LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –
Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 10769/2017 proposto da:
AZIENDA AGRICOLA SOG SS FATTORIA 2M, in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ALESSANDRO MALLADRA 31, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI IARIA, rappresentata e difesa dall’avvocato PAOLA BERTELLI;
– ricorrente –
contro
M.C., C.G., M.P., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA G. NICOTERA, 29, presso lo studio dell’avvocato FRANCA VALENTINA CARLA ACCIARDI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato ELISA RAVARINI;
– controricorrenti –
e contro
C.G., M.C., CH.DO.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 1031/2016 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 27/10/2016;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 30/01/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI.
FATTI DI CAUSA
M.P., M.C. e C.G. hanno concesso a Ch.Do. l’opzione per l’acquisto di 3500 quote latte.
Il Ch. ha rinunciato ad esercitare l’opzione e, poco dopo, si è adoperato per trovare un nuovo acquirente, mettendo in contatto i venditori con la società “Fattoria 2M”, con la quale i titolari delle quote latte stipularono un contratto di cessione che era destinato ad avere efficacia in futuro, quando le autorità competenti avessero verificato la sussistenza dei presupposti necessari al trasferimento.
Infatti, al momento della stipula, sulla base della legge vigente, la società acquirente non aveva i requisiti soggettivi per poter beneficiare della titolarità di quote latte e dunque acquistarle.
Con un successivo contratto, i titolari delle quote hanno poi concesso in godimento i loro terreni alla società Azienda Agricola Società Semplice Fattoria 2M.
A distanza di anni da tali contratti, sia il Ch. (che aveva avuto l’opzione e vi aveva rinunciato) sia la società Fattoria 2M hanno citato in giudizio i signori M. e C. facendo valere la pretesa di avere, ognuno per sè, la proprietà di quelle quote, e le due cause sono state riunite.
Il Tribunale, in primo grado, ha rigettato la domanda di Ch., accogliendo quella della società “Azienda Agricola SOC semplice Fattoria 2M”.
I titolari delle quote, ossia i signori M. e C. hanno proposto appello, e con essi, il Ch., ma separatamente. Gli appelli sono stati riuniti, e tuttavia, la corte, con una sentenza parziale, ha confermato la decisione di primo grado quanto alla domanda del Ch., che, nel prosieguo del giudizio, vi ha poi rinunciato, cosi che il giudizio è proseguito solo sull’appello proposto dai venditori.
La corte, con ulteriore sentenza, ha accolto quest’ultima impugnazione, ritenendo mai conclusa una vendita tra i M. e C., da un lato, e l’Azienda Fattoria 2M dall’altro.
Avverso tale sentenza, l’azienda ricorre con due motivi, cui resistono M.ni e C. con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- La ratio della decisione impugnata.
La decisione è basata su due rationes. Con la prima, la corte di appello ha interpretato la volontà delle parti in modo difforme dalla decisione di primo grado. Quest’ultima aveva ritenuto perfezionato il contratto di cessione di quote tra M. – C. e l’Azienda Agricola, salva la sospensione degli effetti per via di una condizione, consistente nell’approvazione del trasferimento di quote da parte dell’organismo amministrativo competente.
Invece, secondo la corte di appello, il contratto non si era perfezionato, avendo le parti concluso soltanto una stipulazione preliminare, resa necessaria dal fatto che, in quel momento, l’acquirente non aveva la legittimazione ad acquistare, ossia i requisiti soggettivi per comprare le quote, ed era in attesa dunque che si verificassero i presupposti del trasferimento; del resto era in corso la riforma legislativa che attribuiva alle Regioni il controllo circa il rispetto della normativa sulle quote latte.
Con la seconda ratio, la corte di appello giudica tardivo il documento proposto da Azienda Agricola Fattoria 2M a dimostrazione della propria legittimazione attiva, ossia della qualifica di cessionaria del contratto, e lo ritiene non utilizzabile come prova.
2.- I motivi di ricorso sono due.
