LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –
Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 10396/2015 proposto da:
S.F., domiciliato in Roma, P.zza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Donà Gabriele, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
Cassa di Risparmio del Veneto Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via del Tritone n. 102, presso lo studio dell’avvocato Ticozzi Ugo che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Ticozzi Marco, giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2301/2014 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 13/10/2014;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 15/01/2020 dal Cons. Dott. TERRUSI FRANCESCO.
RILEVATO
che:
S.F. convenne davanti al tribunale di Padova la Cassa di risparmio del Veneto s.p.a., per sentir dichiarare la nullità o la risoluzione di quattro ordini di acquisto di obbligazioni della Repubblica Argentina eseguiti nelle date del 28-5-1999, 23-5-2000, 31-8-2000 e 16-2-2001;
l’adito tribunale respinse tutte le domande;
la decisione venne confermata dalla corte di appello di Venezia e avverso la relativa sentenza S. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi;
la banca ha replicato con controricorso;
il ricorrente ha depositato una memoria.
CONSIDERATO
che:
I. – col primo mezzo il ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23 (cd. T.u.f.), artt. 1352, 1392 e 1399 c.c., censura la sentenza nella parte in cui ha disatteso l’eccezione di nullità degli ordini di acquisto per difetto di forma scritta;
II. – il motivo è inammissibile;
la corte d’appello ha accertato che il contratto-quadro dei servizi di investimento, stipulato per iscritto, aveva previsto la possibilità di conferire gli ordini non solo per iscritto ma anche con altra modalità (fax, telefax, home banking ecc.) purchè risultante “dalle relative annotazioni eseguite dalla Cassa”;
ha quindi soggiunto che nel caso concreto gli ordini erano stati impartiti oralmente da S. per il tramite della madre sig.ra D.B., tanto è vero che lo stesso S. aveva infine dimesso gli ordini sottoscritti dalla predetta madre;
tale specifica condizione è stata ritenuta altresì sorretta da elementi indiziari: (i) la provvista necessaria all’acquisto era stata addebitata sul libretto di deposito di S. senza alcuna contestazione, (ii) i titoli erano stati registrati nel dossier del medesimo, (iii) sempre a S. erano stati inviate le note informative periodiche, ancora una volta senza contestazione, (iv) infine egli aveva percepito le cedole periodiche e, ancora senza niente addurre, chiuso il rapporto e trasferito i titoli presso altro istituto di credito;
nel menzionato primo motivo il ricorrente ammette che le modalità contemplate nel contratto-quadro costituivano valida alternativa alla forma scritta degli ordini; tuttavia sostiene che l’essere stati impartiti gli ordini per iscritto, da parte della B., avrebbe dovuto condurre la corte territoriale a ritenere che le parti avessero inteso avvalersi, infine, della forma scritta e non delle forme alternative pur previste; cosicchè gli ordini sarebbero dovuti risultare da atto scritto firmato da esso S., a niente valendo l’operato della D.B. in difetto di potere rappresentativo attribuito parimenti per iscritto, ovvero in difetto di ratifica egualmente resa in tale forma;
sennonchè la tesi del ricorrente implica una censura in fatto: implica cioè doversi rivedere la ricostruzione dei fatti resa dal giudice del merito a proposito dell’avere S. impartito gli ordini in forma alternativa a quella scritta avvalendosi poi della madre quale semplice soggetto latore dell’ordine medesimo;
tale ricostruzione è stata motivata dalla corte d’appello in considerazione di elementi di prova complessivamente valutati, tali da legittimare la conclusione opposta: “la documentazione dimessa comprova all’evidenza un ordine orale di S.F. trasmesso per il tramite della congiunta che ha specificato per chi agiva”;
questa affermazione, integrante un accertamento di fatto, non è censurata sul versante della motivazione, nei limiti in cui il vizio di motivazione è ancora deducibile in cassazione (v. Cass. Sez. U n. 8053-14); donde la questione decisiva non è quella sottolineata nel ricorso, relativa ai poteri rappresentativi della D.B., sebbene quella concernente la prova, che la corte d’appello ha ritenuto e giustificato nella motivazione, dell’esistenza comunque di un ordine orale impartito dall’investitore;
III. – col secondo motivo il ricorrente denunzia la violazione o falsa applicazione degli artt. 28 del Regolamento Consob n. 11522 del 1998 e art. 23 del T.u.f., per avere la corte d’appello errato nell’affermare che fosse onere dell’investitore dare la prova della non avvenuta consegna del documento sui rischi generali prima dell’inizio della prestazione dei servizi di investimento, quando invece la prova della ripetuta consegna avrebbe dovuto gravare sulla banca;
il motivo è manifestamente infondato;
la corte d’appello, come del resto il tribunale, ha stabilito che la consegna del documento era risultata dalla specifica dichiarazione dell’investitore contenuta nel contratto-quadro;
essa ha mentovato l’onere del ricorrente di fornire la prova contraria a fronte del contenuto della sua stessa dichiarazione;
ne consegue che il criterio di ripartizione dell’onere della prova non è stato violato affatto, poichè nella prima sottolineatura si coglie l’affermazione per cui la banca aveva per documenti adempiuto all’onere su di essa gravante, mentre l’investitore, a fronte della sua stessa dichiarazione, non aveva fornito alcuna prova in contrario;
IV. – col terzo mezzo, infine, il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 21 e 23 del T.u.f. e art. 28 del regolamento Consob n. 11522-98, poichè la corte d’appello, al di là della consegna del documento sui rischi generali dell’investimento, si sarebbe acriticamente appiattita sulla posizione del primo giudice e avrebbe omesso di verificare, in risposta all’allora prospettato terzo motivo di censura, se la banca avesse adempiuto, e in quale specifico modo, all’obbligo di fornire informazioni in ordine alla natura, ai rischi e alle implicazioni dell’investimento, nonostante la posizione, da egli assunta, di investitore non professionale;
il motivo è inammissibile poichè non calibrato sulla specifica concorrente ratio decisionale che ha portato la corte d’appello a considerare inammissibile la censura in quella sede formulata;
la corte d’appello ha infatti prioritariamente ritenuto il suddetto terzo motivo “inammissibile poichè non contrasta puntualmente il ragionamento del tribunale che ha dedotto la specifica conoscenza da parte dello S. delle obbligazioni ***** in forza dell’acquisto di titoli identici avvenuto dieci mesi prima”;
in concreto ciò vuol dire che l’appello è stato per codesta parte ritenuto inammissibile perchè generico;
questa Corte ha chiarito che gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. n. 83 del 2012, conv. con modificazioni dalla L. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, “affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice” (Cass. Sez. U. n. 27199-17), ancorchè senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado – tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata;
la riportata considerazione dell’impugnata sentenza, che ha rimarcato l’omissione dell’appellante nel contrastare “puntualmente” il ragionamento del giudice di prime cure, si pone nel solco di simile insegnamento, e non è censurata in modo pertinente, poichè a tal riguardo la questione non è (e non era) se e a quali condizioni fossero da considerare assolti gli obblighi di informativa negoziale gravanti sulla banca intermediaria, sebbene se e in qual modo la decisione del tribunale, negativa a tal riguardo, fosse stata “puntualmente” censurata;
V. – le spese processuali seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese processuali, che liquida in Euro 6.200,00, di cui Euro 200,00, per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella massima percentuale di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 15 gennaio 2020.
Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2020
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