Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.9382 del 21/05/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29891/2015 proposto da:

CONDOMINIO *****, in persona dell’Amministratore pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato CLAUDIO LIA;

– ricorrente –

contro

R.S., rappresentato e difeso dall’avvocato SABRINA TODARO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 911/2015 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 13/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 30/10/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO.

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che la Corte d’appello di Torino, con la sentenza di cui in epigrafe, accolta l’impugnazione di proposta da R.S., in riforma della sentenza di primo grado, condannò il Condominio di *****, al pagamento in favore dell’appellante della complessiva somma di Euro 3.410,70, oltre agli interessi legali e al rimborso delle spese legali del doppio grado;

che avverso la predetta sentenza ricorre il Condominio e che l’intimato resiste con controricorso;

considerato che il ricorso non supera il vaglio d’ammissiibilità per le ragioni che seguono:

– delle 65 pagine del ricorso, ben 60 sono utilizzate per riportare, salvo un inciso di 10 righe (pagg. 1-2), nell’ordine e senza soluzione di continuità:

1) la comparsa di costituzione e risposta in primo grado (pag. 3 e segg.);

2) la memoria ex art. 183 c.p.c. (pag. 9 e segg.);

3) l’ulteriore memoria ex art. 183 c.p.c. (pag. 11 e segg.);

4) l’ulteriore memoria ex art. 183 c.p.c. (pag. 15 e segg.);

5) la comparsa conclusionale di primo grado (pag. 18 e segg.);

6) la memoria di replica di primo grado (pag. 23 e segg.);

7) la sentenza di primo grado, preceduta da quattro righe di presentazione (pag. 28 e segg.);

8) la comparsa di costituzione e risposta in appello (pag. 28 e segg.);

9) la comparsa conclusionale in appello (pag. 39 e segg.);

10) la memoria di replica in appello (pag. 50 e segg.);

– questa Corte (Sez. 5, n. 8245, 04/04/2018), consolidando principio già numerose volte ribadito (cfr., ex multis, Cass. n. 3385/016, 22185/015, 18363/015) ha precisato che “la tecnica di redazione dei cosiddetti ricorsi “assemblati” o “farciti” o “sandwich” implica una pluralità di documenti integralmente riprodotti all’interno del ricorso, senza alcuno sforzo di selezione o rielaborazione sintetica dei loro contenuti. Tale eccesso di documentazione integrata nel ricorso non soddisfa la richiesta alle parti di una concisa rielaborazione delle vicende processuali contenuta nel codice di rito per il giudizio di cassazione, viola il principio di sinteticità che deve informare l’intero processo (anche in ragione del principio costituzionale della ragionevole durata di questo), impedisce di cogliere le problematiche della vicenda e comporta non già la completezza dell’informazione, ma il sostanziale “mascheramento” dei dati effettivamente rilevanti per le argomentazioni svolte, tanto da risolversi, paradossalmente, in un difetto di autosufficienza del ricorso stesso. La Corte di cassazione, infatti, non ha l’onere di provvedere all’indagine ed alla selezione di quanto è necessario per la discussione del ricorso. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno osservato che il requisito dell’esposizione sommaria dei fatti di causa, previsto dall’art. 366 c.p.c., n. 3, è preordinato allo scopo di agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa, l’esito dei gradi precedenti con eliminazione delle questioni non più controverse ed il tenore della sentenza impugnata in immediato coordinamento con i motivi di censura (sent. n. 16628 del 2009). Si è inoltre rilevato (ord. n. 19255 del 2010) che l’assolvimento del requisito in questione è considerato dal legislatore come un’attività di narrazione del difensore che, in ragione dell’espressa qualificazione della sua modalità espositiva come sommaria, postula un’esposizione finalizzata a riassumere sia la vicenda sostanziale dedotta in giudizio che lo svolgimento del processo. E’ stato, altresì, precisato (Cass. n. 10244 del 2013) che la pedissequa riproduzione di atti processuali e documenti, ove si assuma che la sentenza impugnata non ne abbia tenuto conto o li abbia mal interpretati, non soddisfa il requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3, in quanto costituisce onere del ricorrente operare una sintesi del fatto sostanziale e processuale, funzionale alla piena comprensione e valutazione delle censure, al fine di evitare di delegare alla Corte un’attività, consistente nella lettura integrale di atti e documenti assemblati finalizzata alla selezione di ciò che 5 effettivamente rileva ai fini della decisione, che, inerendo al contenuto del ricorso, è di competenza della parte ricorrente e, quindi, del suo difensore. Alla luce dei richiamati principi giurisprudenziali, la tecnica espositiva adottata nel ricorso in esame appare inidonea ad integrare il requisito dell’art. 366 c.p.c., n. 3, poichè onera la Corte, per percepire il fatto sostanziale e lo svolgimento del fatto processuale, di procedere alla lettura degli atti e documenti riprodotti, similmente a quanto avviene in ipotesi di mero rinvio ad essi, difettando quella sintesi funzionale alla piena comprensione e valutazione delle censure mosse alla sentenza impugnata in cui si sostanzia il principio di autosufficienza del ricorso. Nella specie, non può peraltro trovare applicazione il principio espresso da questa Corte, in base al quale la tecnica di redazione mediante integrale riproduzione di una serie di documenti si traduce in un’esposizione dei fatti non sommaria, in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 3 e comporta un mascheramento dei dati effettivamente rilevanti, tanto da risolversi in un difetto di autosufficienza, sicchè è sanzionabile con l’inammissibilità”;

– la pedissequa riproduzione dell’intero, letterale, contenuto degli atti processuali è, per un verso, del tutto superflua, non essendo affatto richiesto che si dia meticoloso conto di tutti i momenti nei quali la vicenda processuale si è articolata, mentre, per altro verso, è inidonea a soddisfare la necessità della sintetica esposizione dei fatti, in quanto equivale ad affidare alla Corte, dopo averla costretta a leggere tutto (anche quello di cui non occorre sia informata), la scelta di quanto effettivamente rileva in ordine ai motivi del ricorso (Sez. 5, n. 26277, 22/11/013, Rv. 628973; conf. Cass. n. 17002/013);

– come sopra si è analiticamente evidenziato le prime 52 delle 64 pagine del ricorso sono occupate dalla riproduzione di atti di causa, così risultando lo stesso, oltre che inidoneo a soddisfare il requisito della sintetica esposizione dei fatti di causa, dispersivo a cagione della sua inutile prolissità;

– purgato delle prime 52 pagine il ricorso concentra nelle residue 12 i motivi di censura, così ricondotto lo stesso “a dimensioni e contenuti rispettosi del canone di sinteticità configurato nel modello legislativo del giudizio per cassazione, non si palesa conforme al principio di autosufficienza, poichè esso non contiene tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata” (Cass. n. 8245/018);

considerato che il regolamento delle spese segue la soccombenza e le stesse vanno liquidate, tenuto conto della notula, del valore e della qualità della causa, nonchè delle svolte attività, siccome in dispositivo, in favore del difensore del controricorrente, che si è dichiarato, con la nota spese depositata il 18/9/2019, anticipatario;

considerato che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulterior importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, che, distratte in favore dell’avv. Sabrina Todaro, liquida in Euro 2.535,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 30 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2020

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