LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 11673/2015 proposto da:
Agea – Agenzia per le Erogazioni in agricoltura, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
contro
Azienda Agricola F.G. Gi. e A., in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato Tapparo Cesare, giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 645/2014 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 29/10/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/01/2020 dal Cons. Dott. TRICOMI LAURA;
udito il P.M.,in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO Alberto, che ha concluso per il rigetto;
udito, per la controricorrente, l’Avvocato Emanuele Vergine, con delega, che ha chiesto il rigetto.
FATTI DI CAUSA
L’Azienda Agricola F.G., Gi. ed A. otteneva dal Tribunale di Udine il decreto ingiuntivo n. 1383/2011 in data 16/6/2011 con cui Agea veniva condannata al versamento di Euro 132.055,97, oltre interessi legali per contributi comunitari PAC relativi alle stagioni sino al 2008.
Tali contributi, pur già liquidati dall’Ente, non erano stati corrisposti materialmente per la compensazione attuata dall’Agenzia con i debiti superiori al credito azionato, che gravavano sulla medesima azienda nei confronti dell’Agenzia, a titolo di prelievo supplementare per la quantità di latte prodotta in eccesso rispetto alla quota posseduta relativa al periodo di consegne latte 2005/2006, prelievo questo iscritto nella banca dei debitori e non versato dall’azienda agricola, nonostante il rigetto delle istanze di sospensione avanzate dal TAR del Lazio.
Avverso il decreto ingiuntivo Agea proponeva opposizione, deducendo, per quanto interessa, l’infondatezza della pretesa assumendo di avere operato legittimamente la compensazione in applicazione del D.L. n. 182 del 2005, art. 3, comma 5-duodecies, conv. in L. n. 231 del 2005.
Il Tribunale di Udine aveva respinto l’opposizione e confermato il decreto ingiuntivo.
Anche l’appello proposto da Agea è stato rigettato.
La Corte di appello di Trieste ha accertato l’inapplicabilità della dedotta compensazione ed ha ritenuto dirimente la circostanza che la somma ingiunta all’Agea non era suscettibile di pignoramento (D.L. n. 182 del 2005, ex art. 3, comma 5 duodecies, conv. in L. n. 231 del 2005) e, come tale, non poteva essere neppure oggetto di compensazione (art. 1246 c.c., n. 3).
Per la Corte territoriale non era di ostacolo l’ultimo inciso della suddetta disposizione di legge ove è detto “tranne che per il recupero da parte degli organismi pagatori di pagamenti indebiti di tali provvidenze”. Inoltre la compensazione legale era ostacolata pure dalla circostanza che il controcredito vantato dell’Agea era stato espressamente contestato dall’Azienda agricola ed era oggetto di accertamento dinanzi al G.A. con la conseguenza che difettava dei prescritti requisiti di certezza e liquidità.
Agea propone ricorso per cassazione con quattro mezzi. Replica con controricorso l’Azienda agricola.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. L’Agea con il primo motivo ha denunciato la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 228 del 2001, art. 33 e del D.L. n. 182 del 2005, art. 3, comma 5-duodecies, come modificato dalla L. n. 231 del 2005.
La ricorrente sostiene che l’art. 3, comma 5 -duodecies cit., contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, non escluda la compensabilità di somme dovute per contributi comunitari con debiti verso l’organismo pagatore, ma la consenta – sia pure circoscrivendola -, di guisa che la circostanza che il pagamento ingiunto alla Agea fosse dovuto, non era sufficiente ad escludere la compensabilità con altro pregresso debito: invoca a sostegno il D.Lgs. n. 228 del 2001, art. 33, che prevede la possibilità di sospendere i procedimenti per erogazioni da parte degli organismi pagatori riguardo ai beneficiari nei cui confronti siano pervenute da parte di organismi di accertamento e di controllo, notizie circostanziate di indebite percezioni di erogazioni a carico del bilancio comunitario o nazionale, finchè i fatti non siano definitivamente accertati.
2. Con il secondo motivo ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 1243 c.c., art. 5 ter del Reg. CE n. 855/2006, introdotto dal Reg. CE 1034/2008 del 21/10/2008, L. 5 aprile 2009, n. 33, art. 8 ter, L. n. 468 del 1992, art. 5, artt. 115 e 116 c.p.c., trattandosi di disposizione self executing.
