LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –
Dott. CIGNA Mario – rel. Consigliere –
Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –
Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 4303/2018 proposto da:
C.M., domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato LUCA D’AMBROGIO;
– ricorrente –
contro
F.M., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati EVA PELLEGRIN, ENZO BONOMI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4780/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 16/11/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 05/02/2020 dal Consigliere Dott. MARIO CIGNA.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza 4780/2017 del 16-11-2017 la Corte d’Appello di Milano, in accoglimento del gravame presentato da F.M. avverso la sentenza del Tribunale di Monza del 3-9-2015, ha rigettato la domanda con cui C.M. aveva chiesto al F. il risarcimento dei danni subiti a causa di interventi odontoiatrici ai quali la stessa era stata sottoposta.
In particolare la Corte d’Appello, per quanto ancora rileva, ha in primo luogo, escluso dal suo ambito d’indagine presunte violazioni del consenso informato, non dedotte con la proposta domanda risarcitoria.
La Corte, inoltre, sulla base della documentazione sanitaria agli atti e delle osservazioni del CTU, ha ritenuto non sussistere, in capo al F., profili di colpa professionale; al riguardo ha infatti osservato: 1) che, prima dei detti interventi, la situazione dentale della C., che presentava una dentatura molto rada, con numerose mancanze di elementi dentali e sei devitalizzazioni (di cui cinque incomplete), era già gravemente compromessa; 2) che le devitalizzazioni poi poste in essere dal F. erano necessarie ed erano state correttamente eseguite; 3) che altrettanto necessaria era la protesizzazione; 4) che il completamento dell’intervento avrebbe dovuto poi comportare la costruzione di protesi definitive in metallo ceramica, espressamente invece rifiutate dalla C.; 5) che le protesi provvisorie, avendo margini molto meno precisi rispetto a quelle definitive, consentivano più facilmente ai batteri di entrare sotto alle corone, con conseguente maggiore probabilità di infiammazione gengivale.
La Corte, infine, ha escluso ogni “anomalia” concernente l’elaborato peritale; al riguardo, in particolare, con riferimento innanzitutto all’ammissione della CTU in sede di udienza ex art. 183 c.p.c., ha evidenziato che era stata la stessa C., nella detta udienza, a chiedere l’ammissione della CTU; con riferimento, poi, alla dedotta “incomprensibile disparità di trattamento” (per avere il CTU, da una parte sollecitato la C. a produrre documenti riguardanti il posizionamento di numerose clips metalliche visibili nelle lastre e relative a interventi eseguiti in Svizzera, e, dall’altra, negato un pari trattamento quando la C. lo aveva sollecitato a fare lo stesso rispetto all’altra parte) ha evidenziato che legittimamente il CTU aveva esercitato la sua facoltà di attingere “aliunde” notizie e dati non rinvenibili agli atti e necessari per il suo accertamento (nella specie, infatti, il CTU era tenuto ad accertare la natura e la consistenza delle clips, la cui presenza era stata riscontrata dalle lastre agli atti).
Avverso detta sentenza C.M. propone ricorso per Cassazione, affidato a sette motivi ed illustrato anche da successiva memoria F.M. resiste con controricorso
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c., si duole che la Corte territoriale non si sia per nulla pronunciata su alcune eccezioni di rito e di merito sollevate dalla C. rispetto all’appello del F.; al riguardo rileva che in comparsa di costituzione e risposta in secondo grado aveva eccepito che l’appellante F. non aveva per nulla censurato la sentenza del Tribunale nei punti in cui la stessa aveva fatto propri i principi di Cass. S.U. 577/2008 in ordine all’onere della prova in materia di inadempimento ed aveva comunque ritenuto utilizzabile la CTU nonostante il consulente non si fosse uniformato ai detti principi; su tali eccezioni la Corte d’Appello non si era per nulla pronunziata.
Il motivo è infondato.
Contrariamente a quanto sostenuto in ricorso va, invero, rilevato che la Corte territoriale, a prescindere dal soggetto onerato della prova, ha escluso, sulla base della documentazione sanitaria in atti e soprattutto della CTU, ogni profilo di colpa professionale in capo al F., così ritenendo che quest’ultimo abbia, provato il suo esatto adempimento, e quindi implicitamente esaminando e decidendo sulle dette eccezioni.
Con il secondo e terzo motivo, da esaminare congiuntamente in quanto tra loro connessi, la ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 5 – omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e comunque motivazione in contrasto con la CTU e logicamente insostenibile, si duole che la Corte territoriale abbia reinterpretato il contenuto della CTU, non considerando che il consulente aveva escluso la responsabilità del F. per l’assenza di documentazione sanitaria in atti ed operando valutazioni tecniche in ambito medico discostanti da quelle del CTU; proprio sulla base di siffatta carenza della documentazione, la sentenza di primo grado, in applicazione dei principi sull’onere della prova (ritenendo onere del F. provare il suo esatto adempimento), aveva affermato la responsabilità del F..
