LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –
Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. ANDRONIO Alessandro Maria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
E.H., n. in ***** (*****) il *****, elettivamente domiciliato in Torino, Via Groscavallo 3, presso lo studio dell’avvocato Alessandro Praticò, che lo rappresenta e difende in giudizio per procura speciale in atti;
– ricorrente –
contro
Ministero degli Interni, – Prefetto Brescia;
– intimato –
avverso l’ordinanza del GIUDICE DI PACE di BRESCIA n. 8, depositata il 21/01/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 4 febbraio 2021 dal consigliere Dott. Giacomo Maria Stalla.
RILEVATO
che:
p. 1. E.H., n. in ***** (*****) il *****, propone un articolato motivo di ricorso per la cassazione dell’ordinanza in epigrafe descritta, con la quale il giudice di pace di Brescia ha respinto l’opposizione da lui proposta contro il Decreto Prefettizio 6 dicembre 2018 di espulsione dal territorio nazionale.
Il giudice di pace, in particolare, ha osservato che:
l’espulsione del ricorrente (privo di passaporto) era legittimata dal fatto che il tribunale di Brescia aveva rigettato il suo ricorso contro il provvedimento con il quale la Commissione Territoriale di Brescia aveva respinto la sua domanda di protezione internazionale, rigettando altresì l’istanza di sospensione del decreto reiettivo; non ostava all’espulsione il fatto che il provvedimento reiettivo del tribunale di Brescia fosse oggetto di ricorso per cassazione ancora pendente, ostando invece tale pendenza solo alla reiterazione della domanda di protezione internazionale;
dalla documentazione in atti non risultava che vi fosse pericolo concreto per l’incolumità e la sicurezza del ricorrente in ipotesi di suo rientro nel Paese di origine.
Nessuna attività difensiva è stata qui svolta dall’Amministrazione intimata.
p. 2. Con l’unico articolato motivo di ricorso si deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – violazione di legge (D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2 e 7, art. 14, art. 19, comma 1, art. 132 c.p.c., n. 4) nonchè omesso esame di fatto decisivo.
Ciò sotto i seguenti profili:
a. omessa considerazione della ineseguibilità del decreto di espulsione, in quanto emesso in pendenza di ricorso per cassazione avverso provvedimento reiettivo di protezione internazionale;
b. omessa considerazione delle argomentazioni difensive e della documentazione relative alle modalità di attuazione del provvedimento, alla sua mancata sospensione per la pendenza del giudizio di protezione internazionale, al rischio di incolumità fisica per il ricorrente in caso di rimpatrio forzoso nel Paese di origine.
p. 3.1 Il motivo è infondato nella prima censura ed inammissibile nella seconda.
In base al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 7 il richiedente protezione internazionale ha il diritto (fatte salve talune eccezioni ivi previste) di rimanere nel territorio dello Stato fino alla decisione della Commissione Territoriale ex art. 32 D.Lgs. cit..
In caso di impugnativa in sede giurisdizionale del provvedimento di rigetto, dispone l’art. 35 bis, comma 3 medesimo D.Lgs. che – fatte salve anche in tal caso talune eccezioni – “la proposizione del ricorso sospende l’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato”.
Dal medesimo art. 35 bis, comma 13 si evince che il decreto di rigetto del Tribunale è ordinariamente assistito da esecutività, fermo restando che – in caso di proposizione del ricorso per cassazione “quando sussistono fondati motivi, il giudice che ha pronunciato il decreto impugnato può disporre la sospensione degli effetti del predetto decreto, con conseguente ripristino, in caso di sospensione di decreto di rigetto, della sospensione dell’efficacia esecutiva della decisione della Commissione. La sospensione di cui al periodo precedente è disposta su istanza di parte da depositarsi entro cinque giorni dalla proposizione del ricorso per cassazione. La controparte può depositare una propria nota difensiva entro cinque giorni dalla comunicazione, a cura della cancelleria, dell’istanza di sospensione. Il giudice decide entro i successivi cinque giorni con decreto non impugnabile”.
Alla luce di questo quadro normativo deve dunque affermarsi come la pendenza del ricorso per cassazione sul decreto inappellabile del tribunale reiettivo dell’istanza di protezione internazionale non determini effetto sospensivo automatico, sicchè tale pendenza non osta di per sè – cioè salva l’eventualità che la sospensione sia disposta, su istanza dell’interessato, dal giudice a quo all’espulsione.
