Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.11852 del 06/05/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33096-2018 proposto da:

M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA POMPEO TROGO 21, presso lo studio dell’avvocato STEFANIA CASANOVA, rappresentato e difeso dall’avvocato MASSIMO BONI giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

M.L., M.D., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CATANZARO 9, presso lo studio dell’avvocato ALBERTO MARIA PAPADIA, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato FEDERICO CIANCA giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

e contro

M.B., M.M.E.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2466/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 17/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/03/2021 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO.

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE In data ***** V.M. decedeva in *****, vedova e senza figli, e pertanto M.D. e L., con citazione del 26/07/07, convenivano in giudizio il loro padre M.B., nonchè i fratelli di lui, A. (odierno ricorrente) e M.M.E. (tutti e tre nipoti, figli di una sorella, della de cuius), dinnanzi al Tribunale di Roma, affinchè fosse accertata la nullità del testamento olografo datato ***** e per l’effetto fosse accertata la loro qualità di unici eredi della defunta V.M., giusta testamento pubblico del *****, ricevuto dal notaio A. e pubblicato il *****, testamento nel quale la de cuius nominava suoi eredi universali i pronipoti, M.L. e D..

Si costituivano M.M.E. e A., i quali chiedevano in riconvenzionale di accertare la validità e autenticità del testamento olografo datato *****, pubblicato il 12/02/2007 dal notaio T., in virtù del quale a M.B. venivano lasciati i buoni postali, mentre M.M.E. e A. venivano nominati eredi di tutti gli altri beni mobili e immobili. I convenuti, in subordine, chiedevano l’annullamento del testamento pubblico per incapacità di intendere e di volere della de cuius o per violenza e dolo, con ogni consequenziale provvedimento di legge, compresa l’apertura della successione legittima Con condanna degli attori, eventualmente in solido con M.B., alla restituzione dei buoni postali.

Si costituiva M.B. che contestava quanto dedotto e richiesto nei suoi confronti in via riconvenzionale dai convenuti. Nel corso del giudizio di primo grado il Giudice disponeva consulenza tecnica d’ufficio, le cui risultanze confermavano l’apocrifia del testamento olografo del *****, conclusione che veniva confermata dal CTU, anche nella relazione scritta a chiarimenti.

Il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 8688/2013 accoglieva la domanda degli attori e dichiarava la nullità del testamento olografo del *****, per mancanza di autografia e apparente sottoscrizione di V.M.; accertava altresì la qualità di eredi universali di M.D. e L., in virtù del testamento pubblico del *****.

M.M.E. e A. proponevano appello avverso la suddetta sentenza, lamentando che il Tribunale non avesse ritenuto provata la procura del nuovo difensore di M.A., con la conseguenza di non aver tenuto conto delle osservazioni critiche alla CTU depositate dal nuovo difensore. Denunciavano, con il secondo motivo, l’erroneità della sentenza nella parte in cui non aveva esaminato le perizie di parte e i documenti medico legali che si ponevano in contraddizione con la CTU; l’erroneità della sentenza nella parte in cui faceva riferimento alle relazioni tecniche di parte convenuta, depositate in atti da avvocato asseritamente privo di mandato; l’erroneità della sentenza nella parte in cui aveva ritenuto la de cuius capace di intendere e di volere al momento del testamento pubblico del *****, nonchè nella parte in cui aveva escluso che M.B. in tale occasione avesse captato la volontà della testatrice. Infine, denunciavano l’errata regolamentazione delle spese di lite.

La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 2466/2018 del 17/04/2018, rigettava l’appello e condannava gli appellanti al pagamento delle spese di giudizio.

La Corte riteneva inammissibile il primo motivo attinente alla validità della procura del nuovo difensore, a causa della genericità e del difetto della parte volitiva. Dichiarava inammissibili anche il secondo e terzo motivo, in quanto attinenti a un vizio motivazionale, ma privi della parte volitiva. Quanto al quarto motivo, la Corte osservava che la censura secondo la quale la de cuius sarebbe stata priva della capacità di intendere e di volere al momento del testamento pubblico fosse destituita di fondamento, attesa la particolare solennità del testamento pubblico e l’obbligo del notaio (sanzionato penalmente con il reato di falso ideologico in atto pubblico) di appurare, in sede di redazione dell’atto, l’effettiva e reale volontà del dichiarante. La presunzione che il notaio avesse accertato la capacità era confortata dalla documentazione in atti, dalla quale non emergeva che la V. fosse affetta da una patologia psichica tale da renderla incapace di intendere e di volere, nonchè dalla mancata prova rigorosa da parte degli appellanti in ordine alla non corrispondenza delle dichiarazioni presenti nel testamento con la effettiva volontà della de cuius. Quanto alla captazione della volontà della de cuius da parte di M.B., la Corte in motivazione richiamava una serie di circostanze idonee a farne emergere l’infondatezza. Innanzitutto, la tesi della cooperazione nella captazione del notaio rogante era sfornita di prova, in quanto gli appellanti si erano limitati a supporre che il notaio avesse compiuto illeciti gravissimi, senza fornire adeguata prova degli stessi, ovvero del suo mancato accertamento della volontà della testatrice.

