LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITTI Stefano – Presidente –
Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –
Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 16630-2018 proposto da:
M.A., + ALTRI OMESSI, tutti rappresentati e difesi dagli Avvocati SALVATORE CORONAS e UMBERTO CORONAS, ed elettivamente domiciliate presso i medesimi, in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 4;
– ricorrenti –
contro
MINISTERO dell’ECONOMIA e delle FINANZE, in persona del Ministro pro tempore;
– intimato –
avverso il decreto n. 10482/2017 della CORTE d’APPELLO di ROMA, depositato il 7/12/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/09/2019 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.
FATTO E DIRITTO
Con ricorso depositato in data 27.3.2017, i ricorrenti indicati in epigrafe, tutti avieri capo dell’Aeronautica Militare, adivano la Corte d’Appello di Roma per ottenere l’equa riparazione in conseguenza dell’eccessiva durata di un processo amministrativo, promosso con ricorso depositato il 13.5.1999 al Tar Lazio Roma (volto a ottenere l’annullamento del D.M. Difesa 29 dicembre 1998, con cui era stato indetto il concorso a 300 posti per l’ammissione al 3 corso di aggiornamento e formazione riservato ai volontari dell’A.M. in servizio permanente), definito in data 4.1.2016, con sentenza passata in giudicato il 4.7.2016.
Con decreto n. 1965/2017, depositato in data 28.2.2017, la Corte d’Appello di Roma, stabilito il periodo indennizzabile in anni 14, fissato il parametro risarcitorio in Euro 400,00 per ogni anno di ritardo, fatta applicazione, cumulativamente e nella misura massima, delle riduzioni di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 bis, commi 1-bis e 1-ter nel testo applicabile ratione temporis, ingiungeva al MINISTERO dell’ECONOMIA e delle FINANZE di pagare a ciascun ricorrente la somma di Euro 2.240,00 (Euro 160,00 x 14), oltre alle spese di lite.
Avverso detto decreto gli odierni ricorrenti proponevano ricorso in opposizione chiedendone la revoca con la rideterminazione, in favore di ogni ricorrente, dell’indennizzo in Euro 7.000,00 e in via subordinata in Euro 5.600,00. Gli opponenti deducevano che la motivazione del decreto opposto non poteva dirsi integrata tramite il semplice e pedissequo richiamo degli elementi stabiliti dal legislatore per la quantificazione dell’equa riparazione; deducevano altresì che se gli elementi posti a base della decisione fossero stati oggetto di adeguata valutazione, essi avrebbero dovuto portare ad escludere la possibilità di fissare il parametro indennitario annuo nella misura minima di Euro 400,00, in ragione della semplicità del caso, dell’interesse a ottenere la decisione ripetutamente manifestato, dell’oggettiva rilevanza della posta in gioco e della modesta condizione personale dei ricorrenti. Gli opponenti censuravano, infatti, il decreto per avere applicato le riduzioni previste dalla L. n. 89 del 2001, art. 2-bis, commi 1-bis e 1-ter: il comma 1-bis in quanto non comporta la pluralità delle parti adempimenti istruttori o accertamenti tali da determinare uno slittamento dei tempi normalmente occorrenti (si trattava di annullamento di atto con efficacia generale); le decurtazioni di cui al comma 1-ter in assenza dei presupposti e in difetto di motivazione, in quanto nel procedimento cui la domanda di equa riparazione si riferiva era stata formulata una sola richiesta e non una pluralità di richieste. Peraltro, l’esito di integrale rigetto, formando già oggetto della valutazione riduttiva di cui all’art. 2-bis, comma 2, lett. a) non poteva essere di nuovo posto a base di un’altra riduzione per la stessa ragione. Infine, gli opponenti lamentavano la mancata applicazione della maggiorazione di cui all’art. 2-bis, comma 1, al secondo e ultimo periodo senza enunciare i motivi di una decisione così pregiudizievole.
Con decreto n. 10482/2017, depositato in data 7.12.2017, la Corte d’Appello di Roma rigettava l’opposizione compensando le spese di lite.
Avverso detto decreto propongono ricorso per cassazione gli istanti sulla base di quattro motivi; l’intimato Ministero dell’Economia e delle Finanze non ha svolto difese.
