Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.14576 del 26/05/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – rel. ed est. Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

G.A., rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata al ricorso, dall’Avv. Andrea Zincone, che ha indicato recapito PEC, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio, alla via del Plebiscito n. 112, in Roma, presso Eversheds Sutherland Associazione Professionale (già via Pompeo Magno n. 1, in Roma);

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore, legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, ex lege, dall’Avvocatura Generale dello Stato, ed elettivamente domiciliata presso i suoi uffici, alla via dei Portoghesi n. 12, in Roma;

– intimata –

avverso la sentenza n. 311, pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio l’8.7.2013, e pubblicata il 23.9.2013;

ascoltata, in Camera di consiglio, la relazione svolta dal Consigliere Paolo Di Marzio;

la Corte osserva.

FATTI DI CAUSA

G.A., esercente l’attività professionale di Avvocato, a seguito di controllo formale del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis, riceveva la notifica della cartella di pagamento n. *****, attinente al pagamento dell’Irap in relazione all’anno 2005, per l’ammontare di Euro 2.876,59, oltre sanzioni ed accessori. Il contribuente aveva presentato la dichiarazione dei redditi, ed in quell’anno era stato costretto, in conseguenza delle caratteristiche proprie del modello ministeriale previsto per la trasmissione telematica, ad indicare un importo dell’Irap. Ritenendo tuttavia di non dovere nulla per tale tributo, perchè professionista privo di autonoma organizzazione, non aveva versato il relativo importo.

Impugnava perciò l’atto impositivo innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma, precisando che la cartella esattoriale non era stata preceduta da alcun atto prodromico. La CTP rigettava il ricorso. La decisione adottata dalla CTP era gravata di appello dal contribuente innanzi alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, contestando il ricorrente anche il diniego di condono, frattanto richiesto ai sensi del D.L. n. 98 del 2011, art. 39, come conv..

La CTR riteneva che il contribuente non potesse accedere al condono non avendo impugnato un “atto impositivo”, bensì un atto di riscossione. Reputava, inoltre, che competesse a lui la dimostrazione di esercitare la propria attività professionale senza disporre di un’autonoma organizzazione e, non avendo il ricorrente assicurato tale prova, confermava il rigetto del suo ricorso.

G.A. ha proposto ricorso per cassazione avverso la decisione assunta dalla CTR di Roma, affidandosi a sette motivi di gravame. L’Agenzia delle Entrate non ha svolto difese, limitandosi a depositare un’istanza di partecipazione all’eventuale discussione della causa in pubblica udienza. Il contribuente ha pure depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’impugnante contesta la violazione della L. n. 289 del 2002, art. 16, comma 3, lett. a), in cui è incorsa la censurata CTR “quanto alla natura della cartella di pagamento quale atto impositivo” (ric., p. 4).

1.2. Mediante il secondo motivo di impugnazione, anch’esso introdotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’impugnante critica ancora la violazione della L. n. 289 del 2002, art. 16, comma 3, lett. a), in cui è incorsa la CTR “quanto alla natura della cartella di pagamento di primo ed unico atto impositivo ricevuto dal contribuente” (ric., p. 7).

1.3. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, l’impugnante contesta sempre la violazione della L. n. 289 del 2002, art. 16, comma 3, lett. a), in cui è incorsa la censurata CTR, ed anche il vizio di omessa motivazione, “quanto alla natura della cartella di pagamento di primo e unico atto impositivo ricevuto dal contribuente” (ric., p. 7).

1.4. Mediante il quarto motivo di impugnazione, il contribuente critica ancora la CTR per aver “omesso di pronunciarsi” (ric., p. 8), in materia di “inclusione delle sanzioni D.Lgs. n. 472 del 1997, ex art. 17, comma 3, nella disciplina di cui alla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16, comma 3, lett. a),” (sent. CTR, p. II).

1.5. Con il suo quinto motivo di ricorso, introdotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’impugnante censura la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, della L. n. 212 del 2000, art. 7, e della L. n. 241 del 1990, art. 3, in cui è incorsa la censurata CTR, perchè l’atto di diniego del condono risulta privo di motivazione.

1.6. Mediante il suo sesto strumento di impugnazione, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, il contribuente contesta la nullità della sentenza pronunciata dalla impugnata CTR “per omessa notificazione dell’avviso di trattazione in udienza” (ric., p. 9).

1.7. Con il settimo strumento di gravame il ricorrente critica, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il vizio di “insufficiente e comunque contraddittoria motivazione della sentenza di secondo grado in merito ai presupposti di cui al D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 1” (ric., p. 10).

