LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –
Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –
Dott. FASANO Anna Maria – rel. Consigliere –
Dott. RUSSO Rita – Consigliere –
Dott. PENTA Andrea – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 29445-2018 proposto da:
CONSORZIO PER L’AREA DI SVILUPPO INDUSTRIALE DI SALERNO, elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE DEI MELLINI N. 17, presso lo studio dell’avvocato GUGLIELMO CANTILLO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
COMUNE DI PALOMONTE, elettivamente domiciliato in ROMA, Piazza Cavour, presso la cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato VITO NICOLA CICCHETTI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2021/2018 della COMM. TRIB. REG. CAMPANIA SEZ. DIST. di SALERNO, depositata il 06/03/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/03/2021 dal Consigliere Dott. ANNA MARIA FASANO;
lette le conclusioni scritte del pubblico ministero in persona del sostituto procuratore generale Dott. DE AUGUSTINIS UMBERTO che ha chiesto il rigetto del ricorso;
RITENUTO
che:
Il Consorzio per l’area di sviluppo industriale di Salerno impugnava l’avviso di accertamento n. ***** relativo all’anno di imposta 2012, notificato in data 22 maggio 2015 dal Comune di Palomonte per omesso versamento dell’IMU, dovuta in relazione a terreni riportati in catasto al foglio *****, particelle nn. *****, *****, *****, *****, *****, *****. Il Consorzio deduceva, inter alia, di non essere tenuto al pagamento dell’imposta, usufruendo dell’agevolazione di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. a). La Commissione Tributaria Provinciale di Salerno, con sentenza n. 832/1/2016, accoglieva il ricorso ritenendo applicabile l’esenzione. Il Comune di Palomonte appellava la decisione, eccependo che il Consorzio ASI, in quanto ente pubblico, scontasse l’ICI al pari di un qualsiasi operatore commerciale ed industriale e, pertanto, non potesse godere dell’esenzione. La Commissione Tributaria Regionale della Campania, con sentenza n. 2021 del 2018, accoglieva parzialmente l’appello del Comune, ritenendo che i Consorzi ASI fossero per loro natura soggetti in via generale al pagamento dell’ICI/IMU e che l’esenzione prevista spettasse solo nel caso in cui gli immobili fossero destinati in maniera diretta ed immediata ad un funzione che poteva essere svolta esclusivamente dallo Stato o da altri Enti pubblici. Per tale ragione, concludeva considerando non dovuta la pretesa impositiva solo in relazione ad uno degli immobili gravati, in quanto di categoria E3, mentre con riferimento ad altro immobile dava atto che il pagamento era stato già in precedente richiesto.
Consorzio per l’area di sviluppo industriale di Salerno ricorre per la cassazione della sentenza, svolgendo tre motivi, illustrati con due memorie. Il Comune di Palomonte si è costituito con controricorso. La Procura Generale della Corte di Cassazione ha presentato memorie, concludendo per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. a), e della L. n. 289 del 2002, art. 31, comma 18, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto i giudici della Commissione Tributaria Regionale avrebbero erroneamente ritenuto che l’essere il Consorzio ASI un ente pubblico economico determinasse l’automatica esclusione dall’applicazione dell’esenzione ai fini ICI prevista dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. a). Si precisa che il Consorzio ASI di Salerno sarebbe, al pari di altri Consorzi per le aree di sviluppo industriale della Campania, un ente pubblico economico ed in particolare un’associazione tra enti locali ed enti pubblici, ai sensi della L.R. n. 16 del 1998, art. 2. Per tale ragione, trattandosi di una associazione tra enti pubblici, il Consorzio rientrerebbe tra le ipotesi di esenzione previste dal citato art. 7, anche in ragione della destinazione istituzionale delle aree oggetto di accertamento (l’industrializzazione delle aree ricadenti nel c.d. cratere del terremoto del 1980 nelle province di Avellino e Salerno, ai sensi della L. n. 219 del 1981), e della funzione svolta dal Consorzio stesso in relazione alle medesime aree.
2. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. a), nonchè del D.L. n. 548 del 1996, art. 5, comma 1, convertito dalla L. 20 dicembre 1996, n. 641, come sostituito dalla L. 7 agosto 1997, n. 266, art. 10, comma 5, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, atteso che i giudici di appello avrebbero omesso di considerare le funzioni pubblicistiche svolte dal Consorzio ASI nell’ambito territoriale del Comune di Palomonte in riferimento ai lotti oggetto di accertamento, ai sensi del Decreto di trasferimento del Ministero dell’Industria del 18 gennaio 1999, n. 5. La Commissione Tributaria Regionale avrebbe omesso di considerare che il Consorzio ASI provvede alla gestione delle aree industriali dei Comuni di *****, di *****, di ***** e di *****, realizzate in provincia di Salerno ai sensi della L. 14 maggio 1981, n. 219, art. 32 (la c.d. legge sulla ricostruzione delle aree terremotate dal sisma 1980). Ai Consorzi per le Aree Industriali competenti per territorio, per espressa disposizione legislativa, sono stati trasferiti gli impianti e le opere infrastrutturali realizzate nelle aree industriali, gli importi residui dei contributi assegnati in relazione ai predetti lotti nei limiti delle disponibilità esistenti, e l’esercizio delle funzioni amministrative relative al completamento degli insediamenti produttivi. Secondo il ricorrente, inoltre, la natura esclusivamente pubblicistica delle aree in questione si apprezzerebbe anche per altra e decisiva circostanza. L’assegnazione al Consorzio delle aree da trasferire ai soggetti beneficiari è avvenuta con la finalità di affidare una dotazione patrimoniale per l’esercizio di una attività di interesse pubblico.
Ne consegue che, in relazione a detta attività di esclusiva rilevanza pubblicistica, il Consorzio sarebbe sottoposto al controllo della Regione Campania, a seguito di delega del Ministero Industria Commercio ed Artigianato. Ai sensi del Reg. Regione Campania del 24 febbraio 2005, n. 2, art. 9, adottato in relazione alla L.R. 26 luglio 2002, n. 15, art. 18, recante la disciplina degli “Insediamenti produttivi ed aree industriali ai sensi della L. 14 maggio 1981, n. 219, art. 32”, i Consorzi ASI di Avellino e Salerno utilizzano i proventi derivanti dai residui contributi trasferiti, ai sensi della L. n. 266 del 1997, art. 10, comma 5, dal Ministero per le Attività Produttive e non riutilizzati, dalla locazione alla cessione dei lotti di cui alla L. 4 dicembre 1993, n. 493, art. 2, commi 4, 5, per la realizzazione delle opere necessarie al completamento degli insediamenti produttivi e delle infrastrutture e, in via residuale, per ulteriori iniziative finalizzate allo sviluppo delle aree L. 14 maggio 1981, n. 219, ex art. 32.
L’ente ricorrente argomenta che il ruolo svolto sui suoli oggetto degli accertamenti non sarebbe affatto commerciale; non si tratterebbe di un’attività economica organizzata diretta alla produzione o scambio di beni e servizi; non si realizzerebbero ricavi, ed, ai sensi e per gli effetti del Reg. Regione Campania del 24 febbraio 2005, n. 2, art. 9, tutte le somme di denaro in possesso dell’ASI non sarebbero nella sua libera disponibilità, ma depositate presso le banche con vincolo di destinazione finalizzato alla esclusiva utilizzazione per la realizzazione delle opere necessarie al completamento degli insediamenti produttivi e, in via residuale, per le ulteriori iniziative finalizzate allo sviluppo delle aree della L. n. 219 del 1981, ex art. 32.
3. Con il terzo motivo si denuncia omessa pronuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, atteso che i giudici di appello avrebbero omesso di pronunciarsi sulla errata individuazione della base imponibile delle aree oggetto di imposizione, così come specificamente contestato dal ricorrente sia in primo grado che nelle controdeduzioni in appello. I giudici di appello avrebbero correttamente escluso da tassazione il fabbricato riportato al foglio *****, part. ***** in quanto avente categoria ***** ed un altro per il quale era stato chiesto il pagamento, ma avrebbero espresso una motivazione apodittica e apparente, non riferendo nulla in ordine alle articolate censure proposte in relazione all’errato calcolo della base imponibile.
