LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 8641/2018 proposto da:
M.Y., M.E., M.V., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GERMANICO, 107, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO GELERA, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato RANIERO BORDON;
– ricorrenti –
contro
RCS MEDIAGROUP SPA, in persona del suo procuratore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CRESCENZIO 17/A, presso lo studio dell’avvocato UMBERTO GUELI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARCELLO FRANCO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 401/2017 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 22/02/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 16/01/2020 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI.
FATTI DI CAUSA
1. M.V., M.Y., M.E. ed R.A.R. (che decederà nelle more del giudizio, e la cui domanda sarà coltivata dagli altri ricorrenti) nel 2009 convennero dinanzi al Tribunale di Vicenza le società RCS Quotidiani s.p.a. e RCS Digital s.p.a., esponendo che:
-) il proprio congiunto, M.G., il ***** venne a mancare per cause naturali;
-) il sito Web *****, gestito dalla RCS Digital s.p.a. ed i cui contenuti venivano forniti dalla RCS quotidiani s.p.a., aveva pubblicato la falsa notizia che il decesso fosse avvenuto per eccesso di sostanze stupefacenti e di alcol;
-) nonostante le società convenute, per effetto di una contratto di transazione, si fossero obbligate a rimuovere dal suddetto sito Web la notizia, ancora a ***** essa risultava presente e reperibile attraverso i motori di ricerca.
Chiesero perciò la condanna delle società convenute al risarcimento dei danni non patrimoniali patiti in conseguenza della diffusione del suddetto articolo.
2. Il Tribunale di Vicenza con sentenza 17 aprile 2014 n. 1125 accolse la domanda e condannò le società convenute in solido a pagare 25.000 Euro al padre della persona deceduta, 20.000 Euro alla madre, e 10.000 Euro ciascuna alle due sorelle.
3. La sentenza venne appellata dalla RCS Mediagroup s.p.a., succeditrice per fusione delle due società convenute in primo grado. Per quanto in questa sede ancora rileva la società appellante si dolese di una sovrastima del danno.
Con sentenza 22 febbraio 2017 n. 401 la Corte d’appello di Venezia accolse il gravame, e ridusse il quantum del risarcimento all’importo di Euro 5.000 per ciascuno dei due genitori di M.G., Euro 2.000 per ciascuna delle due sorelle.
4. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da M.V., M.Y. ed M.E., con ricorso fondato su quattro motivi ed illustrato da memoria.
La RCS Mediagroup s.p.a. ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Coi primi tre motivi i ricorrenti lamentano, sotto vari profili, l’errore del giudice di merito nella stima del danno.
Deducono, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 1223,1226,2043, 2056 e 2059 c.c.; nonchè la violazione delle norme sul riparto dell’onere della prova e l’omesso esame di un fatto decisivo, rappresentato dal fatto che l’articolo di rettifica pubblicato dalla società convenuta, sul cui contenuto la Corte d’appello aveva fatto leva per ridurre il quantum, non era affatto una vera e propria rettifica, “perchè ancora ragionava in termini dubitativi in merito alle cause della morte di M.G.”.
2. Tutti e tre questi motivi sono inammissibili perchè censurano una valutazione di fatto riservata al giudice di merito.
Lo stabilire, infatti, quale sia il pretium doloris adeguato a ristorare un danno non patrimoniale causato da una diffamazione a mezzo stampa è un accertamento di fatto riservato al giudice di merito, e non sindacabile in questa sede.
Nè può fondatamente sostenersi che il giudice di merito abbia trascurato elementi di fatto, od adottato una motivazione contraddittoria o illogica.
Nel caso di specie la Corte d’appello ha ridotto il quantum debeatur sulla base di quattro argomenti:
1) era trascorso un considerevole lasso di tempo tra la morte di M.G. (avvenuta nel *****) e la pubblicazione dell’articolo che si assumeva lesivo (avvenuta nel *****);
2) la suddetta pubblicazione aveva avuto ampia smentita mediante opportuna diffusione a mezzo stampa;
3) la suddetta notizia aveva ricevuto una specifica smentita inserita nell’archivio on-line;
4) la smentita aveva una titolazione di immediata percezione.
Tutte le suddette valutazioni costituiscono una motivazione chiara, non manifestamente equivoca, non manifestamente contraddittoria e, vuolsi qui aggiungere, pienamente condivisibile.
2. Col quarto motivo i ricorrenti investono la regolazione delle spese di lite.
Sostengono che il tribunale avrebbe liquidato importi inferiori ai parametri minimi.
2.1. Il motivo è infondato.
La Corte d’appello ha liquidato per il giudizio di appello la somma di Euro 1.889, che corrisponde al minimo in base ai parametri previsti dal Decreto n. 55 del 2014.
Nè la scelta della Corte d’appello di non applicare alcun aumento in considerazione del numero delle parti difese dall’avvocato degli odierni ricorrenti può essere sindacata in sede di legittimità.
Si tratta infatti di una scelta discrezionale, e l’art. 4 del suddetto decreto prevede che il giudice “può” aumentare il compenso tabellare nel caso della difesa cumulata di più parti, ma non già che “deve” farlo.
3. Le spese.
Le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1 e sono liquidate nel dispositivo.
Essendo stato il ricorso rigettato, il valore della causa su cui calcolare le spese andrà individuato in base al petitum.
3.1. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).
PQM
la Corte di Cassazione:
(-) rigetta il ricorso;
(-) condanna M.V., M.Y. e M.E., in solido, alla rifusione in favore di RCS Mediagroup s.p.a. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 8.000, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;
(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di M.V., M.Y. e M.E., in solido, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 16 gennaio 2020.
Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2020