Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.9591 del 25/05/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33422/2018 proposto da:

I.J., rappresentato e difeso dall’avvocato Daniela Vigliotti del Foro di Busto Arsizio, giusta procura speciale allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3625/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 27/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 04/11/2019 dal Cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 3625/2018 depositata il 27-07-2018 la Corte d’Appello di Milano ha respinto l’appello proposto da I.J., cittadino del Pakistan, avverso l’ordinanza del Tribunale di Milano che aveva rigettato la sua domanda avente ad oggetto in via gradata il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. Il Tribunale ha ritenuto che fosse non credibile, ed in ogni caso non rilevante ai fini del riconoscimento delle protezioni richieste, la vicenda personale narrata dal richiedente, il quale riferiva di essere fuggito perchè si era rifiutato di testimoniare contro il suo datore di lavoro, che era un oppositore politico di A.R., e temeva di essere ucciso dagli uomini di quest’ultimo. La Corte territoriale, in conformità di quanto statuito dal Tribunale, ha ritenuto che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione, avuto anche riguardo alla situazione generale del Pakistan, descritta nel decreto impugnato, con indicazione delle fonti di conoscenza.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che è rimasto intimato.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta “Violazione e falsa applicazione degli artt. 343, 414 e 434 c.p.c., per avere l’Ecc. ma Corte d’Appello di Milano, ritenuto l’appello proposto dall’odierno Ricorrente inammissibile per genericità dei motivi dall’appello addotti “. Deduce il ricorrente che erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto inammissibile per genericità l’appello proposto dallo stesso. Nel richiamare la giurisprudenza di questa Corte assume che non sia richiesto per la proposizione dell’appello il rispetto di particolari forme sacramentali o vincolate e che dalla lettura dell’atto di appello si desumano le censure, concernenti la ricostruzione dei fatti e la valutazione della situazione della zona di provenienza del richiedente.

2. Con il secondo motivo lamenta “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 51 del 2007, art. 14, lett. c), per non avere, l’Ecc.ma Corte d’Appello di Milano, riconosciuto la sussistenza di una minaccia grave alla vita dell’odierno deducente in ragione alla generale situazione socio-politica del Paese di provenienza, tale da fondare il riconoscimento, in suo favore della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c)”. Censura la valutazione della situazione del suo Paese effettuata dalla Corte territoriale in ordine al grado di violenza indiscriminata, richiamando i principi affermati dalla Corte di giustizia e da questa Corte, e cita fonti ufficiali (rapporto Easo agosto 2017) da cui risultano attacchi terroristici nella regione del Punjab.

3. Con il terzo motivo lamenta “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, per non avere, l’Ecc.ma Corte d’Appello di Milano, assolto all’onere di cooperazione istruttoria gravante in capo all’autorità giudiziaria adita nella materia che ci occupa”. Ribadisce che il quadro del Paese descritto nella sentenza impugnata non corrisponde alla reale situazione, come riconosciuto nelle sentenze di merito che cita, e come risulta dalla Risoluzione del Parlamento Europeo sul Pakistan del 15-12015. Cita il rapporto di Amnesty International 2017/2018, da cui risulta una situazione di grave violenza interna e la reiterata violazione di diritti umani in Pakistan. Sostiene, pertanto, che la Corte territoriale non abbia adempiuto al dovere di cooperazione istruttoria.

4. Il primo motivo è inammissibile.

4.1. La Corte d’appello, pur affermando ad abundantiam la genericità della domanda dell’appellante, ha in ogni caso statuito nel merito, rigettando ogni pretesa azionata perchè infondata.

In sede di legittimità sono inammissibili, per difetto di interesse, le censure rivolte avverso argomentazioni contenute nella motivazione della sentenza impugnata e svolte ad abundantiam o costituenti obiter dicta, poichè esse, in quanto prive di effetti giuridici, non determinano alcuna influenza sul dispositivo della decisione (Cass. n. 23635/2010; Cass. n. 101/2017; Cass. n. 22380/2014; Cass. n. 8755/2018).

5. Anche i motivi secondo e terzo, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono inammissibili.

5.1. La valutazione sulla situazione del Paese di origine, rilevante ai fini della concessione della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. C), si risolve in un accertamento di fatto, che è sottratto al controllo di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. n. 30105/2018).

5.2. Nel caso di specie la Corte territoriale ha esaminato la situazione generale del Pakistan, indicando le fonti di conoscenza (pag.n. 5 e 6 della sentenza impugnata), ed ha escluso, con motivazione adeguata (Cass. S.U. n. 8053/2014), la sussistenza di violenza indiscriminata, pur dando conto della presenza di criminalità comune aggressiva in alcune aree del Paese, pure indicate. La Corte d’appello ha, peraltro, aggiunto che l’appellante non aveva svolto alcuna specifica censura in ordine alle statuizioni di cui all’ordinanza del Tribunale di rigetto della protezione sussidiaria.

Il ricorrente deduce genericamente la violazione di norme di legge, attraverso il richiamo alle disposizioni che assume disattese e tramite una ricostruzione della fattispecie concreta, quanto alla valutazione del suo Paese, inammissibilmente difforme da quella accertata nel giudizio di merito.

6. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, nulla dovendosi disporre sulle spese del presente giudizio, stante l’assenza di attività difensiva da parte del Ministero.

7. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto (Cass. n. 23535/2019).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 4 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2020

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