Questa conclusione non confligge con quanto stabilito in altre occasioni da questa corte di legittimità (v. Cass. n. 26365/20; 12206/20; 18737/17) secondo cui – nel contemperamento tra il diritto del richiedente asilo di non essere allontanato in pendenza di procedimento di protezione internazionale e l’obbligo dello Stato di espellere gli irregolari (entrambi previsti dalla disciplina unionale, rispettivamente dall’art. 9, comma 1 Direttiva 2013/32/UE e dall’art. 6, comma 1 Direttiva 2008/115/UE) – occorre diversificare la soluzione operando il discrimine normativo segnato dall’entrata in vigore del D.L. n. 13 del 2007, conv. c. m. in L. n. 46 del 2017, ed in particolare dell’art. 35 bis, comma 13 cit..
In maniera tale che il diritto dello straniero a permanere nello Stato in pendenza del giudizio di protezione internazionale fino al giudicato, e dunque eventualmente comprensivo della sua fase di legittimità, non è più oggi incondizionato, in quanto subordinato al provvedimento di sospensione del decreto di rigetto da parte del tribunale.
Dunque, la giurisprudenza da ultimo citata, nella parte in cui afferma il diritto alla permanenza nello Stato in pendenza di giudizio di protezione internazionale e fino al suo esito, esprime un principio riferito ad un diverso quadro normativo (antecedente all’introduzione del regime desumibile dal più volte richiamato art. 35 bis, ed ancora caratterizzato dalla ricorribilità per cassazione della pronuncia della corte di appello) che, in quanto tale, non può ritenersi valevole anche nella fattispecie in esame, invece disciplinata dal decreto L. n. 13 del 2007 e connotata dalla inappellabilità della pronuncia del tribunale, al quale è stata come detto specificamente attribuita la valutazione caso per caso dei presupposti di sospensione.
Corretta in diritto è quindi l’ordinanza del giudice di pace impugnata, là dove rileva che il decreto di espulsione era stato legittimamente adottato a seguito del rigetto, da parte del Tribunale di Brescia, del ricorso presentato dallo straniero contro la decisione della Commissione Territoriale di Brescia reiettiva della domanda di riconoscimento della protezione internazionale e che, inoltre, la pendenza del ricorso in cassazione non ostava all’espulsione “atteso che dagli atti emerge che il tribunale di Brescia abbia respinto l’istanza di sospensione del proprio decreto di rigetto” (circostanza fattuale, quest’ultima non contestata dall’odierno ricorrente).
p. 3.2 La seconda censura è inammissibile.
Per un verso, essa concerne provvedimenti non ricorribili per cassazione in quanto di natura cautelare e privi di decisorietà, quali la sospensione del provvedimento di espulsione; ovvero puramente attuativi, quali quelli concernenti le modalità dell’espulsione, come tali non incidenti sulla legittimità in sè del provvedimento ed eventualmente rilevanti sul diverso piano del controllo della misura coercitiva adottata per materialmente eseguirla (Cass. nn. 13240/2018, 15185/2012, 10243/2012 ed altre).
Per altro verso, si tratta di doglianza estremamente vaga e generica, stante la mancata precisazione in ricorso delle circostanze asseritamente integranti il rischio di persecuzione in ipotesi di rimpatrio in *****. Sotto questo aspetto il ricorrente si limita infatti a lamentare l’omesso esame ovvero l’omessa motivazione sulle “deduzioni e documentazione prodotta (allegati del ricorso e della memoria della Questura) relativa al rischio per il ricorrente di un rimpatrio forzoso nel Paese di origine”, sicchè l’affermata inesistenza di un quadro di controindicazioni al rimpatrio circa il rischio di esposizione a forme di persecuzione sarebbe “stata frutto di una valutazione non compiuta” (ric. pag. 10).
Ora, questo aspetto è stato esaminato e disatteso dal giudice di pace, il quale ha affermato che dalla documentazione richiamata non emergeva il paventato pericolo concreto per l’incolumità e la sicurezza del ricorrente in caso di ritorno nel Paese di origine.
La doglianza in esame non esplicita in alcun modo (non potendo evidentemente a tal fine rilevare il generico ed indistinto richiamo alla documentazione prodotta in precedenza) quali fossero le circostanze specificamente dedotte avanti al giudice di pace ed asseritamente concretanti questo pericolo concreto; dunque, le circostanze che il giudice di pace avrebbe fatto oggetto di omesso esame ovvero di omessa motivazione.
In assenza di ciò, non possono che registrarsi la carenza dei requisiti di specificità ed autosufficienza del ricorso per cassazione ex art. 366 c.p.c., n. 6 e la natura meramente e genericamente sollecitativa della doglianza, in quanto in realtà mirata ad una nuova globale valutazione del quadro fattuale, certamente non consentita in sede di legittimità.
Ne segue il rigetto del ricorso; nulla si dispone sulle spese stante la mancata partecipazione al giudizio dell’amministrazione intimata.
Poichè dagli atti il processo risulta esente dal contributo unificato, non trova applicazione il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.
P.Q.M.
LA CORTE
– rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, tenutasi con modalità da remoto, il 4 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 20 aprile 2021