LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Presidente –
Dott. PAOLITTO Liberato – rel. Consigliere –
Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –
Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –
Dott. FILOCAMO Fulvio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 3795-2017 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
B.A., P.M., D.T.A., P.R.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 1915/2016 della COMM.TRIB.REG.PUGLIA SEZ.DIST.
di FOGGIA, depositata il 19/07/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/11/2020 dal Consigliere Dott. LIBERATO PAOLITTO.
RILEVATO
che:
1. – con sentenza n. 1915/2016, depositata il 19 luglio 2016, la Commissione tributaria regionale della Puglia ha accolto l’appello proposto da P.M., D.T.A., P.R. e B.A., così pronunciando in integrale riforma della sentenza di prime che, per suo conto, aveva disatteso l’impugnazione di un avviso di liquidazione emesso dall’Agenzia delle Entrate per il recupero, a tassazione ordinaria, delle imposte di registro ed ipocatastali dovute in relazione ad un contratto di compravendita di terreni agricoli registrato, in data 3 ottobre 2006, in regime di esenzione ai sensi del D.Lgs. n. 228 del 2001, art. 5 bis;
– il giudice del gravame ha rilevato che, – dovendosi patrocinare una lettura delle disposizioni di favore invocate dai contribuenti nel senso di far prevalere “la presenza sostanziale dei requisiti oggettivi e soggettivi” richiesti ai fini del godimento dell’esenzione, – i contribuenti, nella fattispecie, – attraverso la produzione di certificazioni rilasciate dalla Regione Puglia in data 8 ottobre 2009, avevano dato conto della pregressa iscrizione “nella gestione previdenziale INPS categoria coltivatori diretti” oltrechè di (successivi) acquisti idonei a configurare il compendio unico per soglia di redditività;
2. – l’Agenzia delle Entrate ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di un solo motivo;
– P.M., D.T.A., P.R. e B.A. sono rimasti intimati.
CONSIDERATO
che:
1. – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Agenzia delle Entrate denuncia violazione e falsa applicazione di legge con riferimento alla L. n. 97 del 1994, art. 5 bis, commi 1 e 2, ed al D.Lgs. n. 99 del 2004, artt. 7 e ss., deducendo, in sintesi, che, nella fattispecie, – e per come già accertato dal giudice di prime cure, – i contribuenti non avevano dato alcun riscontro dei requisiti, soggettivi e oggettivi, rilevanti ai fini della reclamata esenzione, e con riferimento tanto alla qualifica soggettiva, – in alcun modo documentata se non dietro attestazioni rilasciate in data successiva alla notifica dell’avviso di liquidazione, – quanto alla stessa idoneità dei terreni agricoli a costituire, per relativa redditività, un compendio unico;
2. – il motivo è fondato, e va accolto, per quanto di ragione;
3. – il D.Lgs. n. 228 del 2001, art. 5 bis, commi 1 e 2 (inserito dal D.Lgs. n. 99 del 2004, art. 7, e modificato dal D.Lgs. n. 101 del 2005, art. 3), dispone nei seguenti termini:
– “1. Ove non diversamente disposto dalle leggi regionali, per compendio unico si intende l’estensione di terreno necessaria al raggiungimento del livello minimo di redditività determinato dai piani regionali di sviluppo rurale per l’erogazione del sostegno agli investimenti previsti dai Regolamenti (CE) nn. 1257 e 1260/1999, e successive modificazioni.
