Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.17498 del 18/06/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2298/2020 proposto da:

D.H., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE MANZONI n. 81, presso lo studio dell’avvocato ANTONELLA CONSOLO, rappresentato e difeso dall’avvocato IMMACOLATA NARRA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Salerno – Sezione l di Napoli, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA alla VIA DEI PORTOGHESI 12;

– resistente con mandato –

avverso il decreto n. cronologico 8656/2019 del TRIBUNALE di NAPOLI, depositato il 19/11/2019 R.G.N. 4397/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 29/01/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA.

RILEVATO

Che:

1. con decreto n. 8656/2019 il Tribunale di Napoli ha respinto il ricorso proposto da D.H., cittadino della Guinea, avverso il provvedimento della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di rigetto della domanda di protezione internazionale e complementare;

1.1. dal decreto si evince che il richiedente ha motivato l’allontanamento dal paese di origine con il timore di essere ucciso in conseguenza di una relazione omosessuale che era stata scoperta dai familiari i quali lo avevano picchiato, legato e segregato in casa; una volta liberatosi con l’aiuto di una donna aveva, quindi deciso di fuggire; ha evidenziato la discriminazione subita dagli omosessuali in Guinea che reprimeva come reato le relazioni omosessuali 1.2. il Tribunale, ritenuto non credibile il complessivo racconto del richiedente, ha escluso i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b); quanto all’ipotesi di cui dell’art. 14 cit., lett. c), le fonti consultate escludevano la esistenza di un conflitto armato interno – pur nell’ampia accezione indicata dalla giurisprudenza – che crei una situazione di indiscriminata violenza che possa coinvolgere il ricorrente; in merito alla protezione umanitaria il richiedente non aveva allegato quale peculiare ragione di salute era ostativa al rientro nel paese di origine nè specifici profili di vulnerabilità soggettiva e neppure offerto elementi di valutazione concreta ed attendibile circa le sue attuali condizioni economico sociali e il livello di benessere e tutela dei diritti fondamentali nel paese di provenienza;

2. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso D.H. sulla base di due motivi; il Ministero dell’Interno intimato non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ultimo alinea, cui non ha fatto seguito alcuna attività difensiva.

CONSIDERATO

Che:

1. con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 3, in tema di dovere di cooperazione istruttoria e omesso esame di circostanze decisive. Sostiene, in sintesi, che la valutazione della credibilità del richiedente in ordine al suo orientamento sessuale non era coerente con le indicazioni della Corte di Giustizia e che la reticenza a rivelare aspetti intimi della propria vita non giustificava la valutazione di non credibilità del racconto; il giudice avrebbe dovuto esercitare i propri poteri istruttori di ufficio al fine di verificare le ragioni di verosimiglianza o meno dell’orientamento sessuale.

2. con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, censurando il mancato riconoscimento della protezione umanitaria; in particolare critica la mancata considerazione del trattamento inumano subito in Libia, quale elemento concorrente alla definizione di una situazione di vulnerabilità soggettiva;

3. il ricorso è meritevole di accoglimento per quanto di ragione;

3.1. il giudice di merito ha dichiarato di condividere la valutazione della CT in tema di non credibilità del narrato circa il timore del richiedente asilo di essere ucciso in caso di rientro in patria, valutazione fondata sulla generica evocazione di tale pericolo non corredata dall’indicazione dei soggetti (familiari o statuali) dai quali proveniva la minaccia e sul fatto che non era circostanziato il racconto della esperienza individuale e della scoperta dell’omosessualità; ha inoltre evidenziato alcune contraddizioni ed incongruenze del racconto nelle dichiarazioni in sede giudiziale;

3.2. secondo la condivisibile giurisprudenza di questa Corte, l’appartenenza ad un determinato gruppo sociale, nella specie l’omosessualità, del richiedente protezione internazionale non può essere esclusa dal rilievo che le dichiarazioni della parte non ne forniscano la prova, dal momento che del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, dispone che tali dichiarazioni, se coerenti con i requisiti di cui alle lett. da a) ad e) della norma, possono da sole essere considerate veritiere pur se non suffragate da prova, ove comparate con COI aggiornate, e la Corte di Giustizia (sentenza 25/1/2018 C473/16, alla luce dell’art. 13, par. 3, lettera a), della Direttiva 2005/85 e dell’art. 15 par. 3, lettera a), della Direttiva 2013/32, ha evidenziato che, in relazione all’omosessualità, il colloquio deve essere svolto da un intervistatore competente; che si deve tenere conto della situazione personale e generale in cui s’inseriscono le dichiarazioni, ed in particolare dell’orientamento sessuale; che la valutazione di credibilità non può fondarsi su nozioni stereotipate associate all’omosessualità ed in particolare sulla mancata risposta a domande relative a tali nozioni, quali quelle concernenti la conoscenza di associazioni per la difesa dei diritti degli omosessuali; l’allegazione da parte dello straniero di una condizione personale di omosessualità impone che il giudice si ponga in una prospettiva dinamica e non statica, vale a dire che verifichi la sua concreta esposizione a rischio, sia in relazione alla rilevazione di un vero e proprio atto persecutorio, ove nel paese di origine l’omosessualità sia punita come reato e sia prevista una pena detentiva sproporzionata o discriminatoria, sia in relazione alla configurabilità della protezione sussidiaria, che può verificarsi anche in mancanza di una legislazione esplicitamente omofoba ove il soggetto sia esposto a gravissime minacce da agenti privati e lo Stato non sia in grado di proteggerlo, dovendosi evidenziare che tra i trattamenti inumani e degradanti lesivi dei diritti fondamentali della persona omosessuale non vi è solo il carcere ma vi sono anche gli abusi medici, gli stupri ed i matrimoni forzati, tenuto conto che non è lecito pretendere che la persona tenga un comportamento riservato e nasconda la propria omosessualità (CGUE 7/11/2013 C-199/2012 e C-201/2012) (Cass. 9815/2020, 16401/2020);

3.3. il provvedimento impugnato non è coerente con tali indicazioni; in particolare, la valutazione di non credibilità espressa dal giudice di merito omette di considerare che sia nelle dichiarazioni in sede amministrativa che in quelle in sede giudiziale, il nucleo fondamentale delle ragioni dell’allontanamento dal Paese di origine legate all’orientamento sessuale ed alle minacce da parte dei familiari è rimasto inalterato nel racconto del ricorrente; tale allegazione, di rilievo centrale, doveva essere quindi verificata con quanto eventualmente emergente dalle COI in ordine alla condizione dell’omosessualità nel Paese di origine sia sotto il profilo della riprovazione sociale e della diffusività, nello specifico contesto culturale e sociale, di atti di violenza domestica sia sotto il profilo della eventuale repressione, anche penale di tale orientamento; infine, il riferimento alla mancata indicazione di elementi destinati a circostanziare la scoperta e la genesi dell’orientamento omosessuale non è significativa, venendo in rilievo aspetti relativi alla sfera intima di ciascuno, nei quali gioca un ruolo determinante la sensibilità individuale, che giustifica eventuali reticenze ed omissioni; in questo contesto occorreva approfondire anche la origine delle lesioni cicatriziali riscontrate (decreto, pag. 4) in relazione al racconto del ricorrente alle menzionate violenze familiari, rilevanti per la Convenzione di Istanbul.

3.4. in base alle considerazioni che precedono, assorbita ogni ulteriore censura, si impone l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione, con rinvio ad altro giudice che procederà alla rivalutazione della vicenda alla stregua dei principi richiamati.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione. Cassa il decreto impugnato e rinvia al Tribunale di Napoli, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 giugno 2021

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