Corte di Cassazione, sez. I Civile, Sentenza n.9461 del 22/05/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18947/2016 proposto da:

M.I., domiciliata in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di Cassazione e rappresentata e difesa dall’avvocato Domenico Romito, in forza di procura apposta su foglio separato allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

Veneto Banca s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Giosuè Borsi 4, presso lo studio dell’avvocato Federica Scafarelli e rappresentata e difesa dall’avvocato Massimo Sonego in forza di procura speciale apposta su foglio separato allegata al controricorso;

– controricorrente ricorrente incidentale –

contro

M.I., domiciliata in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di Cassazione e rappresentata e difesa dall’avvocato Domenico Romito in forza di procura apposta su foglio separato allegata al ricorso;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 929/2016 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 27/04/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/01/2020 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI;

uditi gli Avvocati DOMENICO ROMITO e MASSIMO SONEGO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha chiesto il rigetto del ricorso principale e del ricorso incidentale.

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato il 3/11/2005 M.I. ha convenuto in giudizio Veneto Banca s.c.a.r.l. dinanzi al Tribunale di Treviso, assumendo di aver con essa concluso un contratto di investimento in fondi per l’ammontare di Euro 257.345,14, in seguito alla sollecitazione della Banca ad aprire un conto fiduciario e lamentando che solo successivamente aveva appreso la tipologia altamente speculativa dell’investimento effettuato; l’attrice ha sostenuto che non le era stato consegnato nè il contratto quadro, nè alcun documento informativo, nè il documento sui rischi generali, e ha chiesto la dichiarazione di nullità o l’annullamento o la risoluzione del contratto con il risarcimento del danno.

Si è costituita in giudizio la convenuta Veneto Banca, chiedendo il rigetto delle domande avversarie, precisando che M.I. aveva aderito a una campagna promozionale che prevedeva anche il comodato gratuito di una autovettura per un anno e sostenendo che la documentazione predisposta e consegnata era completa e che l’attrice era stata debitamente informata.

Con sentenza del 14/3/2008 il Tribunale di Treviso ha ritenuto che il contratto inter partes andasse qualificato come collocamento di fondi comuni di investimento, che fossero stati consegnati alla cliente sia il documento rischi generali, sia i prospetti informativi, e che non vi fosse una situazione di conflitto di interessi in capo alla Banca; ha considerato inadeguata l’operazione effettuata dalla signora M., perchè, a fronte delle informazioni fornite dall’attrice, la percentuale azionaria investita nel fondo non avrebbe dovuto superare il 30%; ha ritenuto tuttavia maturata la prescrizione quinquennale, vertendosi in tema di responsabilità precontrattuale e quindi extracontrattuale; ha quindi rigettato la domanda e ha condannato l’attrice al pagamento delle spese di lite, in considerazione del rifiuto da parte sua di una offerta transattiva della Banca di versamento della somma di Euro 70.000.

2. Avverso la predetta sentenza di primo grado ha proposto appello M.I., a cui ha resistito l’appellata Veneto Banca.

La Corte di appello di Venezia con sentenza del 27/4/2016 ha accolto il gravame e ha condannato Veneto Banca a pagare all’attrice appellante la somma di Euro 83.319,85, oltre interessi legali dal 30/11/2014 al saldo, nonchè il 50% delle spese processuali del doppio grado e di consulenza tecnica.

Secondo la Corte veneziana, il Tribunale aveva correttamente classificato il servizio offerto dalla Banca come collocamento di prodotti finanziari; per tale servizio la documentazione predisposta era sufficiente e non era necessaria la stipulazione di un contratto quadro ex art. 30 del Regolamento Consob 11522/1998; non sussisteva una situazione di conflitto di interessi in capo alla Banca; il collocamento era però avvenuto sul presupposto che la componente azionaria dell’investimento non doveva superare il 30%, percentuale in realtà superata (49,51%); ciò ingenerava la responsabilità contrattuale della Banca soggetta a prescrizione decennale, in concreto non decorsa; il danno risarcibile doveva essere determinato sulla base della perdita del valore di investimento, detratta una quota pari al 30%; altri danni non erano provati.

3. Avverso la predetta sentenza, notificata in data 31/5/2016 alla Banca, con atto notificato il 27/7/2016 ha proposto ricorso per cassazione M.I., svolgendo quattro motivi.

3.1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, la ricorrente denuncia errori di interpretazione e applicazione dell’art. 23 TUF, dell’art. 1, comma 5, TUF, dell’art. 30 Reg. Consob. 11522/1998, contraddittorietà, errore e falsa applicazione di legge, assenza o apparente motivazione; nullità della sentenza.

La ricorrente contesta la tesi, accolta dalla Corte territoriale, secondo la quale per il servizio di collocamento di strumenti finanziari non era necessaria la redazione per iscritto del contratto quadro ai sensi dell’art. 23 TUF.

