LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –
Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23684/2015 R.G. proposto da:
LA FENICE S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Giulio Antonio Tagliabue, con domicilio eletto in Roma, alla via Luigi Rizzo n. 53, presso il Centro servizi legali e professionali Ius et Domus.
– ricorrente –
contro
AVV. B.S., rappresentato e difeso dall’avv. Giovanni Agostini, con domicilio eletto in Roma alla Via Silvio Pellico n. 44.
– controricorrente –
e AVV. P.G., rappresentato e difeso dall’avv. Giovanni Agostini, con domicilio eletto in Roma alla Via Silvio Pellico n. 44.
– controricorrente –
avverso l’ordinanza della Corte d’appello di Cagliari, sezione di Sassari, depositata in data 24.7.2015.
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 11.10.2018 dal Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato.
FATTI DI CAUSA
Con ricorso ex art. 702 bis, l’Avv. B.S. ha convenuto in giudizio la Fenice s.r.l. e Po.Gi. dinanzi alla Corte d’appello di Cagliari, per ottenere la liquidazione del compenso per l’attività svolta in favore della resistente in una controversia civile incardinata da V.G., avente ad oggetto l’annullamento di un contratto di vendita immobiliare.
La Fenice s.r.l. si è costituita in giudizio, instando per la chiamata in causa dell’avv. P.G., cui aveva conferito un mandato congiunto per la difesa in giudizio. Ha chiesto di quantificare il compenso, tenendo conto del valore della lite, e di quantificare le somme spettanti a ciascun difensore.
L’avv. P. ha chiesto la condanna della società al pagamento di Euro 67.939,57, oltre accessori.
All’esito, la Corte distrettuale, rilevato che l’avv. B. aveva svolto il patrocinio sia in primo grado che in appello, mentre l’avv. P. aveva patrocinato solo dinanzi al tribunale, ha quantificato il compenso in applicazione del D.M. n. 127 del 2004 e del successivo D.M. n. 55 del 2014, sulla base dello scaglione del valore economico della lite “fino ad Euro 1.900.000 secondo le risultanze in atti”. Ha perciò liquidato in favore dell’avv. P. un compenso di Euro 45.293,79, disponendo la condanna del saldo pari ad Euro 18.667,50, al netto degli acconti versati, mentre ha quantificato il compenso in favore dell’avv. B. in Euro 39.572,68, con condanna della società al pagamento del saldo di Euro 9.774,33.
Il provvedimento impugnato ha stabilito che il giudizio non presentava profili di particolare complessità, non avendo comportato l’esame di questioni giuridiche controverse, nè l’assunzione di prove dall’esito incerto, precisando che, per il procedimento cautelare, le voci “ricerca documenti” per la fase del reclamo al collegio, redazione memoria artt. 180-170 c.p.c.”, consultazioni con il cliente e studio della controversia per la fase esecutiva di rilascio dovevano liquidarsi al minimo, dato il carattere semplificato del procedimento, e che nulla era dovuto per la ricerca documenti (non pertinente alla fase di attuazione della misura) e assistenza fase esecutiva (in quanto non prevista). Quanto alla fase di merito ha escluso il compenso per assistenza procedimento penale (in quanto non pertinente) e per studio della controversia (in quanto già contemplata).
Per la cassazione di questa ordinanza la Fenice s.r.l. ha proposto ricorso in 4 motivi, illustrati con memoria.
