LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITTI Stefano – Presidente –
Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –
Dott. LIBERATI Giovanni – Consigliere –
Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 29975/2018 proposto da:
U.S., rappresentato e difesa dall’avv. Paolo Sassi, elettivamente domiciliato presso la Cancelleria Civile della Suprema Corte di Cassazione;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno;
– intimato –
avverso il decreto del TRIBUNALE di CAMPOBASSO, depositato il 27/08/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 31/10/2019 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Campobasso, con decreto depositato il 27 agosto 2018, ha rigettato la domanda proposta da U.S., cittadino della *****, volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria.
E’ stato, in primo luogo, ritenuto che difettassero i presupposti per il riconoscimento in capo al ricorrente dello status di rifugiato, avendo il ricorrente lasciato la Nigeria per motivi puramente personali (la ricerca di un posto di lavoro).
Al richiedente è stata inoltre negata la protezione sussidiaria, essendo stata ritenuta l’insussistenza di una situazione di violenza generalizzata nella sua zona di provenienza.
Il ricorrente non è stato comunque ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari per carenza di una condizione di vulnerabilità.
Ha proposto ricorso per cassazione U.S. affidandolo a tre motivi.
Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione artt. 8, 9, 14 e art. 27, comma 1 bis del D.Lgs. e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 1, lett. e e) e g), artt. 3, 5, 7, 14, art. 16, comma 1, lett. b) e art. 19, nonchè l’omesso esame di fatto decisivo.
Lamenta il ricorrente che il Tribunale ha rigettato la propria domanda per il riconoscimento dello status di rifugiato senza una vera motivazione, ha omesso una qualsivoglia analisi e valutazione dei motivi del ricorso, violando l’obbligo di cooperazione istruttoria.
Espone di aver diritto al riconoscimento dello status di rifugiato in quanto vittima di tratta, essendo stato trasferito in Libia con la promessa di un posto di lavoro, ma una volta giunto in Libia è stato sfruttato.
Peraltro, il ricorrente ha dedotto il rischio di essere perseguitato per motivi religiosi dal gruppo terroristico islamico *****, essendo cristiano.
Lamenta, inoltre, il ricorrente che, sussistendo in Nigeria una situazione di violenza indiscriminata e diffusa che coinvolge l’intero territorio, dal nord al sud del paese, con forte rischio per un civile di rimanere vittima di tali atti di violenza, il Tribunale di Campobasso ha erroneamente valutato i presupposti per la concessione della protezione sussidiaria, richiamando con una motivazione apparente il rapporto di Amnesty International 2017-2018.
2. Il motivo è inammissibile.
In ordine alla circostanza di essere stato vittima di tratta ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato, va osservato che si tratta di questione di cui non vi è traccia nella sentenza impugnata.
Sul punto, è principio consolidato di questa Corte che i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel thema decidendum del precedente grado del giudizio, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass., 17/01/2018, n. 907; Cass., 09/07/2013, n. 17041). Ne consegue che, ove nel ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di specificità del motivo, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, nonchè il luogo e modo di deduzione, onde consentire alla S.C. di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass., 13/06/2018, n. 15430).
Nel caso di specie, il ricorrente ha dedotto di aver rappresentato al giudice di primo grado la vicenda della tratta, ma senza neppure specificare in quale punto del proprio ricorso al giudice di merito, il quale, al contrario, nella sentenza impugnata, nel sintetizzare il racconto reso dal richiedente alla Commissione territoriale, aveva evidenziato una realtà ben diversa, ovvero che il ricorrente aveva riferito di essere andato in Libia con un amico per lavorare e di aver solo appreso, una volta giunto nel paese nordafricano, di dover rimborsare i denari spesi per il viaggio. Nessun riferimento era stato dunque fatto all’inganno della promessa di un posto di lavoro ed al successivo sfruttamento.