Dal testo dell’art. 23 applicabile ratione temporis, prima delle modifiche apportate dal D.Lgs. 17 settembre 2007, n. 164 e diverso da quello considerato dalla Corte territoriale si evinceva che la forma scritta era prevista per tutti i contratti di fornitura di servizi finanziari, nessuno escluso, e quindi anche per il servizio di cui all’art. 1, comma 5, TUF. La legge attribuiva alla Consob la facoltà di indicare forme alternative per alcuni contratti per precise esigenze tecniche o professionali dei contraenti, ma non poteva derogare alla normativa primaria e comunque non lo aveva fatto, poichè dell’art. 30, comma 3 del Regolamento introduceva deroga solo alle disposizioni dello stesso articolo e non già a quanto disposto dalla norma primaria dell’art. 23 TUF.

3.2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4, la ricorrente denuncia violazione in relazione all’interpretazione e applicazione degli artt. 329, 343 e 112 c.p.c. e art. 29 Reg. Consob. 11522/1998, violazione del principio tantum devolutum quantum appellatum, vizio di ultrapetizione, nullità della sentenza, violazione e falsa applicazione dell’art. 1223 c.c..

La sentenza impugnata, secondo la ricorrente, era nulla perchè aveva riformato la decisione di primo grado che aveva ritenuto l’operazione effettuata dall’attrice inadeguata sia in relazione alle sue proporzioni (assorbendo l’intera liquidità disponibile), sia per l’eccesso di componente azionaria (pag. 4 della sentenza di primo grado), pur in assenza di gravame sul punto, visto che la Banca non aveva impugnato questo capo della sentenza.

La Corte di appello non aveva tenuto conto di questo limite, ritenendo l’operazione adeguata con l’unico inadempimento costituito dal superamento della percentuale azionaria; la violazione della normativa in tema di segnalazione del carattere inadeguato dell’operazione configurava inadempimento grave, legittimante la condanna della Banca all’integrale risarcimento del danno e la risoluzione del contratto, ove esistente; la decurtazione era stata disposta in violazione dell’art. 1223 c.c., perchè la ricorrente, sollecitata ad un acquisto inadeguato, non lo avrebbe concluso, se fosse stata correttamente informata.

3.3. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, la ricorrente denuncia violazione in relazione all’interpretazione e applicazione dell’art. 23, comma 6, TUF, dell’art. 2697 c.c., dell’art. 21 TUF, dell’art. 27 Regolamento Consob 11522/1998 in tema di informazioni su operazioni in conflitto di interessi, inadempimento degli obblighi di diligenza, contraddittorietà, errore e falsa applicazione di legge, assenza o apparente motivazione; violazione dell’art. 111 Cost. e art. 132 c.p.c.; nullità della sentenza.

In ordine al denunciato conflitto di interessi, determinato dal fatto che Veneto Banca, in funzione di precisi accordi con la società di gestione del risparmio (SGR) emittente, aveva intrapreso una campagna promozionale di collocazione dei fondi, per cui aveva interesse economico, oggetto di motivo di appello, la Corte territoriale aveva eluso l’obbligo motivazionale che le incombeva, richiamando la sentenza di primo grado con mere affermazioni di stile, prive di concreta capacità esplicativa. In ogni caso era evidente l’interesse della Banca poichè essa agiva in funzione di precisi accordi commerciali e con interesse al positivo andamento delle vendite.

3.4. Con il quarto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, la ricorrente denuncia violazione in ordine all’interpretazione e applicazione dell’art. 23, comma 6 TUF, dell’art. 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., art. 21 TUF, artt. 26, 28 e 36 del Reg. Consob. 11522/1998, in tema di informazione attiva e passiva; inadempimento degli obblighi di diligenza, contraddittorietà, errore e falsa applicazione di legge, assenza o apparente motivazione; violazione dell’art. 111 Cost. e art. 132 c.p.c.; nullità della sentenza.

La ricorrente ricorda di aver addebitato alla Banca la violazione dei suoi obblighi informativi circa la componente di rischio dell’operazione, a prescindere dalla diversa censura relativa all’adeguatezza e aveva proposto appello sul punto. La Corte di appello, nell’escludere la violazione, non si era pronunciata sulla contestata inesistenza della prova della consegna del documento generale sui rischi dei prodotti finanziari, attestata da una clausola di mero stile esistente su tutti i modelli; era inoltre del tutto apparente la motivazione circa l’adeguatezza informativa dei prospetti relativi ai prodotti collocati. Era la Banca ad essere tenuta a dimostrare di aver adempiuto in modo diligente ed adeguato ai doveri informativi a suo carico in modo tale da mettere il consumatore in grado di effettuare un investimento consapevole.

