Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.9535 del 22/05/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 8081/19 proposto da:

A.S., elettivamente domiciliato a Torino, via Groscavallo n. 3, presso l’avvocato Alessandro Praticò, che lo rappresenta e difende in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Milano 15.1.2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 3 marzo 2020 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

FATTI DI CAUSA

A.S., cittadino ghanese, chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis);

a fondamento dell’istanza dedusse di aver lasciato il Ghana nel 2002, allorchè il proprio padre, senza fornire ulteriori spiegazioni, lo aveva accompagnato con sè dapprima in Nigeria, e poi in Libia; solo qui, e dopo qualche tempo, l’odierno ricorrente apprese dal proprio padre che questi aveva lasciato il Ghana dopo avere accidentalmente ucciso una persona con un’arma da caccia, e che non poteva quindi rientrare in Ghana per evitare di essere arrestato; tale circostanza gli impedì di abbandonare la Libia allorchè in questo paese scoppiò la guerra civile; quindi, con la recrudescenza di questa, decise di abbandonare anche la Libia e venire in Italia;

la Commissione Territoriale rigettò l’istanza;

avverso tale provvedimento A.S. propose, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis ricorso dinanzi alla sezione specializzata, di cui al D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 1, comma 1, del Tribunale di Milano, che la rigettò con decreto 15 gennaio 2019;

il Tribunale ritenne che:

-) il racconto del richiedente asilo era vago, incerto ed incoerente;

-) in ogni caso lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria di cui alle ipotesi previste dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) non potessero essere concessi, perchè i fatti narrati dal richiedente, oltre ad essere inattendibili, non evidenziavano comunque alcuna persecuzione, nè minaccia di trattamenti inumani o degradanti;

-) la protezione sussidiaria di cui all’ipotesi prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) non potesse essere concessa, perchè il Ghana è uno dei paesi più maturi e stabili dell’Africa centro-occidentale, ed ivi non sussisteva una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato (il Tribunale cita l’enciclopedia Treccani edizione on-line; il sito Web di freedom in the World; il sito Web “viaggiaresicuri”);

-) l’esistenza di eventuali conflitti in Libia non rilevava ai fini del rilascio della protezione sussidiaria, perchè il ricorrente, avendo cittadinanza ghanese, non poteva essere rimpatriati in Libia;

-) la protezione umanitaria, infine, non poteva essere concessa in quanto:

a) da un lato, il richiedente non aveva allegato, a sostegno della domanda di protezione umanitaria, fatti diversi da quelli dedotti a fondamento delle domande di protezione maggiore e ritenuti inveritieri dal Tribunale;

b) dall’altro, non esisteva alcuna radicamento del richiedente asilo in Italia, nè a tal fine potevano rilevare le occupazioni svolte nel centro di accoglienza, le quali avevano l’unico scopo di “rispondere all’esigenza di garantire al richiedente protezione condizione di vita dignitose sino all’esaurimento della procedura”;

tale decreto è stato impugnato per cassazione da A.S. con ricorso fondato (formalmente) su tre motivi;

il Ministero dell’Interno non si è difeso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente lamenta l’erroneità del giudizio con cui il Tribunale ha reputato non credibile il suo racconto.

1.1. Il motivo è inammissibile, perchè senza prospettare alcuna violazione di legge, censura unicamente l’apprezzamento dei fatti e la valutazione di essi per come compiuta dal giudice di merito.

Giova ricordare, al riguardo, che il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, non impone affatto al giudice di credere al richiedente asilo, ma gli impone soltanto l’obbligo, prima di pronunciare il proprio giudizio sulla sussistenza dei presupposti per la concessione della protezione, di compiere le valutazioni ivi elencate, ed in particolare di stabilire “se le dichiarazioni del richiedente (siano) coerenti e plausibili” (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. (c)).

Da ciò discendono tre conseguenze:

-) la prima è che il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, non potrà mai dirsi violato sol perchè il giudice di merito abbia ritenuto inattendibile un racconto od inveritiero un fatto;

-) la seconda è che il giudizio sulla credibilità del richiedente asilo non è affatto a rime obbligate, e non sussiste alcun “diritto ad essere creduti” sol perchè si sia presentata una domanda di asilo il prima possibile o si sia fornito un racconto circostanziato (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 20580 del 31/07/2019, Rv. 654946 – 01);

-) la terza è che il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. (c) lascia libero il giudice di merito di credere o non credere al richiedente asilo, secondo il suo prudente apprezzamento, che in quanto tale non è sindacabile in questa sede (Sez. 1, Ordinanza n. 21283 del 9.8.2019; Sez. 1 -, Ordinanza n. 21142 del 07/08/2019, Rv. 654674 – 01; Sez. 1, Ordinanza n. 21128 del 7.8.2019; Sez. 1 -, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549 – 01; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 27503 del 30/10/2018, Rv. 651361 – 01).

