Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.15396 del 03/06/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – rel. Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. CIRESE Marina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23689-2015 proposto da:

F.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato LUIGI MANZI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CESARE FEDERICO GLENDI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

VALPAS SNC DI V.D. E P.S.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 641/2015 della COMM. TRIB. REG. LOMBARDIA, depositata il 24/02/2015; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 03/02/2021 dal Consigliere Dott. LIANA MARIA TERESA ZOSO.

RITENUTO

che:

1. Con atto del 27 maggio 2009 F.A. vendeva a Valpas s.n.c. di V.D. e P.S. una azienda per la rivendita di giornali (edicola) sita a ***** al prezzo dichiarato di Euro 95.000,00, di cui Euro 93.000,00 imputati all’avviamento. L’agenzia delle entrate notificava avviso di rettifica e liquidazione con cui accertava il valore dell’azienda ceduta in Euro 399.189,00 sulla base del maggior valore di avviamento determinato in Euro 397.199,00. Proponevano distinti ricorsi sia il venditore che l’acquirente contestando il metodo adottato dall’ufficio, il quale si era basato sul listino prezzi della F.I.M.A.A. (Federazione Italiana Mediatori Agenti D’affari) che indicava valori virtuali e non reali del bene. La commissione tributaria provinciale di Milano rigettava il ricorso con sentenza era confermata dalla commissione tributaria regionale della Lombardia la quale rilevava che la pubblicazione F.I.M.A.A. riportava i dati delle rilevazioni fatte da una rete di agenti mediatori sulla base di contrattazioni perfezionate dagli stessi operatori e dagli agenti a loro collegati sì che i prezzi che si ricavavano dal listino erano rappresentativi della legge del mercato; inoltre nel caso specifico era stato applicato il valore minimo previsto in considerazione dell’ubicazione dell’esercizio commerciale ceduto, evidenziandosi con ciò che era stato tenuto conto delle caratteristiche specifiche del bene.

2. Avverso la sentenza della CTR propone ricorso per cassazione il solo F.A. affidato a tre motivi illustrati con memoria. L’agenzia delle entrate si è costituita in giudizio con controricorso.

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Sostiene che la CTR, con la sentenza impugnata, non ha sottoposto a vaglio critico la decisione di primo grado, essendosi riferita unicamente all’avviso di accertamento di cui ha ritenuto l’attendibilità.

2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 51 e 52. Sostiene che la CTR non ha applicato criteri di stima dell’azienda ceduta che tenessero conto di elementi concreti quali i bilanci, da cui si sarebbe potuto evincere l’entità dei debiti verso banche e fornitori nonchè l’entità degli oneri finanziari sostenuti onde accertare il grado di autosufficienza finanziaria dell’azienda.

3. Con il terzo motivo deduce violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.P.R. n. 460 del 1996, art. 2, comma 4. Sostiene che la norma citata, poi abrogata dal D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 17, commi 1 e 2, prevedeva criteri automatici per la determinazione del valore dell’avviamento che sono stati ritenuti non attendibili a vantaggio del criterio del valore di mercato in comune commercio consacrato dal D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 51 e 51. La CTR ha inopinatamente fatto applicazione dei criteri indicati dall’art. 2 cit. in abbinamento con il listino F.I.M.A.A., generandosi così una valutazione dell’avviamento del tutto errata.

4. Osserva la Corte che i motivi di ricorso debbono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi. Essi sono fondati.

La CTR invero, ha basato la decisione sul listino prezzi della F.I.M.A.A. (Federazione Italiana Mediatori Agenti D’affari) senza dare conto dei rilievi svolti dalla parte incentrati sull’individuazione della intrinseca redditività dell’azienda tenuto conto della media dei ricavi accertati o, in mancanza, dichiarati ai fini delle imposte sui redditi negli ultimi tre periodi d’imposta, così come previsto dalla norma di cui al D.P.R. n. 460 del 1996, art. 2, comma 4.

Questa Corte, con numerose pronunce, ha ritenuto ancora adoperabile il criterio di calcolo del valore di avviamento che il legislatore aveva previsto per l’accertamento con adesione al D.P.R. n. 460 del 1996, art. 2, comma 4 (Cass. n. 7750 del 2019; Cass. n. 613 del 2006; Cass. n. 1170 del 2008) ed ha stabilito che: “Ai fini del calcolo del valore di avviamento commerciale quale parte del corrispettivo di cessione d’azienda, per la determinazione della base imponibile dell’imposta di registro, secondo il disposto del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 51, e del D.P.R. 31 luglio 1996, n. 460, art. 2, comma 4, quest’ultima avente la funzione di fungere da parametro mimino per il relativo calcolo, dovrà applicarsi la percentuale di redditività, nella misura ritenuta congrua dal giudice di merito, parametrata alla media dei ricavi accertati, o in mancanza, dichiarati ai fini delle imposte sui redditi negli ultimi tre periodi di imposta anteriori a quello in cui è intervenuto il trasferimento, applicando di seguito il moltiplicatore previsto dall’art. 2, comma 4, citato” (Cass. n. 7324 del 2014; Cass. n. 18941 del 2018). Il D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218, che ridisciplina l’accertamento con adesione, ha soppresso il D.P.R. n. 460 del 1996, non indicando però una metodologia di determinazione del valore di avviamento dell’azienda, ma l’orientamento espresso dal vecchio D.P.R. n. 460 del 1996 rimane valido sul piano indicativo per quanto riguarda i parametri di riferimento lasciando al contribuente l’onere di dimostrare, ove lo ritenga, applicando parametri diversi da quelli previsti dal D.P.R. n. 460 citato, un valore di avviamento inferiore a quello indicato. Ed è stato altresì affermato che i criteri di cui al D.P.R. n. 460 del 1996, art. 2, determinano valori minimali di avviamento, in funzione dell’accertamento con adesione, sicchè la loro applicazione integra un indizio a favore dell’Amministrazione (Cass. n. 9098 del 2017), tanto che questa può impiegare un criterio diverso solo dando conto della maggiore affidabilità specifica (Cass. n. 4931 del 2012).

5. Il ricorso va, dunque, accolto e l’impugnata decisione va cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia in diversa composizione che, adeguandosi ai principi esposti, procederà alle necessarie verifiche e deciderà nel merito oltre che sulle spese di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata decisione e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale da remoto, il 3 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2021

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