LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –
Dott. SCORDAMAGLIA Irene – rel. Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso n. 5042/2019 proposto da:
M.A., elettivamente domiciliato in Roma, alla via Lima n. 20, presso lo studio dell’Avvocato Vincenzo Iacovino, che lo rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, *****, in persona del Ministro pro-tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via Dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale Dello Stato, che lo rappresenta e difende ope-legis;
– controricorrente –
e contro
Procura della Repubblica presso il Tribunale di Campobasso;
– intimata –
avverso il decreto n. 2649/2018 del TRIBUNALE di CAMPOBASSO, depositato il 27/12/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 7 febbraio 2020 dal Consigliere Dottoressa IRENE SCORDAMAGLIA.
FATTI DI CAUSA
1. Con il decreto in epigrafe, il Tribunale di Campobasso ha respinto il ricorso proposto da M.A., cittadino ***** proveniente dalla regione del *****, avverso il provvedimento di diniego di protezione internazionale emesso dalla locale Commissione territoriale, richiesta in tutte le sue forme.
Il rigetto del ricorso è stato così motivato: non sussistevano i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, atteso che i motivi che avevano costretto il ricorrente all’espatrio erano sostanzialmente economici (egli, infatti, aveva sostenuto di essersi allontanato dal ***** per recarsi a lavorare in Libia) e che il timore da questi allegato di essere vittima, in caso di rimpatrio, delle azioni legali minacciate dai creditori, cui la sua famiglia si era rivolta per ottenere il denaro necessario per pagare il riscatto preteso da coloro che l’avevano rapito in Libia, non era per nulla correlato agli atti di persecuzione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 8; la zona di provenienza del migrante (*****, regione del *****) non rientrava fra quelle in cui vi era una situazione di violenza generalizzata discendente da conflitto armato, posto che sulla base delle informazioni attinte dalle raccomandazioni del Ministero degli esteri, si era potuto verificare che la violenza dovuta alle forze terroristiche, tradottasi, peraltro, in attentati ad edifici governativi e militari, era concentrata nella capitale e nelle altre principali città del *****; erano assenti i requisiti per la concessione della protezione umanitaria, avuto riguardo al fatto che i timori, paventati dal richiedente, di essere vittima delle azioni legali dei creditori, una volta rimpatriato, erano del tutto astratti e congetturali, che egli non poteva vantare particolari legami familiari con il territorio italiano e che non era portatore di patologie che dovessero essere necessariamente curate in Italia. In ragione della manifesta infondatezza delle domande formulate, veniva, altresì, revocata l’ammissione del richiedente protezione al patrocinio a spese dello Stato.
2. Il ricorso per cassazione avverso l’illustrato decreto è affidato a due motivi, di seguito enunciati.
3. Il Ministero dell’Interno si è difeso con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il Collegio ha disposto che la motivazione della presente ordinanza sia redatta in forma semplificata, non facendosi questioni rilevanti ai fini della funzione nomofilattica di questa Corte.
1. Il primo motivo di ricorso, sotto la rubrica: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 1"A”, Convenzione di Ginevra sul diritto a ottenere lo status di rifugiato e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 7 (in uno con l’art. 10 Cost. Italiana), norme poste a base del ricorso di prime cure in via principale, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 e art. 14, nonchè del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, costituenti domande gradate in prime cure, norme relative, rispettivamente, alla disciplina dello status di rifugiato, alla cd. protezione sussidiaria e alla cd. protezione umanitaria, costituenti sub-specie della materia della protezione internazionale. Motivo ex art. 360 c.p.c., n. 3. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”; “Motivazione omessa, insufficiente e/o contraddittoria su fatti decisivi e questioni controverse”; “Motivi ex art. 360 c.p.c., n. 3, omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti”, deduce che il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto insussistenti i requisiti per il riconoscimento della protezione internazionale, in nessuna delle tre forme richieste, pur in presenza dei presupposti soggettivi e oggettivi a ciò necessari, in considerazione sia del racconto del richiedente, avuto riguardo alla sua zona di provenienza (regione *****a del *****), nella quale si registrava una situazione di conflitto interno e di assenza delle guarentigie fondamentali dei diritti civili, secondo quanto attestato dalle fonti qualificate riportate in ricorso.
