LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –
Dott. CIGNA Mario – Consigliere –
Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 34101-2018 proposto da:
G.M.R., P.F., P.A., domiciliati ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato ERMANNO DI NUZZO;
– ricorrenti –
contro
MILANO ASSICURAZIONI SPA, D.C.F.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 542/2018 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 20/04/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 02/03/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI.
FATTI DI CAUSA
Ricorrono gli eredi di P.D., e precisamente P.A., P.F. (fratello e sorella) e G.M.R. (madre).
P.D. ha subito un incidente, mentre era alla guida di un motociclo: una vettura condotta da D.C.F. lo ha investito invadendo la sua corsia.
P.D., che nell’incidente ha riportato lesioni personali, ha agito contro il D.C., conducente del veicolo antagonista e la di lui assicurazione, la Milano Ass.ni spa.
Nelle more del giudizio di primo grado, ossia prima che intervenisse la sentenza il P. è deceduto per altro e diverso incidente, cosi che la causa è stata proseguita dai suoi eredi.
Il giudice di primo grado ha riconosciuto la esclusiva responsabilità del D.C. ed ha condannato lui e la compagnia di assicurazione al risarcimento di 125.025,91 Euro per danni alla persona e spese mediche.
La corte di appello, adita dalla Milano Ass.ni, ha confermato l’esclusiva responsabilità del D.C., ma ha ridotto l’ammontare del risarcimento a 23’656,15 Euro.
Ora gli eredi di P.D. ricorrono con due motivi, ma non v’è costituzione di alcuno degli intimati.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- La ratio della decisione impugnata, per quanto ci riguarda qui, è nell’applicazione di un criterio ormai consolidato di risarcimento del danno, secondo cui se il danneggiato muore nelle more del processo per cause diverse dal fatto lesivo oggetto di giudizio (come nella fattispecie) il risarcimento del danno non patrimoniale non va commisurato sulla probabilità di vita che gli rimaneva, statisticamente valutata, ma va commisurato alla vita effettivamente vissuta.
2.- I ricorrenti propongono due motivi di ricorso che non contestano in astratto questo principio, bensì la sua concretizzazione, ossia il ricorso ai criteri di calcolo conseguenti.
Con il primo motivo infatti denunciano erronea applicazione del suddetto principio sostenendo, che, fermo restando che è corretto commisurare il risarcimento non alla probabile durata futura della vita, ma alla durata effettiva, è stata erroneamente fatta applicazione del criterio della proporzione, senza tener conto della specificità del caso concreto.
Con il secondo motivo si denuncia erroneo ricorso alle tabelle milanesi (tra l’altro, secondo i ricorrenti a quelle vecchie al momento della decisione, già sostituite da altre più aggiornate), anzichè il più equo criterio romano di calcolo del danno in caso di premorienza.
3.- I motivi possono trattarsi congiuntamente e sono infondati.
Va intanto precisato che non è in discussione qui la regola secondo cui la liquidazione del danno biologico patito da persona deceduta per cause indipendenti dal fatto lesivo oggetto del giudizio va correlata al tempo, noto, trascorso dal sinistro alla morte, in cui il soggetto ha effettivamente sopportato le conseguenze non patrimoniali della lesione alla sua integrità psicofisica, e non invece alla durata della vita futura, rapportata al momento del sinistro e valutata secondo criteri di probabilità statistica (da ultimo Cass. 4551/ 2019).
Si discute, invece, di come in concreto debba quantificarsi tale danno, ossia di quale criterio di liquidazione debba seguirsi.
Va altresì premesso che i criteri di stima del danno non patrimoniale (di per sè difficilmente stimabile) al di fuori dei casi in cui esistono parametri legislativi, non sono criteri vincolanti, nel senso che il giudice di merito ha discrezionalità nel seguire l’uno o l’altro criterio di liquidazione, senza che possa contestarsi alla stima prescelta di non essere soddisfacente pienamente da un punto di vista risarcitorio, dal momento che il risarcimento del danno non patrimoniale (biologico o morale che sia) non ha funzione risarcitoria, non può averla in ragione della difficoltà di stima di tale danno, e della inesistenza di valori di mercato dei relativi beni (salute, serenità morale ecc.).
Ciò detto è evidente che nell’ipotesi che ci occupa la corte, con criterio di fatto, non censurabile in Cassazione, ha ritenuto di stimare il danno biologico patito durante il periodo vissuto (circa 4 anni) moltiplicando l’invalidità permanente, si, per la speranza di vita (60 anni ancora), ma poi dividendo il risultato ottenuto per gli anni effettivamente vissuti (4).
La scelta del criterio è stata motivata dalla corte, ed è compatibile con la finalità di risarcire il danno alla persona non per la durata di probabile vita futura, ma per la durata di vita effettiva.
Non può in sostanza censurarsi il ricorso al criterio di liquidazione di un danno, di per sè non stimale oggettivamente, se non attraverso il difetto di motivazione, o la violazione di criteri legali di stima quando vi siano.
Del resto, la censura del ricorrente mira ad una maggiore personalizzazione del risarcimento, ma senza indicare quali siano le condizioni e le circostanze che dovrebbero indurre ad una tale personalizzazione nel senso auspicato dal ricorrente.
Il ricorso va pertanto rigettato.
P.Q.M.
La corte rigetta il ricorso. Nulla spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, il 2 marzo 2020.
Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2020