In ordine alla protezione sussidiaria, va preliminarmente osservato che questa Corte ha più volte statuito che, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, deve essere interpretata, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), nel senso che il grado di violenza indiscriminata deve avere raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Sez. 6-1, Ordinanza n. 13858 del 31/05/2018, Rv. 648790).
Nel caso di specie, il giudice di merito, valorizzando una fonte internazionale accreditata e recente come il rapporto di Amnesty International 2017-2018, ha evidenziato l’insussistenza di una situazione di violenza indiscriminata nella regione di provenienza del ricorrente (confermando così la valutazione della Commissione Territoriale secondo cui gli unici Stati caratterizzati da un grado di violenza indiscriminata – e dalla presenza del gruppo terroristico islamista di ***** – erano quelli nordorientali del Borno, Yobe e Adamawa), ed il relativo accertamento costituisce apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass. 12/12/2018 n. 32064). Ne consegue che le censure del ricorrente, sul punto, si configurano come di merito, e, come tali, inammissibili in sede di legittimità, essendo finalizzate esclusivamente a sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio già esaminato dal giudice di merito.
3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.
Lamenta il ricorrente che il giudice di merito, nel valutare la sua condizione di vulnerabilità per il riconoscimento della protezione umanitaria, non ha effettuato la valutazione comparativa tra la situazione del ricorrente esistente nel paese d’origine – caratterizzata dalla violazione dei diritti fondamentali – e quella del paese d’accoglienza.
4. Il motivo è inammissibile.
Va preliminarmente osservato che questa Corte ha già avuto modo di affermare che, anche ove sia dedotta dal richiedente una effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili nel paese d’origine, pur dovendosi partire, nella valutazione di vulnerabilità, dalla situazione oggettiva di tale paese, questa deve essere necessariamente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza. Infatti, ove si prescindesse dalla vicenda personale del richiedente, si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti, e ciò in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (in questi termini Cass. n. 4455 del 23/02/2018).
Nel caso di specie, oltre a non essere stato dedotto assolutamente nulla dal ricorrente in ordine alle condizioni personali di vita prima della sua partenza dal paese d’origine (se non con riferimento ai motivi di natura squisitamente economica del suo allontanamento), è stata dedotta la violazione dei diritti fondamentali in Nigeria in modo molto generico, per lo più con riferimento alla situazione di instabilità ed insicurezza presente in Nigeria.
In sostanza, il ricorrente lamenta l’omessa effettuazione di un giudizio comparativo tra la situazione del suo paese d’origine e quella di integrazione nel paese d’accoglienza, non considerando di non aver neppure fornito elementi rilevanti idonei a consentire tale raffronto.
5. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 74, comma 2 e art. 136, comma 2 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 28 bis, comma 2, lett. a).
Contesta la manifesta infondatezza del proprio ricorso, ritenuta dal giudice di merito, evidenziandone, viceversa, la piena fondatezza.
6. Il motivo è inammissibile.
Va osservato che questa Corte ha più volte affermato che la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, adottata con la sentenza che definisce il giudizio di appello, anzichè con separato decreto, come previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, non comporta mutamenti nel regime impugnatorio, che resta quello, ordinario e generale, dell’opposizione ex art. 170 della stesso D.P.R.. Si deve quindi escludere che la pronuncia sulla revoca, in quanto adottata con sentenza, sia, per ciò solo, impugnabile immediatamente con il ricorso per cassazione, rimedio previsto solo per l’ipotesi contemplata dall’art. 113 del D.P.R. citato (Cass. 29288/2017; conf. Cass. n. 30282018 e n. 32028/2018).
Ne consegue che il ricorrente avrebbe dovuto promuovere tempestivamente lo speciale procedimento di opposizione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 170 e non attendere la proposizione del ricorso per cassazione.
La declaratoria di inammissibilità del ricorso non comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di lite, non essendosi il Ministero intimato costituito in giudizio.
Si applica il doppio contributo, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, non essendo il ricorrente stato ammesso al patrocinio a carico dello Stato.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 31 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2020