1.1. – Con il primo motivo, i ricorrenti lamentano la “Violazione/falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2-bis, commi 1 e 2 come attualmente vigente, dell’art. 6, par. 1 CEDU, dei principi enunciati dalla Corte EDU e dalla Corte di Cassazione in tema di danno da violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, nonchè dell’art. 111 Cost., comma 2, art. 117 Cost., comma 1 e 3 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”, là dove la Corte territoriale ha ritenuto congruo il parametro risarcitorio annuo di Euro 400,00.
1.2. – Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono l'”Omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”, in quanto la Corte di merito ha respinto i motivi di doglianza, ritenendo che l’esito negativo del giudizio costituisse forte elemento valutativo della misura dell’indennizzo, così come l’impatto dell’eccessiva durata del giudizio sulla persona dei ricorrenti, in rapporto alla loro qualità soggettiva.
1.3. – Con il terzo motivo, i ricorrenti deducono la “Violazione/falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2-bis, commi 1 e 1-bis come attualmente vigente, dell’art. 6, par. 1 CEDU, dei principi enunciati dalla Corte EDU e dalla Corte di Cassazione in tema di danno da violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, nonchè dell’art. 111 Cost., comma 2, art. 117 Cost., comma 1 e 3 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”, poichè la Corte d’appello ha confermato anche l’applicazione, e nella misura massima, della riduzione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2-bis, comma 1-bis (riduzione fino al 40% se le parti del processo presupposto sono più di 50), ritenendo che nelle cause di natura collettiva vi fosse un affievolimento della sofferenza individuale.
1.4. – Con il quarto motivo, i ricorrenti lamentano la “Violazione/falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2-bis, commi 1, 1-ter e 2 come attualmente vigente, dell’art. 6, par. 1 CEDU, dei principi enunciati dalla Corte EDU e dalla Corte di Cassazione in tema di danno da violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, nonchè dell’art. 111 Cost., comma 2, art. 117 Cost., comma 1 e 3 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”, là dove la Corte di merito ha confermato anche l’applicazione dell’ulteriore riduzione di cui all’art. 2-bis, comma 1-ter.
2. – In ragione della loro connessione logico-giuridica, i motivi vanno congiutamente esaminati e decisi.
2.1. – Detti motivi non sono fondati.
2.2. – I ricorrenti, nella sostanza, contestano la quantificazione (in Euro 2.240,00) dell’indennizzo spettante a ciascuno di essi a titolo di equa riparazione (per irragionevole durata del processo presupposto innanzi al Tar Lazio, iniziato con ricorso depositato il 13.5.1999 e definito con sentenza passata in giudicato il 4.7.2016) operata con decreto monocratico n. 1965 del 28.2.2017, confermato dal decreto collegiale in questa sede impugnato.
Essi si dolgono dell’applicazione (ratione temporis) fatta dalla Corte d’appello della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2-bis, comma 1, comma 1-bis e comma 1-ter, entrambi come risultanti dalle sostituzioni o dagli inserimenti operati dalla L. 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, comma 777, lett. e) e f).
Il citato art. 2-bis, comma 1 sancisce che “Il giudice liquida a titolo di equa riparazione, di regola, una somma di denaro non inferiore a Euro 400 e non superiore a Euro 800 per ciascun anno, o frazione di anno superiore a sei mesi, che eccede il termine ragionevole di durata del processo. La somma liquidata può essere incrementata fino al 20 per cento per gli anni successivi al terzo e fino al 40 per cento per gli anni successivi al settimo”; il comma 1-bis dispone che “La somma può essere diminuita fino al 20 per cento quando le parti del processo presupposto sono più di dieci e fino al 40 per cento quando le parti del processo sono più di cinquanta”; il comma 1-ter prevede che “La somma può essere diminuita fino a un terzo in caso di integrale rigetto delle richieste della parte ricorrente nel procedimento cui la domanda di equa riparazione si riferisce”.
A sua volta, la L. 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, comma 777, non contempla alcun regime transitorio per il sostituito art. 2-bis, comma 1, e per l’introdotto L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2-bis, commi 1-bis e 1-ter.