La ricorrente sostiene che ricorreva la compensabilità ex art. 1243 c.c., trattandosi di crediti liquidi ed esigibili: in particolare, a suo parere, il credito dell’Agea era liquido, perchè esattamente determinato nel suo ammontare, ed esigibile, perchè iscritto nel Registro dei debitori e non versato, nonostante il rigetto delle istanze di sospensione avanzate al TAR del Lazio.
3. Con il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 5 ter del Reg. CE n. 855/2006, introdotto dal Reg. CE 1034/2008 del 21/10/2008, L. 5 aprile 2009, n. 33, art. 8 ter e del D.L. n. 182 del 2005, art. 3, comma 5 duodecies, conv. con mod. dalla L. n. 231 del 2005, artt. 1241, 1242, 1243 e 1246 c.c., L. n. 468 del 1992, art. 5.
Segnatamente la censura si appunta sulla statuizione con cui è stata ritenuta inapplicabile la L. n. 33 del 2009, al caso di specie, perchè successiva alla fattispecie in esame – relativa a contributi comunitari pertinenti alle stagioni sino al 2008 ed a prelievi supplementari relativi al periodo 2005/2006 e successivo. A parere della ricorrente era sufficiente che i debiti coesistessero al momento in cui la compensazione veniva opposta e che ciò era avvenuto quando detta norma era vigente.
4. Con il quarto motivo si denuncia la violazione del combinato disposto del D.P.R. 24 dicembre 1974, n. 727, art. 2, comma 2, come sostituito dal D.L. n. 185 del 2005, art. 3, comma 5 duodecies, conv. con mod. dalla L. n. 231 del 2005, D.L. 10 febbraio 2009, n. 4, poi sostituito dalla L. n. 33 del 2009, art. 8 ter, nonchè dell’art. 1246 c.c..
Secondo la ricorrente erroneamente la Corte di appello ha ritenuto che si trattasse di compensazione legale ex artt. 1241 e 1243 c.c., ed ha ritenuto che vi ostasse il disposto di cui all’art. 1246 c.c., n. 3, poichè gli aiuti comunitari erano impignorabili del D.L. n. 185 del 2005, ex art. 3, comma 5 duodecies, conv. con mod. dalla L. n. 231 del 2005, che ha sostituito del D.P.R. 24 dicembre 1974, n. 727, art. 2, comma 2.
A parere della ricorrente si verte in un caso di “compensazione finanziaria di natura atecnica”, poichè il rapporto giuridico con l’agricoltore è unico ed unitario, come dimostrerebbe il fatto che la domanda di pagamento dell’agricoltore è unica, così il fascicolo aziendale ed il Registro debitori, mentre l’applicazione dell’art. 1246 c.c., n. 3, presuppone – al contrario – l’esistenza di debiti facenti capo a rapporti autonomi.
5. I motivi, da esaminarsi congiuntamente per connessione, sono infondati, alla luce dei principi affermati da questa Corte in relazione a casi analoghi (Cass. n. 11196 del 24/04/2019; Cass. n. 4313 del 14/02/2019; Cass. 28/02/2017, n. 5002; Cass. 28/06/2016 n. 13279) e che il Collegio condivide.
6. Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, anteriormente all’adozione del Regolamento CE n. 1034 del 2008, che ha integrato la disciplina del Regolamento CE n. 885 del 2006, la c.d. compensazione tra crediti derivanti da norme comunitarie spettanti al soggetto beneficiario e crediti a qualsiasi titolo vantati dallo Stato membro nei confronti del soggetto beneficiario non riceveva alcuna espressa regolamentazione da parte dell’ordinamento comunitario (v. Corte Giust., 18/5/1998, C-132/95, Bent e Korn, punto 35), risultando peraltro prevista dal diritto interno di singoli Stati membri, e ritenuta conforme al diritto comunitario qualora costituisse per un operatore insolvibile l’unico modo di recuperare i debiti maturati a qualsiasi titolo nei confronti dello Stato (v. Corte Giust., 1/3/1983, C-250/78, Deka), non incidendo tale ipotesi di compensazione sulla realizzabilità dello scopo che si prefiggeva la normativa comunitaria attributiva dell’aiuto economico al beneficiario (v. Cass., 28/6/2016, n. 13279). Così come anteriormente, anche posteriormente all’emanazione del suindicato Regolamento CE n. 1034 del 2008 i requisiti legali di compensazione sono invero dettati dalle singole legislazioni nazionali. E’ la stessa fonte comunitaria del 2008 a prevedere la possibilità di farsi luogo a compensazione con il credito di recupero di uno Stato membro solo dei “debiti in essere di un beneficiario, accertati in continuità della legislazione nazionale” (v. Cass. n. 5002 del 28/2/2017,; Cass. n. 13279 del 28/6/2016). Orbene, come questa Corte anche a Sezioni Unite ha avuto modo di precisare in tema di compensazione dei crediti, la compensazione presuppone, in ogni caso, che ricorrano i requisiti di cui all’art. 1243 c.c., che si tratti cioè di crediti certi, liquidi (o di facile e pronta liquidazione) ed esigibili (v. Cass., Sez. Un. 23225 del 15/11/2016).