L’avv. P. e l’avv. B. hanno depositato controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo censura la violazione degli artt. 9,10,12,15 c.p.c., Legge Professionale Forense e del D.M. n. 585 del 1994, nonchè del D.M. n. 127 del 2004, artt. 5, 6 e 7, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
A parere della ricorrente la causa in cui i resistenti avevano svolto il patrocinio aveva ad oggetto:
a) la richiesta di consegna di un immobile sito in *****, acquistato dalla Fenice s.r.l. con contratto del 29.7.1997, per il prezzo di Lire 610.000.000;
b) il risarcimento del danno contrattuale da occupazione abusiva, quantificato in citazione in Euro 36.151,98, oltre accessori;
c) il risarcimento del danno extracontrattuale per le precarie condizioni dell’immobile, quantificato in Euro 100.000;
d) il risarcimento dei danni da responsabilità processuale aggravata ex art. 96 c.p.c., da liquidare in via equitativa, danni determinati dalla trascrizione della citazione con cui era stata chiamata in causa la venditrice.
Dato il carattere personale dell’azione di rilascio, il valore della lite in base al quale quantificare le spettanze professionali andava individuato in un importo pari all’ammontare del presumibile canone locativo annuale, pari ad Euro 36.150,00, come dichiarato dagli stessi resistenti, o, in alternativa, la lite doveva essere considerata di valore indeterminabile.
In ulteriore subordine la Corte di merito avrebbe dovuto applicare l’art. 15 c.p.c. e quindi tener conto del prezzo della vendita (oggetto della riconvenzionale di simulazione), accertato con sentenze passate in giudicato (sentenza di legittimità n. 4927/2011 e sentenza della Corte d’appello di Sassari).
Il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver l’ordinanza trascurato che il valore della causa era stato accertato anche con la sentenza del Tribunale di Monza, sezione di Desio, n. 753/2004 e con la sentenza di questa Corte n. 4927/2011, le quali, essendo passate in giudicato, spiegavano effetti riflessi anche nel presente giudizio.
Il terzo motivo deduce la violazione degli artt. 125,131 c.p.c., art. 164 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, lamentando che la Corte non abbia rilevato la nullità della domanda, posto che nel ricorso introduttivo l’avv. B. aveva richiesto anche compensi spettanti all’avv. P., senza minimamente indicare quali prestazioni fossero state svolte da ciascun difensore e come fossero state quantificate le richieste.
Il quarto motivo denuncia l’omessa ed insufficiente motivazione dell’ordinanza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sostenendo che l’ordinanza non abbia reso alcuna motivazione riguardo all’eccepita duplicazione delle voci di tariffa (riguardo allo studio della controversia, partecipazione alle udienze, redazione delle comparse e altri scritti difensivi), abbia stabilito in modo del tutto apodittico il valore della causa (senza considerare il prezzo dell’immobile oggetto di rilascio e la relativa rendita catastale) e non abbia tenuto conto che il patrocinio era stato svolto da tre difensori.
2. Deve respingersi la censura di inammissibilità del ricorso in quanto proposto oltre il termine di 30 dalla comunicazione dell’ordinanza impugnata, effettuata in data 13.8.2015.
Come già stabilito da questa Corte (sia pure nel secondo caso in toto, con riferimento al procedimento L. n. 794 del 1942, ex art. 28), il termine per impugnare decorre non già dalla comunicazione dell’ordinanza effettuata dalla cancelleria, ma dalla notifica effettuata dalla controparte, dovendosi in mancanza far riferimento al termine “lungo” di cui all’art. 327 c.p.c. (Cass. 3251/2007; Cass. 22278/2013).
Nel caso di specie, la notifica ad opera dell’avv. B. risulta eseguita in data 8.9.2015 e applicandosi non il termine di trenta giorni previsto dall’art. 702 ter c.p.c., per la proposizione dell’appello, ma quello di sessanta giorni stabilito in via generale per il ricorso di legittimità, l’impugnazione, consegnata per la notifica in data 6.11.2015, è sicuramente tempestiva.
2.1. E’ parimenti destituita di fondamento l’eccezione di inammissibilità per difetto di sinteticità del ricorso: l’impugnazione, se pur caratterizza dall’inserimento nel corpo dell’atto del testo delle sentenze richiamate dalla ricorrente e dei singoli atti difensivi dei processi in cui è stato svolto il patrocinio, non impedisce l’individuazione delle questioni controverse ed il tenore delle doglianze rivolte alla decisione impugnata.