Con il primo motivo l’Azienda Agricola deduce omesso esame di un fatto rilevante e controverso, nonchè violazione delle norme sulla cessione delle quote latte (L. n. 468 del 1992 e D.P.R. n. 569 del 1993).
Sostiene infatti che la corte di appello non avrebbe dovuto formare la sua convinzione solo sulla tardività della produzione del documento che attestava la cessione del contratto in capo alla ricorrente, ma aveva altri elementi per decidere a sostegno della tesi di quest’ultima. Ed in particolare avrebbe dovuto entrare nel merito della questione dell’avvenuto perfezionamento del contratto di vendita, questione sulla quale invece non ha compiuto accertamenti sufficienti.
Invece, con il secondo motivo, la società ricorrente contesta che la produzione documentale fosse tardiva, avendo depositato il documento con una memoria espressamente autorizzata, e dunque denuncia erronea interpretazione di legge, senza indicare tuttavia, di preciso, quale.
3.- Il ricorso è infondato.
Va detto preliminarmente che i controricorrenti eccepiscono il difetto di legittimazione di Mo.Cl. che si presenta come legale rappresentante della società ricorrente, in quanto quest’ultimo, secondo quanto si asserisce nel controricorso, avrebbe ceduto le sue quote a terzi, diventati poi amministratori, i quali hanno mutato altresì la denominazione sociale. Con la conseguenza che, al momento della instaurazione della lite, il Mo. non era più rappresentante della società.
L’eccezione non è fondata, in quanto non essendo stata dichiarata l’estinzione della società (o meglio la sua trasformazione in altra) nel corso del giudizio dal difensore munito di procura anche per il giudizio di appello, legittimamente questi in forza dell’ultrattività della procura conferitagli da colui che è stato il legale rappresentante della società incorporata, può proporre l’atto di impugnazione in nome della stessa società (Cass. 6949/2001; Cass. 2656/ 2005).
Nel merito, il primo motivo è di certo infondato.
La ricorrente rimprovera alla corte di appello di non avere esaminato la questione nel merito, essendosi limitata a decidere dichiarando inutilizzabile il documento che provava la cessione delle quote.
In realtà, la corte decide per prima la questione della utilizzabilità del documento, ma non omette di valutare la questione della effettiva conclusione del contratto, o meglio, della interpretazione della volontà delle parti, tanto è vero che, in disaccordo con il giudice di primo grado, conclude nel senso che non si è trattato di una vendita definitiva sottoposta a condizione sospensiva, bensì di una stipulazione preliminare, in attesa della nuova normativa e delle autorizzazioni amministrative, cui non ha mai fatto seguito un contratto definitivo.
Non v’è stata dunque alcuna omissione.
Per il resto, in tema di ermeneutica contrattuale, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo nell’ipotesi di violazione dei canoni legali d’interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c. e segg.. Ne consegue che il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai richiamati canoni legali (Cass. 27136/2015; Cass. 873/2019).
3.1.- Il secondo motivo è parimenti infondato.
Esso è basato sull’argomento secondo cui il documento non è stato tardivamente prodotto, a differenza di quanto ritenuto dalla corte.
Tuttavia, l’asserzione è priva di fondamento. La decisione impugnata asserisce non solo la tardività della produzione, in quanto successiva allo scadere dei termini istruttori, bensì anche la mancata riproposizione in appello della richiesta di produzione di quell’atto.
Per contro, la tesi della ricorrente è che si trattava di termine concesso apposta, per replicare alla eccezione di controparte, ma si non allega alcunchè a dimostrazione del fatto che il giudice di merito ha concesso il tale termine e lo ha fatto, non al fine di consentire di replicare alla eccezione, ma altresì a quello di produrre nuovi documenti; cosi che il motivo, da questo punto di vista, si dimostra non autosufficiente.
Il ricorso va pertanto rigettato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite nella misura di 6200,00 Euro, oltre 200,00 di spese generali. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2020.
Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2020