A tale stregua, la contestazione giudiziale dell’esistenza, così come dell’ammontare, del controcredito ne impedisce la “compensazione legale” ex art. 1243 c.c., comma 1. Se è controversa (nel medesimo giudizio instaurato dal creditore principale o in altro già pendente) l’esistenza del controcredito opposto in compensazione, il giudice non può pronunciare la compensazione, neppure quella giudiziale, perchè quest’ultima ex art. 1243 c.c., comma 2, presuppone l’accertamento del controcredito da parte del giudice dinanzi al quale è fatta valere, mentre non può fondarsi su un credito la cui esistenza dipenda dall’esito di un separato giudizio in corso e prima che il relativo accertamento sia divenuto definitivo (v. Cass., Sez. Un. 23225 del 15/11/2016), tale contestazione venendo a risolversi (anche) nel difetto del requisito della liquidità (v. Cass. n. 13279 del 28/6/2016; Cass. n. 1695 del 29/1/2015; Cass. n. 13208 del 31/5/2010; in epoca risalente Cass. n. 2188 del 22/10/1965). Un credito contestato in un separato giudizio non è suscettibile nemmeno di c.d. compensazione impropria o atecnica, non potendo darsi ingresso ad una sorta di compensazione di fatto, sganciata da ogni limite previsto dalla disciplina codicistica (v. Cass., 28/2/2017, n. 5002; Cass., 28/6/2016, n. 13279; Cass., 29/1/2015, n. 1695). L’eventuale sentenza di merito o provvedimento di condanna, anche se immediatamente esecutivi, emessi in quel giudizio ancora pendente, non consentono in particolare di ravvisare il necessario requisito della “definitività”, e dunque della “certezza” del controcredito richiesta per operare la compensazione, trattandosi di titoli di accertamento del credito pur sempre connotati dalla provvisorietà, in quanto suscettibili di riforma o revoca nel corso dei successivi gradi del giudizio (cfr. Cass., 8/4/2013, n. 8525). Requisito della “definitività”, e dunque della “certezza” del controcredito, la cui sussistenza invero a fortiori difetta in presenza, come nella specie, di credito contemplato in un atto amministrativo ancora sub iudice.
A tale stregua, ai fini della compensazione il previo accertamento definitivo dal carattere indebito della somma liquidata a titolo di contributo PAC, nonchè del corrispondente controcredito vantato a titolo di recupero dell’indebito risulta allora sempre e comunque indefettibilmente necessario (cfr. Cass., 28/6/2016, n. 13279). Si è da questa Corte per altro verso posto in rilievo come in relazione alla previsione generale di insequestrabilità, impignorabilità, inapplicabilità di misure cautelare e di fermo amministrativo, la nozione di “pagamento indebito”, accolta quale presupposto per l’emissione di misure conservative, cautelari ed espropriative del D.L. n. 182 del 2005, ex art. 3, comma 5 duodecies (introdotto dalla Legge di Conversione n. 231 del 2005), integri una disposizione derogatoria dei limiti imposti agli ordinari rimedi di diritto privato e di autotutela amministrativa, essendo pertanto essa di stretta interpretazione ex art. 14 preleggi, e conseguentemente insuscettibile di estensione (anche) ad un credito incerto in quanto litigioso (v. Cass., 28/6/2016, n. 13279). Nè la previsione normativa secondo cui soltanto gli importi per contributi comunitari indebiti possono essere oggetto di misure di recupero e di compensazione (diversamente dovendo ex art. 9 Regolamento CE n. 1290 del 2005 essere integralmente versati ai beneficiari i pagamenti relativi ai finanziamenti ***** e *****) risulta d’altro canto modificata dall’art. 8 ter D.L. n. 5 del 2009 (conv. nella L. n. 33 del 2009), che ha istituito il Registro nazionale S.I.A.N. dei debiti delle imprese agricole (v. Cass., 28/2/2017, n. 5002). Come questa Corte ha già avuto modo di affermare al riguardo, in rapporto al prelievo supplementare sulle quote latte eccedenti la produzione attribuita al singolo destinatario del disincentivo dallo stesso dovuto, l’art. 5 ter del Regolamento della Commissione del 21 giugno 2006 n. 885 (introdotto dal Regolamento della