3. Per ragioni di ordine logico va esaminato prioritariamente il terzo motivo di ricorso, che è infondato per le ragioni che seguono.
Dall’esame della domanda introduttiva, anche per come trascritta in ricorso, non è ravvisabile alcun carenza tale da inficiare la validità della domanda.
Entrambi i difensori hanno allegato al ricorso, richiamandone il contenuto, le note delle spese, specificando lo scaglione applicato (1549400-2.582.300), le prestazioni effettuate nei due gradi, le somme richieste, gli importi pretesi anche mediante la descrizione analitica delle prestazioni svolte e gli esiti del contenzioso, dando quindi esaurientemente conto dei fatti costitutivi e del petitum della domanda.
La circostanza che non fossero specificate le attività svolte da ciascun difensore non induceva – difatti – alcuna “assoluta incertezza” (art. 164 c.p.c.) sull’oggetto o sulle ragioni giustificative della domanda.
4. Devono poi esaminarsi congiuntamente il primo ed il quarto motivo di ricorso, che appaiono fondati per le ragioni che seguono. La Corte distrettuale, dopo aver premesso che il compenso era stato richiesto con riferimento al procedimento cautelare n. 70/2000 (compresa la fase di reclamo), per il giudizio di merito definito in primo grado con sentenza n. 252/2005 e per il giudizio di appello definito con sentenza n. 650/2008, ha ritenuto che la causa avesse ad oggetto “l’accertamento della proprietà ed il consequenziale risarcimento del danno”.
Nel determinare il valore della causa ha ritenuto applicabile “lo scaglione del valore economico fino ad Euro 1.900.000 secondo le risultanze degli atti, senza tener conto di quello dichiarato ai fini del contributo unificato”.
La pronuncia si è tuttavia limitata a dichiarare che il valore economico della lite era compreso nello scaglione fino ad Euro 1.900.000 poichè risultante dagli atti, violando l’obbligo di dar conto delle ragioni della decisione, ciò, in particolare, considerando che il valore dichiarato nella nota spese era stato contestato, che il prezzo di vendita dell’immobile era pari a Lire 610.000.000 e che alla rivendica erano associate, come detto, più domande di risarcimento di importo indeterminato (essendo richiesta l’eventuale maggior somma ritenuta congrua dal giudice). In realtà, una volta ritenuta la natura reale dell’azione proposta in giudizio, sarebbe stato necessario in primo luogo far riferimento – quanto alla domanda di accertamento della proprietà – ai criteri di cui all’art. 15 c.p.c., cumulando il valore delle domande risarcitorie dichiarato nell’atto introduttivo ai sensi dell’art. 10 c.p.c.. A norma del D.M. n. 127 del 2004, art. 6, comma 1 (applicabile per la difesa svolta in primo grado) nonchè del D.M. n. 55 del 2014, art. 5 (applicabile ai compensi maturati nel giudizio di appello), il valore della causa andava determinato a norma del codice di procedura civile e quindi in applicazione degli artt. 10 c.p.c. e segg. (Cass. 16318/2011; Cass. 536/2011).
Il generico riferimento alle risultanze processuali sostanzia – per contro – una motivazione del tutto apparente, che non consente di individuare i dati presi in considerazione dal giudice o lo stesso percorso argomentativo posto a base della decisione (Cass. s.u. 8053/2014).
Consegue, da quanto detto, l’accoglimento del primo e del quarto motivo, il rigetto del terzo motivo e l’assorbimento del secondo. L’ordinanza è cassata con riferimento ai motivi accolti, con rinvio della causa ad altra sezione della Corte d’appello di Cagliari, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo ed il quarto motivo di ricorso, rigetta il terzo e dichiara assorbito il secondo, cassa l’ordinanza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa ad altra sezione della Corte d’appello di Cagliari, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2020
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