LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITTI Stefano – Presidente –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 32668/2018 proposto da:
A.A., elettivamente domiciliato presso la Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione e rappresentato e difeso dall’avvocato Marco Fattori, in virtù di procura speciale allegata al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12 presso l’Avvocatura Generale dello Stato che lo rappresenta e difende ope legis;
– intimato –
avverso la sentenza n. 502/2018 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 13/09/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 04/11/2019 dal Cons. Dott. PARISE CLOTILDE.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 502/2018 depositata il 13-09-2018 la Corte d’Appello di Trieste ha respinto l’appello proposto da A.A., cittadino del Pakistan, avverso l’ordinanza del Tribunale di Trieste che ha rigettato la sua domanda avente ad oggetto in via gradata il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. La Corte territoriale ha ritenuto che fosse non credibile la vicenda personale narrata dal richiedente, il quale riferiva di essere fuggito per il rischio di essere ucciso dai terroristi, dopo che, avendo ricevuto in custodia un pacco contenente, a sua insaputa, delle armi da K.W., il quale aveva un’agenzia immobiliare accanto al suo negozio di parrucchiere, aveva fatto il nome di costui alla Polizia. Il richiedente riferiva, altresì, che persone ignote avevano attaccato la sua abitazione tentando di ucciderlo e che nell’occasione era morto suo fratello; il ricorrente aveva denunciato alla polizia l’omicidio del fratello, era fuggito prima in un altro villaggio e poi in Libia, dove era rimasto per un periodo di tempo, fino a quando il clima di violenza era divenuto intollerabile, arrivando in Italia nel maggio del 2015. La Corte d’appello, in conformità a quanto deciso dal Tribunale, ha ritenuto che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione, avuto anche riguardo alla situazione generale del Pakistan, descritta nella sentenza impugnata, con indicazione delle fonti di conoscenza.
2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che si è costituito tardivamente e al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti – mancata valutazione delle prove documentali fornite dal richiedente”. Deduce di aver dimesso, già in sede di audizione avanti alla Commissione territoriale, quale prova della veridicità del suo racconto, una denuncia alla polizia dell’attacco portato a casa sua dai terroristi e di tale fondamentale documento la Corte territoriale non aveva tenuto conto e neppure lo aveva menzionato nella sentenza impugnata.
2. Il motivo è inammissibile.
2.1. Il ricorrente non riporta, nel testo del ricorso, il preciso contenuto del documento, che neppure indica con numerazione, e si limita a dedurre che lo ha prodotto quando è stato sentito dalla Commissione territoriale e che si tratta di “denuncia alla polizia dell’attacco portato a casa sua dai terroristi” (pag. 8 ricorso), senza precisare alcuna data. Non è, pertanto, possibile stabilire “se il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di fondamento” (Cass. n. 16812/2018). Con riguardo ad ulteriore profilo di inammissibilità, occorre rilevare che in appello la censura di non credibilità era stata formulata con riferimento alla situazione sociopolitica del paese, (pag. n. 4 e 5 della sentenza impugnata e così anche pag. 6 ricorso), mentre nel presente giudizio si adduce che non è stato preso in considerazione un documento decisivo sulla credibilità della sua vicenda personale, senza, tuttavia, precisare come e quando ne sia stata indicata la decisiva rilevanza nel giudizio d’appello, non risultando, in base alla stessa esposizione dello svolgimento del processo del precedente grado di cui al ricorso, che ne abbia fatto menzione nei motivi di impugnazione dell’ordinanza del Tribunale.
3. Con il secondo motivo lamenta “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione di legge, errata applicazione della norma: combinato disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 – violazione del dovere di cooperazione istruttoria incombente sul giudice in ordine all’accertamento delle condizioni aggiornate del Paese di origine del richiedente asilo”. Rileva che la Corte territoriale aveva solo acquisito le informazioni della Commissione territoriale e lo stralcio del rapporto EASO sulla sicurezza in Pakistan dell’agosto 2017 e non aveva affatto vagliato la situazione della Libia, Paese di transito e di permanenza del richiedente, senza esercitare i poteri istruttori ufficiosi e consultare fonti con notizie aggiornate.
4. Con il terzo motivo lamenta “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione di legge, errata applicazione della norma: violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, in tema di valutazione dell’efficacia probatoria delle dichiarazioni del richiedente la protezione internazionale”. Censura la valutazione della Corte territoriale di non credibilità della sua vicenda personale, ribadendo che non era stata esaminata la sua denuncia alla polizia in relazione all’aggressione subita dai terroristi. Richiama la normativa di riferimento, la giurisprudenza di questa Corte e quella della Corte di Giustizia, assumendo che siano stati violati il principio di attenuazione dell’onere probatorio e i criteri legali applicabili all’esame delle domande in tema di protezione internazionale.