Commissione del 21 ottobre 2008 n. 1034) ha espressamente sancito che “gli Stati membri deducono gli importi dei debiti in essere di un beneficiario accertati in conformità della legislazione nazionale da futuri pagamenti a favore del medesimo beneficiari”. Come le Sezioni Unite di questa Corte hanno avuto modo di porre in rilievo, meramente attuativa di tale norma sovranazionale è stato il D.L. n. 4 del 2009, art. 2, mai convertito in legge in quanto sostituito dalla L. n. 33 del 2009, art. 8 ter (di conversione, con modificazioni, del D.L. 10 febbraio 2009, n. 5) (v. Cass., Sez. Un., 1/12/2009, n. 25261), che ha istituito il Registro nazionale dei debiti nel S.I.A.N., ove l’Agea indica le somme dovute a titolo di prelievo supplementare da parte di produttori e acquirenti di quote latte eccedenti quelle consentite, ponendole a loro rispettivo carico. In tale sistema (giusta quanto chiarito in più circolari dell’Agea) sono inseriti i soli debiti accertati in via definitiva, con sentenza passata in giudicato, ovvero non più impugnabili in sede giurisdizionale, cui corrispondono crediti dell’Agenzia di carattere certo, liquido ed esigibile. Si è ulteriormente sottolineato che l’istituzione del Registro nazionale dei debiti di cui della L. n. 33 del 2009, art. 8 ter, comma 2, ha equiparato la inserzione nel Registro debiti SIAN delle somme che produttori e acquirenti devono rimborsare a titolo di prelievi supplementari alla c.d. iscrizione a ruolo di somme pretese in pagamento. E che come ogni altra iscrizione a ruolo, l’inserimento dei debiti per prelievi nel registri del S.I.A.N. presuppone un diritto alla riscossione in attuazione della citata norma regolamentare comunitaria, autorizzando la deduzione delle somme dovute a detto titolo dai produttori agricoli e acquirenti allo Stato e, in concreto, per esso, alle Agenzie regionali o provinciali, le quali debbono pretendere il prelievo, e provvedere al pagamento degli incentivi o finanziamenti comunitari, compensando quanto dovuto per gli aiuti PAC con i crediti iscritti nel Registro S.I.A.N. per acquiescenza del debitore divenuti riscuotibili in via definitiva (v. Cass., S.U. n. 25261 del 1/12/2009).
7. Orbene, dei suindicati principi i giudici di merito hanno fatto piena e corretta applicazione. In particolare là dove la Corte di appello di Trieste ha affermato che il controcredito vantato da Agea in compensazione “estintiva” non poteva essere utilizzato a questo fine, poichè il credito monitoriamente azionato non era suscettibile di pignoramento, il che inequivocabilmente ex art. 1246 c.c., n. 3, comportava che lo stesso credito non fosse estinguibile per compensazione (fol. 5 della sent. imp.). Così anche dove si è posto in rilievo che il riferimento all’ultima parte di detto enunciato normativo di cui alla L. n. 231 del 2005 (“tranne che per il recupero da parte degli organismi pagatori di pagamenti indebiti di tali provvidenze”) era inconferente, non potendosi assimilare i pagamenti sub iudice ai pagamenti “indebiti”.
E’ infine appena il caso di osservare che il principio affermato da Cass., Sez. Un., n. 25261 del 2009 in ordine alla compensabilità di quanto dovuto per gli aiuti PAC con i crediti iscritti nel Registro S.I.A.N. per acquiescenza del debitore divenuti riscuotibili in via definitiva non trova nel caso applicazione, dato che i crediti vantati dall’odierna ricorrente invero non sono stati oggetto di acquiescenza da parte dell’odierna controricorrente ma, per converso, da quest’ultima contestati, e ancora sub iudice.
8. In conclusione il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza, nella misura liquidata in dispositivo.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. S.U. n. 23535 del 20/9/2019).
PQM
– Rigetta il ricorso;
– Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 7.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed accessori di legge;
– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 8 gennaio 2020.
Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2020