2.3. – Orbene, questa Corte (Cass. n. 25837 del 2019), ha sottolineato che la L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 bis inserito dal D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012, che aveva inizialmente limitato la misura dell’indennizzo in una somma di denaro, non inferiore a 500 Euro e non superiore a 1.500 Euro per anno di ritardo, era stato viceversa accompagnato da un espresso regime transitorio, il quale rendeva operante la nuova disciplina per i soli ricorsi depositati a decorrere dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione. L’interpretazione data da questa Corte chiarì subito, allora, che le disposizioni in tema di misura dell’indennizzo di equa riparazione per violazione del termine ragionevole di durata del processo, introdotte dal D.L. n. 83 del 2012, non avevano natura di interpretazione autentica nè efficacia retroattiva, pur escludendone l’illegittimità costituzionale, per contrasto con l’art. 117 Cost., comma 1, in relazione all’art. 6, par. 1 CEDU, atteso che la derogabilità dei criteri ordinari di liquidazione e la ragionevolezza del criterio di 500 Euro per anno di ritardo recepivano comunque, nella sostanza, le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza della Corte E.D.U. e della stessa Corte di cassazione (Cass. Sez. 2, 22/09/2014, n. 19897; Cass. Sez. 2, 27/10/2014, n. 22772).
Invero, l’indennizzo calcolato in Euro 500,00 per anno di ritardo, come fatto nell’originaria formulazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 bis non poteva essere di per sè considerato irragionevole, e quindi lesivo dell’adeguato ristoro per violazione del termine di durata ragionevole del processo, essendosi più volte affermato in passato, nei precedenti di questa Corte, che la quantificazione del danno non patrimoniale dovesse essere, di regola, non inferiore ad e 750,00 per i primi tre anni di ritardo eccedente il termine di ragionevole durata, e salire per il periodo successivo ad Euro 1.000,00, e che, tuttavia, la valutazione dell’entità della pretesa patrimoniale azionata (c.d. posta in gioco) potesse giustificare l’eventuale scostamento, in senso sia migliorativo che peggiorativo, dai parametri indennitari fissati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, non legittimandosi unicamente il riconoscimento di un importo irragionevolmente inferiore a quello risultante dall’applicazione dei predetti criteri, dal momento che solo la liquidazione di un indennizzo poco più che simbolico o comunque manifestamente inadeguato contrasterebbe con l’esigenza, posta a fondamento della L. n. 89 del 2001, di assicurare un serio ristoro al pregiudizio subito dalla parte per effetto della violazione dell’art. 6, par. 1, della Convenzione (Cass. Sez. 2, 24/07/2012, n. 12937; Cass. Sez. 1, 24/07/2009, n. 17404; Cass. Sez. 2, 27/10/2014, n. 22772).
Il giudice, così, nel determinare la quantificazione del danno non patrimoniale subito per ogni anno di ritardo, può scendere anche al di sotto del livello di “soglia minima” L. n. 89 del 2001, ex art. 2-bis, (la quale è tendenziale, vale cioè “di regola”), là dove, in considerazione del carattere bagatellare o irrisorio della pretesa patrimoniale azionata nel processo presupposto, parametrata anche sulla condizione sociale e personale del richiedente, l’accoglimento della pretesa azionata renderebbe il risarcimento del danno non patrimoniale del tutto sproporzionato rispetto alla reale entità del pregiudizio sofferto (Cass. Sez. 2, 24/07/2012, n. 12937; Cass. Sez. 1, 12/07/2011, n. 15268).
La L. n. 89 del 2001, art. 2-bis, nello stabilire la misura ed i criteri di determinazione dell’indennizzo a titolo di equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo, rimette, quindi, al prudente apprezzamento del giudice di merito – sindacabile in sede di legittimità nei soli limiti ammessi dall’art. 360 c.p.c., n. 5 – la scelta del moltiplicatore annuo, compreso tra il minimo ed il massimo ivi indicati (dapprima non inferiore a 500 Euro e non superiore a 1.500 Euro, per ciascun anno, poi non inferiore a 400 Euro e non superiore a 800 Euro per ciascun anno), da applicare al ritardo nella definizione del processo presupposto, orientando il quantum della liquidazione equitativa sulla base dei parametri di valutazione, tra quelli elencati nel comma 2 stessa disposizione, che appaiano maggiormente significativi nel caso specifico (Cass. Sez. 6 – 2, 16/07/2015, n. 14974; Cass. Sez. 6 – 2, 01/02/2019, n. 3157).