2. Col secondo motivo (pagina 9 del ricorso) il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14.

Sostiene che erroneamente il Tribunale avrebbe “negato importanza ai 12 anni vissuti in Libia”. Deduce di avere trascorso in Libia gli ultimi 12 anni della sua vita, recidendo ogni legame col paese di origine, ed era dalla Libia che era stato costretto a fuggire a causa della situazione politica e delle violenze subite.

2.1. Il motivo – anche a prescindere da qualsiasi considerazione circa la tecnica scrittoria con cui è formulato, la quale non contiene alcuna ragionata e seria censura al decreto impugnato – è infondato.

Il Tribunale, infatti, ha ritenuto inattendibile il racconto dell’odierno ricorrente, e di conseguenza non era affatto tenuto a prendere in esame una circostanza di fatto (una permanenza di 12 anni in Libia) che il Tribunale stesso aveva ritenuto inveritiera.

In ogni caso, essendo l’odierno ricorrente cittadino ghanese e non libico, e non sussistendo la dimostrazione di fatti ostativi al suo rimpatrio, non potrebbe egli pretendere la concessione della protezione sussidiaria per il solo fatto che sia scoppiata la guerra non nel proprio paese, ma in un paese terzo.

3. Col terzo motivo il ricorrente impugna il rigetto della domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Lamenta (anche in questo caso, in termini molto generici) che il Tribunale:

-) non ha verificato quale fosse il rispetto dei diritti umani tanto in Ghana, quanto in Libia;

-) ha erroneamente ritenuto irrilevanti le esperienze lavorative svolte dall’odierno ricorrente nel centro di accoglienza;

-) non ha tenuto conto dello svolgimento, da parte dell’odierno ricorrente, di un lavoro temporaneo e dell’attività di volontariato;

-) non avrebbe correttamente compiuto un giudizio di comparazione fra l’integrazione raggiunta in Italia e la situazione del suo paese.

3.1. Il motivo è inammissibile per estraneità alla ratio decidendi.

Il Tribunale, infatti, ha rigettato la domanda di protezione umanitaria sul presupposto che il ricorrente non avesse “nemmeno allegato” particolari profili di vulnerabilità a fondamento della propria domanda.

La decisione del Tribunale si fonda quindi su un ritenuto deficit assertivo.

Giusta o sbagliata che fosse tale valutazione, essa costituiva una autonoma ratio decidendi, ed andava ovviamente censurata con un motivo ad hoc.

Il ricorrente, invece, incurante di tale valutazione, entra nel merito del giudizio sulla vulnerabilità, con un motivo che pertanto deve ritenersi inammissibile per la sua irrilevanza.

In ogni caso, con riferimento alle quattro censure sopra riassunte, non è superfluo ricordare che:

-) il Tribunale non ha affatto trascurato di considerare quale fosse la situazione dei diritti umani in Ghana, ma anzi ha ritenuto il Ghana uno dei paesi “più stabili e maturi” dell’Africa centrale;

-) il giudizio con cui il Tribunale ha ritenuto non decisive, ai fini della dimostrazione dell’avvenuta integrazione in Italia, le esperienze lavorative svolte nel centro di accoglienza, costituisce un apprezzamento di fatto non censurabile in questa sede;

-) il giudizio di comparazione è stato correttamente svolto dal Tribunale, alla luce di quanto appena esposto.

4. Non è luogo a provvedere sulle spese, poichè la parte intimata non ha svolto attività difensiva.

4.1. La circostanza che il ricorrente sia stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato esclude l’obbligo del pagamento, da parte sua, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17): infatti, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2012, n. 115, art. 11 il contributo unificato è prenotato a debito nei confronti della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, sempre che tale ammissione non sia stata revocata dal giudice competente.

P.Q.M.

la Corte di cassazione:

(-) rigetta il ricorso;

(-) dà atto che non sussistono, allo stato, i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, sempre che l’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato non sia stata revocata dal giudice competente.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile della Corte di cassazione, il 3 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2020

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