LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITTI Stefano – Presidente –
Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 32376/2018 proposto da:
D.I., elettivamente domiciliato in Padova Vicolo M.
Buonarroti 2, presso lo studio dell’Avv.to Maria Monica Bassan;
– ricorrente –
contro
Commissione Territoriale Per il Riconoscimento Della Protezione Internazionale Verona Sez. Padova, Ministero Dell’interno *****, Procuratore Generale Repubblica Corte Suprema Cassazione;
– intimato –
avverso la sentenza n. 2327/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 28/08/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 04/11/2019 da Dott. MELONI MARINA.
FATTI DI CAUSA
La Corte di Appello di Venezia, con sentenza in data 28/8/2018, ha rigettato l’appello avverso la decisione del Tribunale di Venezia di conferma del provvedimento di rigetto pronunciato dalla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Padova in ordine alle istanze avanzate da D.I. nato in *****, volte, in via gradata, ad ottenere il riconoscimento del diritto alla protezione sussidiaria ed il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria.
Il ricorrente aveva riferito alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Padova di essere fuggito dal proprio paese per paura di essere ucciso dalla matrigna che lo maltrattava e lo minacciava ingiustamente.
Avverso la sentenza della Corte di Appello di Venezia il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un motivo.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con unico motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 2008, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 32, in ordine all’accertamento della situazione oggettiva relativa al Paese di origine, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in quanto la Corte di Appello di Venezia non ha concesso la protezione umanitaria.
In ordine alla verifica delle condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria il motivo è inammissibile in quanto censura l’accertamento di merito compiuto dalla Corte di Appello in ordine alla insussistenza di una particolare situazione di vulnerabilità del ricorrente. Nella specie, la Corte territoriale non è venuta meno al dovere di cooperazione istruttoria officiosa, così come previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, in ordine all’accertamento della situazione oggettiva relativa al Paese di origine, avendo piuttosto ritenuto, a monte, che i fatti lamentati non costituiscano un ostacolo al rimpatrio nè integrino un’esposizione seria alla lesione dei diritti fondamentali tenuto anche conto della concreta possibilità di accesso alla protezione interna da pericoli derivanti da soggetti non statuali, non risultando dimostrata la sua assenza.
La censura in ogni caso si risolve in una generica critica del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012 (v. Cass., sez. un., n. 8053/2014).
Quanto poi al parametro dell’inserimento sociale e lavorativo e dell’avvenuta integrazione dello straniero in Italia esso può essere valorizzato non come fattore esclusivo bensì come presupposto della protezione umanitaria e come circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale (Cass. n. 4455 del 2018), che, tuttavia, nel caso di specie è stata esclusa alla luce della valutazione comparativa espressa dal giudice di merito con esaustiva indagine circa le condizioni descritte dello straniero con riguardo al suo paese di origine ed all’integrazione in Italia acquisita, valutazione in sè evidentemente non rivalutabile in questa sede.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile. Nulla per le spese in mancanza di attività difensiva.
Infine deve darsi atto che sussistono nella specie i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente stesso, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, ricorrono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente stesso, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima della Corte di Cassazione, il 4 novembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2020