vedere con il denunciato vizio di violazione di legge ma scivolano sistematicamente nella valutazione del fatto che, a dire del ricorrente, la Corte territoriale avrebbe mal valutato.
5. – Nulla per le spese. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso, dando atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 cater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Depositato in cancelleria il 21 maggio 2020