5. I motivi secondo e terzo, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono inammissibili.
5.1. Quanto al giudizio di credibilità, questa Corte ha chiarito che “il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità” (Cass. n. 3340/2019). Inoltre il giudice del merito, nel valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, secondo i parametri dettati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), deve attenersi anche a comuni canoni di ragionevolezza e a criteri generali di ordine presuntivo, non essendo di per sè solo sufficiente a fondare il giudizio di credibilità il fatto che la vicenda narrata sia circostanziata. L’art. 3 citato, infatti, obbliga il giudice a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna, ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda (da ultimo Cass. n. 21142 del 2019; Cass. n. 20580 del 2019). La suddetta verifica è sottratta al controllo di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito.
Anche la valutazione sulla situazione del Paese di origine, rilevante ai fini della concessione della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. C), si risolve in un accertamento di fatto, censurabile nei limiti di cui si è detto (Cass. n. 30105/2018).
5.2. Nel caso di specie, il ricorrente deduce genericamente la violazione di norme di legge, attraverso il richiamo alle disposizioni che assume disattese e tramite una ricostruzione della fattispecie concreta, quanto al giudizio di non credibilità ed alla valutazione della situazione del Paese di origine, difforme da quella accertata nel giudizio di merito.
La Corte d’Appello ha espresso, con motivazione idonea (Cass. SU n. 8053/2014), la valutazione di non credibilità, indicando le parti del racconto ritenute generiche ed implausibili (pag. n. 7 sentenza impugnata), facendo corretta applicazione dei criteri legali. Il dovere di cooperazione istruttoria non deve essere attivato, con riguardo alla coerenza esterna della vicenda personale, se le allegazioni sono generiche e inattendibili.
Circa la situazione generale del Pakistan e della zona del Punjab, la Corte territoriale ha fatto riferimento a notizie reperite dal report Easo dell’agosto 2017, e il ricorrente neppure indica in base a quali fonti più aggiornate risulti un mutamento della situazione descritta nella sentenza impugnata.
Per quanto concerne la situazione della Libia, non menzionata nella sentenza, il ricorrente non indica quando, come e dove, nel corso del giudizio di primo e secondo grado, abbia chiesto la valutazione della situazione del Paese di transito, ma si limita genericamente a richiamare quanto ha riferito in sede di audizione avanti alla Commissione (cfr. Cass. n. 27568/2017 sulla necessità che il ricorrente, qualora proponga una determinata questione giuridica – che implichi accertamenti di fatto – non solo alleghi l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, indichi in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione).
In ogni caso, sotto ulteriore e assorbente profilo, il ricorrente non allega di aver subito violenze in Libia nel periodo in cui vi si è trattenuto (neppure indica per quanto tempo vi si sia trattenuto), nè evidenzia quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese e il contenuto della domanda (Cass. n. 31676/2018; Cass. n. 29875/2018; Cass. n. 13096/2019).
6. Con il quarto motivo lamenta “Profili di manifesta illegittimità costituzionale del D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, art. 1 (abrogazione del permesso di soggiorno per motivi umanitari e disciplina di casi speciali di permessi di soggiorno temporanei per esigenze di carattere umanitario)”. Prospetta come manifestamente fondata la questione di illegittimità costituzionale della normativa sopravvenuta di cui al D.L. n. 113 del 2013, per violazione dell’art. 10 Cost., comma 2 e art. 117 Cost., comma 1, perchè l’ordinamento non prevede (o non prevede più) forme di protezione idonee ad assicurare il rispetto degli obblighi costituzionali e internazionali.
7. Anche il quarto motivo è inammissibile.
7.1. Per costante orientamento di questa Corte, la violazione delle norme costituzionali non può essere prospettata direttamente col motivo di ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il contrasto tra la decisione impugnata e i parametri costituzionali, realizzandosi sempre per il tramite dell’applicazione di una norma di legge, deve essere portato ad emersione mediante l’eccezione di illegittimità costituzionale della norma applicata (Cass. n. 3708/2014).
7.2. La questione di illegittimità costituzionale non può, in ogni caso, essere esaminata per difetto di rilevanza, atteso che il ricorrente non censura specificamente la statuizione della sentenza impugnata relativa al diniego della protezione umanitaria (pag. n. 9 della sentenza impugnata).
8. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, nulla dovendosi disporre sulle spese del presente giudizio, stante la tardiva costituzione del Ministero.
9. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto (Cass. n. 23535/2019).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 4 novembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2020