Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.9577 del 25/05/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –

Dott. LIBERATI Giovanni – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28386/2018 proposto da:

K.O., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione e rappresentato e difeso dall’avvocato Ennio Cerio che lo rappresenta e difende in forza di procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che lo rappresenta e difende ex lege;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CAMPOBASSO, depositata il 22/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 31/10/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI.

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 bis, K.O., cittadino della *****, ha adito il Tribunale di Campobasso – Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

Il richiedente, nato in ***** nella città di *****, distretto di *****, di religione musulmana, etnia Dioula, aveva raccontato di essere il più piccolo di quattro fratelli e con due sorelle piccole; di aver lavorato come meccanico di moto; di appartenere a un gruppo armato chiamato “i mafiosi”, composto da sette persone, capeggiato da un certo “sniper”, che erano soliti rapinare, torturare e uccidere gli appartenenti a etnie diverse; che il gruppo era attivo nel quartiere di *****; che essi operavano a volto scoperto, armati di machete, contro l’etnia *****; finita la guerra fra le etnie, alcune persone di etnia ***** lo avevano riconosciuto come componente del gruppo dei mafiosi; che per sfuggire alle loro rappresaglie era scappato dal Paese di origine, raggiungendo l’Italia nel 2016, attraverso Burkina Faso, Niger e Libia.

Con decreto del 22/8/2018, il Tribunale di Campobasso Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE ha rigettato il ricorso, ritenendo la non sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria.

2. Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso K.O., con atto notificato il 19/9/2018, svolgendo un motivo L’intimata Amministrazione dell’Interno si è costituita solo con memoria al fine di prender eventualmente parte alla discussione orale.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, per il mancato esercizio del dovere di cooperazione istruttoria che incombe sul Giudice.

1.1. L’asserita inverosimiglianza del racconto non costituisce ragione di esclusione della protezione sussidiaria in caso di rischio di danni gravi scaturenti da situazioni di violenza indiscriminata da conflitto armato interno.

L’osservazione non attinge la ratio decidendi del provvedimento impugnato da cui esula qualsiasi riferimento alla non credibilità soggettiva del richiedente asilo.

1.2. Per il ricorrente la carenza di indagine e la conseguente violazione dell’art. 8, predetto si poteva cogliere dalla genericità delle informazioni relative alla condizione generale del Costa d’Avorio, indicate alla pagina 2 del decreto.

La doglianza del ricorrente è del tutto generica e sconfina evidentemente nel merito delle valutazioni delle acquisizioni istruttorie, insindacabile in sede di legittimità.

Nè il Tribunale si è sottratto al c.d. “dovere di collaborazione istruttoria”, sancito dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, secondo cui ciascuna domanda deve essere esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati, richiamato dall’art. 35 bis, comma 9, dello stesso decreto, secondo il quale per la decisione il giudice si avvale anche delle predette informazioni aggiornate sulla situazione socio-politico-economica del Paese di provenienza.

Il provvedimento impugnato indica infatti quale fonte informativa un rapporto di Amnesty International del 2017-2018.

1.3. Ciò assorbe l’ulteriore rilievo, pur dirimente, che ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 10, comma 2, lett. b) e art. 16, comma 1, lett. b), la protezione internazionale, principale e sussidiaria è esclusa ove sussistono fondati motivi per ritenere che lo straniero abbia commesso al di fuori del territorio italiano, prima di esservi ammesso in qualità di richiedente, un reato grave (tenendo conto della pena prevista dalla legge italiana per il reato non inferiore nel minimo a quattro anni o nel massimo a dieci anni) ovvero che abbia commesso atti particolarmente crudeli, anche se perpetrati con un dichiarato obiettivo politico, che possano essere classificati quali reati gravi.

Nella fattispecie il ricorrente ha allegato nel suo racconto di aver fatto parte attiva di un gruppo armato dedito a rapinare, torturare e uccidere gli appartenenti a etnie diverse in particolare quelli di etnia *****, così riconoscendo di aver commesso fatti puriti dalla legge italiana come associazione a delinquere e omicidio pluriaggravato, puniti con pene molto più severe di quelle indicate nelle norme citate.

1.4. In ogni caso, aggiunge il ricorrente, le stesse situazioni rilevavano anche ai fini della richiesta di protezione umanitaria, al cui proposito il Tribunale si era limitato a valutare solo l’assenza di legami familiari e di patologie, non considerando la situazione di insicurezza dell’area di provenienza.

La doglianza, articolata solo in negativo rispetto alla statuizione impugnata senza l’indicazione di fattori di vulnerabilità soggettiva trascurati, è espressa in termini del tutto generici ed astratti e argomentata solo relativamente alla situazione generale del Paese di provenienza, senza alcun adeguato riferimento alla situazione personale di vulnerabilità soggettiva del richiedente asilo e tantomeno alla sua situazione di integrazione in Italia.

2. Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile.

Nulla sulle spese in difetto di rituale costituzione dell’Amministrazione.

Poichè risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere stata ammessa al Patrocinio a spese dello Stato non sussistono, allo stato, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, sempre che l’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato non risulti revocata dal giudice competente.

PQM

La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto che non sussistono, allo stato, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, sempre che l’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato non risulti revocata dal giudice competente.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 31 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2020

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