In secondo luogo, la Corte dava rilievo al fatto che fossero decorsi ben 6 anni tra la redazione del testamento pubblico e la morte della de cuius, periodo di tempo durante il quale ben avrebbe potuto revocare il testamento, se fosse stato frutto di una scelta inconsapevole.

In terzo luogo, la Corte valorizzava la contraddittorietà dell’asserita captazione rispetto alla risultanza istruttoria da cui emergeva che il medico di famiglia aveva visitato la defunta lo stesso giorno del testamento, trovandola perfettamente capace di intendere e di volere, nonchè rispetto al fatto che gli appellanti sostenevano la capacità di intendere e di volere della defunta in relazione a un testamento, quello olografo, di 6 anni successivo rispetto a quello di cui lamentavano il vizio di incapacità nonchè la violenza ed il dolo.

La Corte, quindi, ribadiva il carattere apocrifo del testamento olografo, conclusione confermata dalla perizia di parte attrice in primo grado, dal confronto con le scritture di comparazione e dalla CTU, le cui censure sollevate da parte degli appellanti dovevano essere disattese, in quanto dalla relazione integrativa risultava l’integrale analisi di tutta la documentazione, così come parimenti dall’elaborato peritale risultava che il CTU aveva tenuto conto dell’elemento della pressione scrittoria.

Infine, la Corte confermava la correttezza della regolamentazione delle spese di primo grado, essendo M.B. formalmente convenuto, ma sostanzialmente in una posizione adesiva a quella degli attori.

M.A. ricorre per la cassazione della suddetta sentenza sulla base di un motivo.

M.D. e L. hanno resistito con controricorso.

Gli altri intimati non hanno svolto difese in questa fase.

Con l’unico motivo di doglianza, il ricorrente lamenta la nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per violazione dell’art. 112 c.p.c..

Il ricorrente lamenta l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha dichiarato l’inammissibilità del secondo motivo di appello.

L’appellante non si sarebbe limitato a porre in evidenza l’assenza sostanziale di motivazione, ma avrebbe posto l’accento sull’erroneità dell’indagine peritale, per incompletezza e incoerenza, non avendo tenuto conto delle argomentazioni del consulente di parte (esposte nella relazione grafologica, nelle note tecniche della CTU e nelle controdeduzioni alla CTU), poi analiticamente esposte e rappresentate nell’atto di appello. Nella specie si contestava alla consulenza tecnica di parte: a) di aver utilizzato come unico documento di comparazione la firma apposta al testamento pubblico del *****; b) di non aver utilizzato gli ingrandimenti e macrofotografie da cui erano stati evidenziati tremori esistenti nel testamento olografo del *****; c) di non aver utilizzato gli undici documenti contenenti le firme prodotti da parte appellante, senza motivazione; d) la contraddittorietà della asserita regolarità della grafia della de cuius nel 2000 rispetto alla circostanza che assumesse farmaci che ne avevano alterato i movimenti; e) di non aver motivato sul rilievo del consulente di parte della esistenza di similitudini tra il testo del 2006 e gli altri documenti di comparazione e sull’accertamento di rilevanti disomogeneità nel testo del testamento del *****; f) di non aver motivato sul rilievo del consulente di parte sul fatto che la presenza di tremori nella grafia non è caratteristica tipica della scrittura di persona di età avanzata; g) di non aver motivato in ordine all’argomentazione del consulente di parte sulle similitudini registrate e verificate tra il testo del testamento olografo del ***** e gli altri documenti di comparazione; h) il fatto che il CTU avesse effettuato il suo esame su una fotocopia del testamento, persino alterata, e non sull’originale.

Il motivo è inammissibile.

La censura del ricorrente non è riconducibile all’ipotesi della nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c., per l’asserita omessa pronuncia del giudice di secondo grado in ordine ad uno dei motivi dedotti nell’atto di appello, ma al più può essere ricondotta nell’ambito di applicazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, quale denuncia dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che si sostanzia nell’omesso esame delle critiche alla CTU.

Questa Corte ha evidenziato che la violazione dell’art. 112 c.p.c. si concreta nella totale carenza di considerazione della domanda e dell’eccezione sottoposta all’esame del giudicante, il quale manchi completamente perfino di adottare un qualsiasi provvedimento, quand’anche solo implicito, di accoglimento o di rigetto; ipotesi che deve essere tenuta distinta rispetto all’omesso esame di un fatto decisivo, il quale, viceversa, presuppone che un esame della questione oggetto di doglianza vi sia pur sempre stato da parte del giudice di merito, ma che esso sia affetto dalla totale pretermissione di uno specifico fatto storico, oppure che si sia tradotto nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa, invece, qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass., sez. 6 – 3, Ordinanza n. 21257 del 08/10/2014).