3.5. Con atto notificato il 5/10/2016 ha proposto controricorso e ricorso incidentale Veneto Banca, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione e instando, a sua volta, con il supporto di un motivo, per la cassazione della sentenza di secondo grado.

3.6. Con il motivo di ricorso incidentale, la Banca ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in tema di contratto in relazione agli artt. 1321, 1337 c.c. e in tema di prescrizione, con violazione altresì dell’art. 111 Cost. e art. 132 c.p.c., omessa motivazione con nullità della sentenza e omesso esame di fatto decisivo.

Secondo la ricorrente incidentale, il superamento del limite del 30% non poteva costituire causa di nullità del negozio di collocamento e nemmeno poteva giustificare una responsabilità contrattuale, ma, semmai solo una responsabilità precontrattuale; non era dato capire su quali basi la Corte veneta avesse accertato l’esistenza di un accordo per cui l’investimento avrebbe avuto un limite rigido all’acquisto di azioni; il limite del 30% infatti era contenuto nella scheda finanziaria della sig.ra M. che lo aveva indicato negli obiettivi di investimento.

3.7. Con controricorso notificato il 4/11/2016 la ricorrente ha resistito al ricorso incidentale avversario.

3.8. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

In particolare, la controricorrente Veneto Banca ha dato atto con la memoria di essere stata ammessa alla procedura di liquidazione coatta amministrativa con D.M. Economia e Finanze 25 giugno 2017, n. 186, evocando “tutte le conseguenze che ne derivano anche ai sensi dell’art. 83 TUB”.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La controricorrente Veneto Banca ha dato atto con la memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c., di essere stata ammessa alla procedura di liquidazione coatta amministrativa con D.M. Economia 25 giugno 2017, n. 186 (e quindi nel corso del giudizio di legittimità), senza produrre materialmente il predetto decreto, comunque puntualmente indicato negli estremi identificativi, senza subire alcuna contestazione da controparte, nè in memoria, nè alla pubblica udienza del 7/1/2020, ove la circostanza è stata segnalata anche nella relazione ex art. 379 c.p.c., comma 1.

2. Il D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 83, i primi tre commi, recante il Testo Unico Bancario, in tema di effetti del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa per la banca, per i creditori e sui rapporti giuridici preesistenti dispongono:

“1. Dalla data di insediamento degli organi liquidatori ai sensi dell’art. 85, e comunque dal sesto giorno lavorativo successivo alla data di adozione del provvedimento che dispone la liquidazione coatta, sono sospesi il pagamento delle passività di qualsiasi genere e le restituzioni di beni di terzi. La data di insediamento dei commissari liquidatori, con l’indicazione del giorno, dell’ora e del minuto, è rilevata dalla Banca d’Italia sulla base del processo verbale previsto all’art. 85, comma 1.

2. Dal termine indicato nel comma 1, si producono gli effetti previsti dagli artt. 42, 44, 45 e 66, nonchè dalle disposizioni del titolo II, capo III, sezione II e sezione IV della L. Fall., art. 23.

3. Dal termine previsto nel comma 1, contro la banca in liquidazione non può essere promossa nè proseguita alcuna azione, salvo quanto disposto dagli artt. 87, 88, 89 e art. 92, comma 3, nè, per qualsiasi titolo, può essere parimenti promosso o proseguito alcun atto di esecuzione forzata o cautelare. Per le azioni civili di qualsiasi natura derivanti dalla liquidazione è competente esclusivamente il tribunale del luogo dove la banca ha la sede legale *****”.

3. La messa in liquidazione coatta amministrativa della Banca, al pari della dichiarazione di fallimento, non determina l’interruzione del processo di legittimità.

In generale, infatti, l’intervenuta modifica della L. Fall., art. 43, per effetto del D.Lgs. n. 5 del 2006, art. 41, nella parte in cui stabilisce che “l’apertura del fallimento determina l’interruzione del processo”, non determina l’interruzione del giudizio di legittimità, posto che in quest’ultimo, dominato dall’impulso d’ufficio, non trovano applicazione le comuni cause di interruzione del processo previste in via generale dalla legge (Sez. 1, n. 27143 del 15/11/2017, Rv. 646008-01; Sez. 1, n. 7477 del 23/03/2017, Rv. 645844-01; Sez. L, n. 21153 del 13/10/2010, Rv. 614856-01; Sez. U, n. 14385 del 21/06/2007, Rv. 598042-01); lo stesso principio vale per la liquidazione coatta amministrativa (Sez. lav., 22/03/2004, n. 5699; Sez. U, n. 6224 del 23/10/1986, Rv. 448482-01; Sez.U., 17/02/1983, n. 1196).