2. Al trasferimento a qualsiasi titolo di terreni agricoli a coloro che si impegnino a costituire un compendio unico e a coltivarlo o a condurlo in qualità di coltivatore diretto o di imprenditore agricolo professionale per un periodo di almeno dieci anni dal trasferimento si applicano le disposizioni di cui alla L. 31 gennaio 1994, n. 97, art. 5-bis, commi 1 e 2. Gli onorari notarili per gli atti suddetti sono ridotti ad un sesto”;
– a sua volta, la richiamata L. n. 97 del 1994, art. 5 bis, comma 2, espressamente prevede che, nel caso di violazione dei cennati obblighi, “sono dovute, oltre alle imposte non pagate e agli interessi, maggiori imposte pari al 50 per cento delle imposte dovute”;
3.1 – la Corte ha già avuto modo di rilevare che l’esenzione in discorso è condizionata, a pena di decadenza, “non solo all’impegno del richiedente di costituire un unico compendio immobiliare e di coltivarlo e condurlo per un periodo di almeno dieci anni dal trasferimento, ma anche alla sussistenza in capo allo stesso del requisito soggettivo di coltivatore diretto o di imprenditore agricolo sin dal momento del rogito, atteso che, diversamente, le evasioni di imposta sarebbero favorite dal procrastinarsi “sine die” del termine per l’acquisizione della capacità professionale idonea ad assicurare al bene un’adeguata produttività, che costituisce “ratio” dell’agevolazione, la cui portata, considerata la natura della norma, è di stretta interpretazione.” (Cass., 9 aprile 2018, n. 8618; v., altresì, Cass., 19 aprile 2017, n. 9843); e, può soggiungersi, nemmeno pare lecito dubitare della natura complementare dell’imposta di registro nella fattispecie applicata (D.P.R. n. 131 del 1986, art. 42), venendo in considerazione, come detto, un’ipotesi di revoca dell’agevolazione correlata ad un inadempimento che attinge un’espressa condizione di ammissibilità del beneficio (v. Cass. Sez. U., 21 novembre 2000, n. 1196 cui adde, ex plurimis, Cass., 17 maggio 2017, n. 12257; Cass., 31 gennaio 2017, n. 2400; Cass., 5 dicembre 2005, n. 26407);
3.2 – con riferimento alla qualifica di imprenditore agricolo professionale, il D.Lgs. n. 99 del 2004" art. 1, comma 5 ter, espressamente prevede la rilevanza del relativo conseguimento in via differita, entro il termine di 24 mesi, pena la decadenza degli eventuali benefici conseguiti, purchè i contribuenti “abbiano presentato istanza di riconoscimento della qualifica alla Regione competente che rilascia apposita certificazione, nonchè si siano iscritti all’apposita gestione dell’INPS” (v. Cass., 19 aprile 2017, n. 9843);
– sia pur ai diversi fini delle agevolazioni previste per la piccola proprietà contadina, anche la L. n. 604 del 1954, art. 4, prevedeva, dietro presentazione di un’attestazione provvisoria, la rilevanza della differita documentazione della qualifica di coltivatore diretto, purchè presentato, entro il termine del successivo triennio (pena l’applicazione delle “normali imposte”), il “certificato definitivo, attestante che i requisiti richiesti sussistevano fin dal momento della stipula dell’atto”;
– in termini generali, va, poi, rilevato, secondo una risalente giurisprudenza della Corte, che se il legislatore non ha fissato specificamente un termine entro il quale si deve verificare una condizione dalla quale dipenda la concessione di un beneficio, tale termine non potrà essere mai più ampio di quello previsto per i controlli (per la contraddizione di dover considerare sempre inutili i controlli, e così vanificarli, a fronte della possibilità per il contribuente di “dichiarare sempre di volere successivamente realizzare la condizione, quando oramai nessun controllo sarebbe… più possibile”; così Cass., 7 luglio 2000, n. 9149 cui adde, ex plurimis, Cass., 29 aprile 2009, n. 10011; Cass., 20 settembre 2006, n. 20376; Cass., 17 ottobre 2005, n. 20066; Cass., 10 settembre 2004, n. 18300); e si è soggiunto che i benefici fiscali, sono naturaliter subordinati al raggiungimento dello scopo per cui vengono concessi (Cass., 20 settembre 2006, n. 20376; Cass., 17 ottobre 2005, n. 20066; Cass., 28 marzo 2003, n. 4714; Cass., 25 gennaio 2000, n. 797);
3.3 – orbene, nella fattispecie, i contribuenti, – senza offrire alcun riscontro delle loro qualifiche soggettive, qual rilevanti ai fini dell’usufruita esenzione, al momento della stipula dell’atto (registrato in data 3 ottobre 2006), – hanno dato conto di una pregressa iscrizione “nella gestione previdenziale INPS categoria coltivatori diretti” (con certificazioni rilasciate dalla Regione Puglia in data 8 ottobre 2009), come rilevato dal giudice del gravarne, – solo in data successiva alla notifica degli avvisi di liquidazione, ed in sede giudiziale, in un momento in cui, quindi, si sarebbe (già) estinto, per decadenza, il potere impositivo dell’Agenzia qualora quel potere non fosse stato (già) utilmente esercitato (con atto notificato il 1 ottobre 2009) nel termine triennale previsto per la richiesta dell’imposta complementare (D.P.R. n. 131 del 1986, art. 76, comma 2);
4. – l’impugnata sentenza va, pertanto, cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, con rigetto del ricorso originario dei contribuenti;
– le spese dei gradi di merito vanno compensate tra le parti, avuto riguardo all’evolversi della vicenda processuale, mentre quelle del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza di parti intimate.
PQM
La Corte, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, rigetta il ricorso originario dei contribuenti; compensa, tra le parti, le spese dei gradi di merito e condanna le parti intimate al pagamento in solido, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del giudizio di legittimità liquidate in 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio tenuta da remoto, il 17 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2021