Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.9814 del 26/05/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34143/2018 proposto da:

S.D., elettivamente domiciliato in Roma Via Della Giuliana, 32 presso lo studio dell’avvocato Gregorace Antonio che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale;

– resistente –

avverso la sentenza n. 294/2018 della CORTE D’APPELLO di POTENZA, depositata il 14/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/11/2019 da RUSSO RITA.

RILEVATO

CHE:

1.- S.D. ha chiesto la protezione internazionale dichiarando di essere proveniente dalla *****.

La Commissione territoriale nega la protezione internazionale e il Tribunale di Potenza con ordinanza ex art. 702 bis c.p.c. ha rigettato il ricorso avverso la suddetta decisione. Il richiedente asilo propone appello e la Corte territoriale, dopo avere ricostruito la vicenda del richiedente asilo, con sentenza del 14 maggio 2018 rigetta l’appello.

2.- Avverso la predetta sentenza propone ricorso per cassazione S. affidandosi a cinque motivi. L’Avvocatura dello Stato, non costituita nei termini, ha depositato una nota al fine della partecipazione alla eventuale pubblica udienza. E’ stata fissata adunanza in camera di consiglio ai sensi degli art. 377 e segg. c.p.c..

RITENUTO

CHE:

3.- Con il primo motivo del ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione alla Direttiva 2004/83/Ce come recepita dal D.Lgs. n. 251 del 2007. La parte lamenta che la Corte non ha assolto al dovere di cooperazione istruttoria in virtù del quale i giudici devono “acquisire d’ufficio i mezzi di prova che ritenevano necessari al fine del decidere”.

Con il secondo motivo del ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5. La parte lamenta che la valutazione di credibilità non è stata effettuata secondo le regole procedimentali poste dal D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5.

Con il terzo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14. Secondo il ricorrente la Corte avrebbe dovuto riconoscere la protezione sussidiaria in ragione della grave condizione di pericolo per la sicurezza individuale sussistente all’interno della regione di provenienza.

Con il quarto motivo si lamenta l’omesso esame di un punto decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5: la Corte avrebbe dovuto esaminare le allegazioni e le dichiarazioni del ricorrente alla luce di informazioni sul paese di origine aggiornate e pertinenti.

Con il quinto motivo del ricorso si lamenta l’errata applicazione del D.Lgs., art. 5, comma 6, per il mancato riconoscimento del diritto ad un permesso di soggiorno per motivi umanitari non avendo i giudici tenuto in considerazione il grado di integrazione del richiedente.

I motivi possono essere esaminati congiuntamente e sono inammissibili, trattandosi di censure stereotipate, senza specifico riferimento alle motivazioni della sentenza impugnata, anzi in parte anche inconferenti rispetto al contenuto della sentenza stessa; in altra parte tendono a sollecitare inammissibili revisioni del giudizio di fatto.

Il giudice d’appello ha ricostruito la vicenda del richiedente asilo verificando le effettive ~ dichiarazioni rese alla Commissione, per esigenze di chiarezza. Nell’atto di appello la parte aveva infatti lamentato che il primo giudice avesse fatto riferimenti erronei ed inconferenti alle condizioni del Camerun (mentre il ricorrente proviene dalla *****) e ad una condizione di omosessualità che invero non era stata dedotta. Ma, come osserva la Corte di merito, anche nell’atto di appello la vicenda di S.D. è stata erroneamente ricostruita, perchè il difensore deduce che il richiedente è cristiano e che teme persecuzioni religiose, in totale divergenza con quanto invece raccontato dalla parte alla Commissione territoriale. Il giudice di appello avverte quindi l’esigenza di rendere conto delle dichiarazioni effettivamente rese dal S. innanzi alla Commissione e ne ricostruisce la vicenda. Si legge nella sentenza impugnata che il richiedente ha affermato di essere di etnia balanta, di lingua mandinga, di religione musulmana, di essere stato arrestato per guida senza patente e danneggiamento di un palo della luce, e scarcerato dietro cauzione, versata dal suo datore di lavoro; che tuttavia poichè la polizia continuava a chiedergli di pagare i danni è fuggito perchè temeva di essere nuovamente arrestato.

Ciò permesso il giudice d’appello ha ricapitolato il contenuto delle informazioni sul paese di origine (COI), pertinenti ed aggiornate, assunte d’ufficio, citandone la fonte ed ha rilevato che sulla base delle predette informazioni, e considerando la storia (effettivamente) narrata del richiedente, non sussiste il concreto rischio di una persecuzione per ragioni religiose (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8).

La Corte ha altresì escluso il rischio di danno grave nei termini descritti dall’art. 14, lett. b) e c). In particolare il giudice d’appello ha escluso il rischio ex art. 14, lett. b) poichè il soggetto è stato scarcerato dietro cauzione, pagata dal datore di lavoro – da notare che questo è indice della vigenza ed effettiva applicazione di regole processuali proprie dei paesi democratici – e la questione del risarcimento del danno è meramente civilistica. La Corte di merito ha poi escluso il rischio di danno grave da violenza indiscriminata, facendo riferimento al concetto di violenza indiscriminata e di conflitto nei termini rigorosi precisati dalla CGUE nelle sentenze Elgafaji (17 febbraio 200) e Diakitè (30 gennaio 2014) e valutando alla luce di questo criterio la situazione in *****, quale si desume dalla COI.

A fronte di queste motivazioni e dell’attività istruttoria officiosamente svolta nonostante le standardizzate ragioni d’appello, non pertinenti alla vicenda personale, la censura di mancato assolvimento dell’onere di cooperazione è generica ed inconferente, così come le critiche mosse sulla valutazione della credibilità, che non è in discussione; altrettanto stereotipata e priva di riferimenti concreti è la enunciazione di una grave condizione di pericolo per la sicurezza individuale. Infine, inconferente e stereotipato è il motivo di ricorso in cui si lamenta l’omesso esame di un punto decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, secondo il quale la Corte avrebbe dovuto esaminare le allegazioni e le dichiarazioni del ricorrente alla luce di informazioni sul paese di origine aggiornate e pertinenti, che in effetti il giudice d’appello ha assunto e valutato.

Ugualmente inammissibile, infine, è l’ultimo motivo di ricorso con il quale si lamenta che la Corte non ha tenuto in considerazione il grado di integrazione del richiedente, laddove il giudice d’appello ha precisato che ai fini del permesso di soggiorno per motivi umanitari deve valutarsi la concreta situazione rappresentata e con riferimento al pese di provenienza. La parte non deduce infatti alcuna condizione di vulnerabilità, in ipotesi non considerata dal giudice d’appello, e i documenti prodotti dalla parte e attestanti la sua integrazione sociale non sono in questa sede valutabili al fine di operare la revisione, in punto di fatto, resa dal giudice del merito.

Il ricorso è da dichiarare inammissibile.

Nulla sulle spese in difetto di costituzione del Ministero.

Il richiedente non risulta ammesso al patrocinio a spese dello Stato e pertanto è tenuto al versamento del contributo unificato, prevista dal combinato disposto di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 11 e 131 e, di conseguenza, pure dell’ulteriore importo di cui all’art. 13, comma 1-quater, del decreto citato (cfr. Cass. 7368/2017; Cass. n. 32319/2018), se dovuto.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Nulla sulle spese.

Ricorrono i presupposti per l’applicazione del doppio contributo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 4 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2020

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