Le censure sono inammissibili.
In primo luogo, in quanto non in linea con la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, applicabile ratione temporis, che ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, (fatto da intendersi come un “preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni”), la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); conf. Cass. 8053/2014; Cass. 21152/2014; nel caso di specie la ricorrente non ha indicato alcun “fatto storico” (nel senso su precisato), essendosi limitata a criticare la valutazione, operata dalla Corte territoriale, sulla CTU, (contestazione, di per sè, non ammissibile in sede di legittimità).
Nè la motivazione dell’impugnata sentenza può ritenersi mancante.
Costituisce consolidato principio di questa Corte che la mancanza di 1 motivazione, quale causa di nullità per carenza di un requisito indispensabile della sentenza, si configura “nei casi di radicale carenza di essa, ovvero del suo estrinsecarsi in argomentazioni non idonee a rivelare la “ratio decidendi” (cosiddetta motivazione apparente), o fra di loro logicamente inconciliabili, o comunque perplesse od obiettivamente incomprensibili (Cass. 20112/2009; Cass. Sez. unite 8053/2014); nella specie la Corte di appello, per come evidente dalla su riportata sintesi della stessa, ha espresso le ragioni della adottata decisione con argomentazioni logicamente conciliabili, non perplesse ed obiettivamente comprensibili, valutando, attraverso la documentazione sanitaria in atti, tutta la storia clinica della C., così pervenendo alla conclusione dell’assenza di profili di colpa professionale nella condotta del F..
Con il quarto motivo la ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – nullità della sentenza e del procedimento per violazione delle norme sull’onere della prova e sull’onere di allegazione, si duole che la Corte territoriale abbia escluso la responsabilità del F. in ragione del mantenimento sulla C. degli impianti provvisori, ritenendo tardive (e quindi non considerando) le difese della C. in ordine alla mancata prova, da parte del F., dell’adempimento dei suoi doveri d’informazione in ordine alla sostituzione delle protesi provvisorie con quelle definitive; l’onere della prova di avere dato le predette informazioni, ed il relativo onere di allegazione, erano in capo al F., che, in base alle ordinarie norme di ripartizione, doveva provare di essere stato adempiente.
Il motivo è infondato.
Correttamente, invero, la Corte territoriale ha escluso dal suo ambito d’indagine presunte violazioni del consenso informato, atteso che, come evidenziato nell’impugnata sentenza, la domanda risarcitoria proposta in citazione era ricollegata unicamente alle lesioni menomative connesse ad interventi ritenuti “inadeguati, dannosi ed altresì privi di finalizzazione protesica”, senza alcun riferimento al profilo del consenso informato; tanto è stato riconosciuto dalla stessa C., che nel ricorso per Cassazione (pag. 14) ha evidenziato di avere trattato la questione del consenso informato in comparsa conclusionale in primo grado e in comparsa di costituzione in appello.
Con il quinto e sesto motivo, da esaminare congiuntamente in quanto anch’essi tra loro connessi, la ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 5 – irriducibile contrasto tra affermazioni inconciliabili, si duole che la Corte territoriale abbia rigettato l’eccezione di nullità della CTU (riproposta dalla C. come motivo di gravame incidentale) per essere stata la detta consulenza ammessa prima della definizione del tema del contendere e della prova (quinto motivo) e per incomprensibile disparità di trattamento tra le parti del processo (sesto motivo).
I motivi sono inammissibili.
Come ripetutamente affermato da questa S.C., l’eccezione di nullità della consulenza tecnica d’ufficio, dedotta per vizi procedurali inerenti alle operazioni peritali, avendo carattere relativo, resta sanata se non fatta valere nella prima istanza o difesa successiva al deposito.
Nella specie la ricorrente non ha indicato se la detta eccezione sia stata sollevata nella prima istanza (o difesa) successiva al deposito (e comunque siffatta circostanza non risulta dall’impugnata sentenza), sicchè, come detto, la doglianza è inammissibile perchè formulata in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6.
Il quinto motivo è comunque infondato, non sussistendo alcun irriducibile contrasto.
Contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, la Corte territoriale non ha motivato la sua decisione (di provvedere anticipatamente all’ammissione della CTU all’udienza ex art. 187 c.p.c.) sulla base del rilievo che la parte aveva già chiesto un ATP, bensì, come già esposto nella sintesi della decisione impugnata, evidenziando che la richiesta di anticipo di ammissione della CTU era stata formulata dalla stessa C. nella detta udienza (v. verbale 24-22009), sicchè quest’ultima non poteva poi lamentarsi che l’ammissione era stata disposta quando non era stato ancora completato il tema del contendere e della prova In conclusione, pertanto, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, poichè il ricorso è stato presentato successivamente al 30-1-2013 ed è stato rigettato, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 3.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, il 5 febbraio 2020.
Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2020