2.6. Appare opportuno prendere in esame per primo il sesto motivo di gravame, mediante il quale il ricorrente censura la nullità della sentenza impugnata, in conseguenza della omessa notifica in suo favore dell’avviso di trattazione dell’udienza innanzi al giudice dell’appello. Spiega il contribuente che la segreteria della CTR ha tentato di notificare l’avviso a lui, che si difendeva in proprio essendo un Avvocato, ma lo ha fatto ad un indirizzo PEC errato.

Apparendo la contestazione decisiva, e pregiudiziale anche rispetto alla valutazione di tutti gli ulteriori motivi di ricorso, in occasione dell’udienza del 17.11.2020 il Collegio, non essendo in grado di pronunciarsi in merito, perchè non in possesso dei fascicoli integrali dei gradi di merito del giudizio, incaricava la Cancelleria di acquisire i tali fascicoli nella loro integralità, segnalando che risultava di specifico interesse la notifica effettuata in favore dell’Avv. G., ricorrente, ai fini della partecipazione all’udienza di trattazione innanzi alla CTR di Roma celebrata l’8.7.2013.

Rinviava pertanto il giudizio a nuovo ruolo, e fissava per il prosieguo l’udienza del 25.2.2021.

Esaminando quindi gli atti deve rilevarsi che l’Avv. G.A., odierno ricorrente, nel proporre innanzi alla CTR del Lazio l’atto di appello quale difensore di sè stesso, ha indicato quale proprio indirizzo PEC: alessandro-greco.legalmail.it. Si rinviene quindi agli atti del fascicolo processuale, nella sezione dedicata al giudizio di gravame, un documento attestante l’avvenuta notifica, effettuata da M.A. per conto della CTR, dell’avviso di trattazione della pubblica udienza innanzi alla CTR in data 8.7.2013, giorno in cui l’udienza è stata effettivamente celebrata, che risulta recapitato in data 4.6.2016 all’indirizzo: ALESSANDRO.GRECO.LEGALMAIL.IT, indirizzo che evidentemente non coincide con quello indicato dall’odierno ricorrente come utile per le notificazioni in suo favore. Al di là dell’uso del carattere maiuscolo o minuscolo, infatti, si riscontra la sostituzione del carattere “-“, con il carattere “.”.

A tanto deve aggiungersi che dal verbale dell’udienza celebrata innanzi alla CTR l’8.7.2013 non risulta che l’Avv. G.A. sia stato presente. Al verbale risulta peraltro allegata la ricevuta di ritorno di una raccomandata ricevuta dall’Avv. G.A. il 25.1.2012, ma non risulta indicata nella relata neppure il numero della missiva cui dovrebbe riferirsi. Infine, riscontro effettuato dalla Cancelleria di questa Corte ha premesso di accertare che il corretto indirizzo PEC dell’odierno ricorrente, in quanto Avvocato, è effettivamente alessandro-greco.legalmail.it.

Non si è pertanto raggiunta la prova che la tentata notifica della data di pubblica trattazione del giudizio innanzi alla CTR del Lazio abbia raggiunto l’odierno ricorrente G.A.. Può allora ricordarsi che questa Corte di legittimità ha già avuto modo di chiarire che “nel processo tributario, la comunicazione della data di udienza, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 31, applicabile anche ai giudizi di appello in relazione al richiamo operato dal medesimo decreto, art. 61, adempie ad un’essenziale funzione di garanzia del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, sicchè l’omessa comunicazione alle parti, almeno trenta giorni prima, dell’avviso di fissazione dell’udienza di discussione, determina la nullità della decisione comunque pronunciata”, Cass. sez. VI-V, 11.7.2018, n. 18279.

In conseguenza la Corte deve accogliere il sesto motivo di ricorso introdotto da G.A., assorbiti gli ulteriori, e dichiarare la nullità dell’impugnata sentenza pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, disponendo il rinvio a quest’ultima perchè, in diversa composizione, proceda a nuovo giudizio, nel rispetto dei principi e degli adempimenti innanzi indicati, e provveda pure a liquidare le spese di lite del giudizio di legittimità.

La Corte.

PQM

accoglie il sesto motivo di ricorso proposto da G.A., assorbiti gli ulteriori, cassa la decisione impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia innanzi alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio che, in diversa composizione, procederà a nuovo giudizio, nel rispetto dei principi innanzi esposti, e provvederà anche a regolare tra le parti le spese di lite del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2021

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