2.4. – Ciò premesso, questa Corte (Cass. n. 25837 del 2019, cit.) ha anche osservato come, in particolare, la riduzione dell’indennizzo introdotta dal novellato L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2- bis, comma 1-ter, per l’ipotesi di integrale rigetto delle richieste del ricorrente nel procedimento presupposto, sovverta la risalente interpretazione giurisprudenziale, secondo la quale il diritto all’equa riparazione di cui alla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2- bis, comma 1-ter, della spetterebbe indipendentemente dall’esito del processo presupposto, ad eccezione del caso in cui il soccombente, consapevole dell’inconsistenza delle proprie istanze, abbia proposto una lite temeraria, difettando soltanto in questi casi la stessa condizione soggettiva di incertezza (cfr., tra le tante, Cass. Sez. 1, 12/05/2011, n. 10500; Cass. Sez. 6 – 2, 11/03/2015, n. 4890; Cass. Sez. 1, 20/08/2010, n. 18780).
Trattandosi di nuova disciplina di diritto sostanziale, che conforma il potere discrezionale del giudice di liquidare il danno in via equitativa ai sensi dell’art. 2056 c.c., in forma di jus superveniens costituente parametro normativo dei valori di aestimatio dell’indennizzo, e non avendo la L. n. 208 del 2015 dettato al riguardo un regime transitorio derogante alla regola generale dell’irretroattività della legge, posta dall’art. 11 preleggi, comma 1, legittimamente la Corte d’appello di Roma ha contestualmente applicato la L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2-bis, comma 1 (indennizzo annuo di Euro 400,00), comma 1-bis (diminuazione fino al 40 per cento quando le parti del processo sono più di cinquanta, come nella specie) e comma 1-ter (diminuzione fino ad un terzo in caso di integrale rigetto delle richieste della parte ricorrente nel processo presupposto), come introdotti dalla L. 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, comma 777, lett. e) e f), nella liquidazione dell’indennizzo spettante ai ricorrenti per la durata non ragionevole della causa presupposta.
Le norme in esame sono infatti entrate in vigore il 10 gennaio 2016 (L. 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, comma 999) e ben possono essere applicate a domande di equa riparazione (quale quella in esame) proposte dopo tale data, ancorchè relative ad indennizzi di irragionevole durata preesistente, atteso che, ai fini della disciplina sulla misura dell’indennizzo disposta dalla nuova legge, tali norme devono essere prese in considerazione in se stesse, restando escluso che, attraverso tale applicazione, sia modificata la disciplina giuridica del fatto generatore del danno (arg. da Cass. Sez. U, 12/12/1967, n. 2926).
3. – La Corte di merito (con congrua motivazione che, in quanto tale, si sottrae al vaglio di legittimità, e spendendo il potere attribuitogli dalle norme in oggetto), ha dunque del tutto coerentemente rilevato che, pure essendo vero che la causa presupposta non presentava particolari aspetti di complessità e che le parti avevano correttamente coltivato il giudizio, tuttavia l’esito negativo del giudizio stesso costituiva forte elemento valutativo della misura dell’indennizzo; ed ha ritenuto che, sulla somma così determinata (in Euro 400), andasse applicata la riduzione di cui al comma 1-bis, trattandosi di riduzione affidata alla discrezionalità del giudice in presenza dei suddetti presupposti, comportante un affievolimento della sofferenza individuale nella cause di natura collettiva; nonchè la decurtazione di cui al comma 1-ter in ragione del rigetto delle richieste della parte ricorrente nel procedimento presupposto.
4. – Il ricorso va, pertanto, rigettato. Nulla per le spese, giacchè l’intimato Ministero non ha svolto alcuna difesa. Va emessa la dichiarazione D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, ex art. 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti principali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte suprema di cassazione, il 24 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2020