4. Il primo ed il secondo motivo di ricorso vanno trattati congiuntamente per connessione logica.
4.1. Le critiche non hanno pregio.
Questa Corte con sentenza n. 27086 del 2016 ha ribadito che l’esenzione prevista dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. a), per gli immobili posseduti dagli enti ivi indicati “destinati esclusivamente ai compiti istituzionali”, spetta soltanto se l’immobile è direttamente e immediatamente destinato allo svolgimento di tali compiti, previa verifica che l’attività cui l’immobile è destinato, pur rientrando tra quelle esenti, non sia svolta con le modalità di un’attività commerciale. A tale principio si intende dare continuità.
Ai sensi della L. n. 317 del 1992, art. 36, comma 4, “I consorzi di sviluppo industriale, costituiti ai sensi della vigente legislazione nazionale e regionale sono enti pubblici economici” spettando alle Regioni soltanto il controllo sui piani economici e finanziari dei Consorzi.
Questa Corte (cfr. Cass. SS.UU. n. 14293 del 2010; Cass. n. 12797 del 2016) ha chiarito i limiti entro i quali i Consorzi ASI assolvono finalità di natura pubblicistica, restando per il resto detti enti soggetti alla normativa generale riguardante gli enti aventi finalità lucrativa.
In particolare, si è precisato che per sottrarsi all’obbligo del pagamento dell’ICI, sono necessari due requisiti: che gli immobili posseduti dai consorzi siano destinati esclusivamente all’espletamento di compiti istituzionali e che gli enti consorziati siano individualmente esenti dall’imposta. La L. n. 289 del 2002, art. 31, comma 18, norma di natura interpretativa, stabilisce testualmente che: “l’esenzione degli immobili destinati ai compiti istituzionali posseduti dai consorzi tra enti territoriali, prevista dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 7, comma 1, lett. a), ai fini dell’imposta comunale sugli immobili, deve intendersi applicabile anche ai consorzi tra enti territoriali e tra enti che siano individualmente esenti ai sensi della stessa disposizione”.
Pertanto la presenza di soggetti non individualmente esenti, tra i soggetti consorziati, si pone in contrasto oggettivo con la norma interpretativa, trattandosi di un requisito di natura soggettiva, e preclude l’esenzione dall’imposta per gli immobili posseduti, a prescindere dalla destinazione degli stessi.
E’ onere del consorzio dimostrare tali circostanze e, soprattutto, dimostrare se l’immobili oggetto di imposizione siano esclusivamente destinati all’espletamento di compiti istituzionali o se, invece, rientrino nell’esercizio dell’ordinaria attività industriale e commerciale e, quindi, soggetti a ICI al pari di qualsiasi operatore commerciale (Cass. n. 26575 del 2018).
4.2. Le argomentazioni illustrate nello sviluppo illustrativo dei motivi insistono sulla natura di ente pubblico del Consorzio ASI in ragione dello svolgimento di attività aventi finalità pubblica e nello specifico (tra queste) l’industrializzazione delle aree ricadenti nel c.d. cratere del terremoto del 1980 nelle province di Avellino e Salerno.
Come si è detto, tale circostanza non è dirimente, tenuto conto che il Consorzio è onerato dell’obbligo di allegare e provare che gli immobili siano destinati in modo esclusivo a compiti istituzionali dell’ente.
Nella fattispecie, l’ente ricorrente, seppure argomentando sul ruolo istituzionale svolto, ha omesso di chiarire in ricorso, nè tale circostanza di fatto risulta dalla motivazione della sentenza impugnata, in che modo gli immobili (e soprattutto quali degli immobili oggetto di accertamento) siano utilizzati concretamente per compiti istituzionali.