4. Ai sensi della L. Fall., art. 200, dalla data del provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa si applicano gli artt. 42, 44, 45, 46 e 47; ai sensi dell’art. 201 si applicano le disposizioni del titolo II, capo III, sezione II e sezione IV e le disposizioni dell’art. 66, intendendosi sostituiti nei poteri del tribunale e del giudice delegato l’autorità amministrativa che vigila sulla liquidazione, nei poteri del curatore il commissario liquidatore e in quelli del comitato dei creditori il comitato di sorveglianza.

Si applica quindi alla liquidazione coatta anche la L. Fall., art. 52, secondo cui ogni credito, anche se munito di diritto di prelazione o trattato ai sensi dell’art. 111, comma 1, n. 1), nonchè ogni diritto reale o personale, mobiliare o immobiliare, deve essere accertato secondo le norme stabilite dal Capo V, salvo diverse disposizioni della legge.

Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, nella disciplina concernente la formazione dello stato passivo contenuta nella legge fallimentare per la liquidazione coatta amministrativa, opera il principio per cui tutti i crediti verso l’imprenditore insolvente, ivi compresi quelli prededucibili, vanno fatti valere e devono essere accertati secondo le norme che ne disciplinano il concorso, sicchè il creditore non può agire giudizialmente prima della definizione della fase amministrativa di formazione e verifica del passivo davanti agli organi della procedura, ma deve azionare in quella sede il suo credito, poi tutelabile davanti al giudice in via di opposizione avverso lo stato passivo. Ne consegue che la domanda formulata in sede di cognizione ordinaria, se proposta prima dell’inizio della procedura concorsuale, diventa improcedibile, e tale improcedibilità è rilevabile d’ufficio, anche nel giudizio di cassazione, discendendo da norme inderogabilmente dettate a tutela del principio della par condicio creditorum. (Sez. L, n. 17327 del 11/10/2012, Rv. 624216-01; vedi anche Sez. L, n. 15066 del 19/06/2017, Rv. 644779-01; Sez. L, n. 19271 del 20/08/2013, Rv. 628412-01; Sez. 3, n. 5662 del 09/03/2010, Rv. 611746-01; Sez. 3, n. 27679 del 21/11/2008, Rv. 605618-01).

Non diversamente, quindi, da quanto previsto per l’accertamento di un credito nei confronti del fallimento, devoluto alla competenza esclusiva del giudice delegato L. Fall., ex artt. 52 e 93, con la conseguenza che, ove la relativa azione sia proposta nel giudizio ordinario di cognizione, deve esserne dichiarata d’ufficio, in ogni stato e grado, anche nel giudizio di cassazione, l’inammissibilità o l’improcedibilità, a seconda che il fallimento sia stato dichiarato prima della proposizione della domanda o nel corso del giudizio, trattandosi di una questione litis ingressus impediens, con l’unico limite preclusivo dell’intervenuto giudicato interno, laddove la questione sia stata sottoposta od esaminata dal giudice e questi abbia inteso egualmente pronunciare sulla domanda di condanna rivolta nei confronti del fallimento, e del giudicato implicito, ove l’eventuale nullità derivante da detto vizio procedimentale non sia stata dedotta come mezzo di gravame avverso la sentenza che abbia deciso sulla domanda, ciò in ragione del principio di conversione delle nullità in motivi di impugnazione ed in armonia con il principio della ragionevole durata del processo (Sez. 3, n. 24156 del 04/10/2018, Rv. 651126-01).

5. In materia bancaria la norma speciale prevista dal sopracitato art. 83 del Testo Unico, con l’inequivocabile disposto del comma 3, esclude che contro la banca in liquidazione coatta possa essere promossa – o, come nella fattispecie, proseguita – alcuna azione, salvo quanto disposto dagli artt. 87, 88, 89 e art. 92, comma 3, in tema di opposizioni allo stato passivo, e, per qualsiasi titolo, possa essere promosso o proseguito alcun atto di esecuzione forzata o cautelare.

Lo stesso art. 83, comma 2, sancisce inoltre, quale conseguenza della messa in liquidazione coatta dell’istituto bancario, gli effetti previsti dagli artt. 42, 44, 45 e 66, nonchè dalle disposizioni del titolo II, capo III, sezione II e sezione IV della legge fallimentare (fra cui il ricordato L. Fall., art. 52).

La L. Fall., art. 96, comma 2, n. 3, seconda parte, non è richiamato dall’art. 83 TUB e in ogni caso i commissari liquidatori non hanno proseguito il giudizio di impugnazione.

Di conseguenza, ogni credito, inclusi quelli oggetto del presente giudizio in fase di impugnazione, deve essere accertato, nel rispetto della par condicio, tramite la procedura di ammissione al passivo e l’eventuale giudizio di opposizione.

6. Pertanto questa Corte deve dichiarare improcedibile la domanda.

Le ragioni della pronuncia impongono la compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

La Corte:

decidendo sul ricorso, dichiara improcedibile la domanda e compensa le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 7 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2020

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