Il motivo è inammissibile.
1.1. Il Tribunale ha ritenuto che il richiedente non fosse meritevole di nessuna forma di protezione, sia perchè non ne sussistevano i presupposti, sia perchè, comunque, in relazione a quelle correlate alla situazione esistente nel Paese di origine, le fonti officiosamente compulsate escludevano che vi dilagasse la violenza generalizzata come effetto di un conflitto armato. A fronte di questi accertamenti – che rientrano nel giudizio di fatto demandato al giudice di merito -, la doglianza, articolata sotto l’egida formale della violazione di legge, mira, in realtà, alla rivalutazione dei fatti in guisa tale da postulare un non consentito, ulteriore, grado di merito (Sez. 6 – 3, n. 8758 del 04/04/2017, Rv. 643690).
1.2. Il vizio di motivazione denunciabile con ricorso per cassazione si sostanzia, inoltre, solamente nell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, dovendo riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica, e non anche nell’omesso esame di determinati elementi probatori. Al riguardo va evocato l’insegnamento impartito dal diritto vivente (Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831), che ha stabilito che è sufficiente che il fatto, così concepito, sia stato esaminato, non essendo, di contro, necessario dare conto di tutte le risultanze istruttorie come astrattamente rilevanti.
Nel caso al vaglio il fatto storico rilevante ai fini del decidere costituito dalla situazione generale del ***** – è stato preso in considerazione da parte del Tribunale, che, sulla base delle informazioni attinte dalle raccomandazioni del Ministero degli esteri, ha dato conto di come gli attacchi terroristici verificatisi in ***** fossero stati diretti contro edifici governativi e militari situati nella capitale del paese e nelle altre principali città, con ciò implicitamente escludendo che nella regione di provenienza del richiedente fosse presente uno stato di violenza generalizzata suscettibile di integrare il danno grave di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c). Trattasi, quindi, di accertamento in fatto non sindacabile in questa sede sotto il profilo dedotto.
2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 74, comma 2 e art. 136, comma 2: il Tribunale avrebbe disposto la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato a motivo dell’insussistenza originaria dei presupposti per l’ammissione, benchè tale revoca potesse essere ordinata soltanto a seguito dell’accertamento della sussistenza di dolo o colpa grave in capo alla parte, condizioni che nel caso di specie non potevano essere ravvisate quanto meno tenuto conto della situazione interna del *****.
Il motivo è inammissibile.
Il Tribunale ha proceduto alla revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato direttamente all’interno del decreto impugnato e in uno con la decisione sul merito della controversia, piuttosto che con separato decreto ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, comma 2; il che tuttavia non comporta mutamenti nel relativo regime impugnatorio, che resta quello, ordinario e generale, dell’opposizione prevista dall’art. 170 stesso D.P.R., dovendosi escludere che la pronuncia sulla revoca, in quanto adottata con il decreto che definisce il merito, sia, per ciò solo, impugnabile immediatamente con il ricorso per cassazione, rimedio previsto solo per l’ipotesi contemplata dall’art. 113 testo unico in parola (Sez. 1 -, n. 32028 del 11/12/2018, Rv. 651900; Sez. 3 -, n. 3028 del 08/02/2018, Rv. 647941; Sez. 2 -, n. 29228 del 06/12/2017, Rv. 646597).
3. Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile. Segue la condanna del ricorrente, siccome soccombente, al pagamento delle spese processuali in favore del controricorrente, liquidate in Euro 2.100, oltre SPAD. Il doppio contributo di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dovrà essere versato ove ne sussistano i presupposti, secondo quanto chiarito dalla sentenza Sez. 1 n. 9660/2019, cui si intende prestare adesione.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100,00 oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 7 febbraio 2020.
Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2020