Il Consorzio afferma, inoltre, di essere un ente pubblico economico e “segnatamente un’Associazione tra enti locali ed enti pubblici” ma omette di precisare quali enti compongono l’Associazione e se vi siano nell’Associazione enti individualmente esenti dall’imposta.
L’ente deduce, con memorie (v. anche memoria di replica alle conclusioni del P.G.), che nel periodo d’imposta di cui si discute nessun istituto di credito faceva parte della compagine statutaria del Consorzio ASI di Salerno, ma non risulta essere stato precisato, neppure nel corso del giudizio di merito (ciò in ossequio al principio di autosufficienza) se il consorzio comprendeva enti individualmente esenti ai sensi della stessa disposizione.
4.3. Questa Corte con ordinanza n. 4997 del 2020 ha recentemente affrontato la questione relativa all’applicabilità dell’esenzione ICI ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. a), nell’ambito di un giudizio che ha riguardato proprio le stesse parti.
Il principio enunciato, che si condivide, afferma l’inapplicabilità della clausola di esenzione di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. a), che, per sua natura è norma di stretta interpretazione, avendo natura derogatoria di previsioni impositive generali e, che, pertanto, è applicabile agli immobili posseduti dallo Stato e da altri enti pubblici ivi elencati destinati esclusivamente ai compiti istituzionali.
Si è affermato, infatti, che: “non potendosi identificare il concetto di finalità istituzionali, che sono proprie dell’ente locale e che costituiscono la ragione d’essere dello stesso, con quello di servizi pubblici, che, invece, non rientrano tra i compiti istituzionali e possono essere svolti anche tramite altri soggetti, come le aziende municipalizzate od altri enti o società, ne consegue che detti soggetti, svolgendo attività commerciali, non hanno ragione di godere dell’esenzione”.
5. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile per difetto di decisività.
Questa Corte ha, in più occasioni, precisato che: “affinchè possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronuncia, è necessario, da un lato, che al giudice del merito fossero state rivolte una domanda o un eccezione autonomamente apprezzabili e, dall’altro, che tali domande o eccezioni siano state riportate puntualmente, nei loro esatti termini, nel ricorso per cassazione, per il principio dell’autosufficienza, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo o del verbale di udienza nei quali le une o le altre erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primo luogo, la ritualità e la tempestività e, in secondo luogo, la decisività” (Cass. n. 5344 del 2013).
Ciò in quanto, nel caso di denuncia, in sede di ricorso per cassazione, del vizio di omessa pronuncia, è necessaria l’illustrazione del carattere decisivo della prospettata violazione, dimostrando che ha riguardato una questione astrattamente rilevante, posto che, altrimenti, si dovrebbe cassare inutilmente la decisione gravata (Cass. n. 16102 del 2016).
Il ricorrente si limita a denunciare genericamente di avere contestato sia in prime cure, e alle pag. 12 e 13 delle controdeduzioni in appello, la non corretta determinazione della base imponibile, articolando specifiche critiche, omettendo però di illustrare in ricorso, al fine di valutare il carattere decisivo della prospettata violazione, quali siano state le articolate e dettagliate censure proposte in ordine alla errata determinazione della base imponibile.
Il semplice rinvio alle controdeduzioni in appello (il cui contenuto non è stato neppure riportato in ricorso in ossequio al principio di autosufficienza), non consente al giudice di legittimità di apprezzare la decisività del motivo, tenuto conto che nello specie non di “aree” si tratta ma di immobili regolarmente accatastati, circostanza ritualmente eccepita dal Comune di ***** con controricorso, il quale ha precisato che “non si verte in materia di aree ma di immobili, opifici industriali, di proprietà del consorzio ASI, regolarmente accatastati ai sensi del D.M. n. 18 gennaio 1999, con categoria D1”.
Ne emerge all’evidenza la genericità delle doglianze, che non sono state neppure riferite ai specifici beni oggetto di accertamento.
6. In definitiva, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte soccombente al rimborso delle spese di lite che liquida in complessivi Euro 1.500, 00 per compensi, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello pagato, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale effettuata da remoto, il 16 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2021