Nel caso in esame, la Corte ha esaminato il motivo di appello: dapprima ha dichiarato l’inammissibilità del secondo motivo di appello, ancorchè poi nel proseguo della motivazione lo abbia analizzato nel merito (cfr. sentenza impugnata pp. 6 e 7).

A parere della sentenza gravata, il Tribunale non ha omesso l’esame dei documenti e atti di giudizio, ma ha fatto propria una determinata ricostruzione dei fatti che si pone in antitesi rispetto a quella degli appellanti. Questi ultimi, infatti, hanno sostenuto la genuinità del testamento olografo del ***** e, a tal fine, riproducevano tutte le osservazioni fatte dai propri consulenti tecnici di parte.

La Corte, viceversa, ha confermato la correttezza della sentenza di primo grado nella parte in cui aveva concluso per la falsità del testamento olografo del ***** con tre argomentazioni: il CTU aveva confutato nel supplemento di perizia le osservazioni dei consulenti di parte; la falsità del testamento olografo era stata rilevata anche dalla Prof. P., incaricata dagli stessi appellanti di un parere pro veritate; la falsità risultava ictu oculi rispetto alle scritture di comparazione.

La Corte, inoltre, osservava l’inconferenza del rilievo degli appellanti secondo i quali il CTU non avrebbe tenuto conto di tutta la documentazione a lui sottoposta, risultando dalla relazione integrativa l’integrale esame di tutta la documentazione, con una maggiore attenzione nei confronti di quella più rilevante. Parimenti erroneo era il rilievo secondo cui il CTU non avrebbe considerato l’elemento della pressione sul foglio, essendo smentito dalla lettura stessa dell’elaborato peritale.

Ma anche a voler riqualificare il motivo come inteso a denunciare l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ne va esclusa l’ammissibilità alla luce dell’interpretazione della norma fatta propria da Cass., S.U. 8053/2014.

La giurisprudenza di questa Suprema Corte ha affermato che qualora il giudice del merito aderisca al parere del consulente tecnico d’ufficio, non è tenuto ad esporne in modo specifico le ragioni poichè l’accettazione del parere, delineando il percorso logico della decisione, ne costituisce adeguata motivazione, non suscettibile di censure in sede di legittimità, ben potendo il richiamo, anche “per relationem” dell’elaborato, implicare una compiuta positiva valutazione del percorso argomentativo e dei principi e metodi scientifici seguiti dal consulente; diversa è l’ipotesi in cui alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio siano state avanzate critiche specifiche e circostanziate, sia dai consulenti di parte che dai difensori: in tal caso il giudice del merito, per non incorrere nel vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, è tenuto a spiegare in maniera puntuale e dettagliata le ragioni della propria adesione all’una o all’altra conclusione (cfr. Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 15147 del 11/06/2018).

Tuttavia, il giudice di merito non incorre nel vizio motivazionale allorchè richiami le conclusioni del consulente d’ufficio che, a sua volta, si sia fatto carico di esaminare e confutare i rilievi di parte (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 23637 del 21/11/2016; Cass., sez. 5, Ordinanza n. 25526 del 12/10/2018; Cass., sez. 6 – 3, n. 1815 del 2 febbraio 2015).

Nel caso di specie, il ricorrente afferma nel ricorso che le censure contenute nell’atto di appello sono la riproposizione delle argomentazioni del consulente di parte (esposte nella relazione grafica, nelle note tecniche alla CTU e nelle controdeduzioni alla CTU). Peraltro, rilevato che il ricorso risulta carente del requisito di specificità ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in mancanza della riproduzione del contenuto della CTU e del supplemento di perizia (onde poter vagliare se effettivamente le deduzioni dei consulenti di parte fossero state prese o meno in considerazione dal CTU), tuttavia dalla lettura della sentenza della Corte d’Appello emerge che le deduzioni di parte fossero state prese in considerazione dall’ausiliario di ufficio nel supplemento di perizia (cfr. sentenza impugnata a p. 6), il che impedisce di ravvisare il vizio di omessa disamina del fatto decisivo, peraltro nemmeno deducibile alla luce del disposto di cui all’art. 348 ter c.p.c., u.c., avendo la Corte d’Appello condiviso la ricostruzione in fatto del giudice di prime cure.

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Nulla a disporre quanto alle spese nei confronti delle parti che non hanno svolto difese in questa fase.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore dei controricorrenti che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi ed accessori di legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2021

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