LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente –
Dott. PAOLITTO Liberato – rel. Consigliere –
Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –
Dott. FILOCAMO Fulvio – Consigliere –
Dott. BOTTA Raffaele – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22649-2017 proposto da:
COMUNE DI GAETA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CICERONE 66, presso lo studio dell’avvocato GIANCARLO CAPOZZI, rappresentato e difeso dall’avvocato DANIELA PICCOLO;
– ricorrente –
e contro
SOES SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA EMILIA 81, presso lo studio dell’avvocato STEFANO MONTI, rappresentato e difeso dall’avvocato CHRISTIAN LOMBARDI;
– resistente –
avverso la sentenza n. 704/2017 della COMM. TRIB. REG. LAZIO, depositata il 20/02/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/01/2021 dal Consigliere Dott. LIBERATO PAOLITTO.
RILEVATO
che:
1. – con sentenza n. 704/2017, depositata il 20 febbraio 2017, la Commissione tributaria regionale del Lazio ha rigettato l’appello proposto dal Comune di Gaeta, così integralmente confermando il decisum di prime cure recante annullamento di un avviso di accertamento relativo alla TARSU dovuta dalla contribuente per l’anno 2006;
– il giudice del gravame ha condiviso le conclusioni cui era già pervenuta la Commissione tributaria provinciale, – secondo la quale “l’area adibita a parcheggio non era tecnicamente nella disponibilità e detenzione della ricorrente, la quale non poteva qualificarsi come società concessionaria, visto che essa si era contrattualmente impegnata solo alla prestazione di un servizio”, – così escludendo, nella fattispecie, la ricorrenza del presupposto impositivo in quanto la contribuente non era “concessionaria dell’area adibita a parcheggio ma è solo gestrice di un servizio”;
– ha soggiunto la Commissione tributaria regionale che, per di più, “l’attività di parcheggio delle automobili è inidonea alla produzione di rifiuti, aspetto questo non contraddetto dalla presenza umana in dette aree, visto che i conducenti, dopo aver parcheggiato, non potrebbero abbandonare rifiuti sulla pubblica via per effetto del divieto previsto dall’art. 15 C.d.S.”;
2. – il Comune di Gaeta ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di due motivi;
– Soes S.p.a. non ha svolto attività difensiva, ed ha depositato memoria in prossimità dell’adunanza camerale.
CONSIDERATO
che:
1. – col primo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente denuncia l’infondatezza della gravata sentenza per violazione “della… normativa menzionata” da esso esponente nei propri scritti difensivi, assumendo che le conclusioni cui era pervenuto il giudice del gravame collidevano con precedenti giurisprudenziali, di merito e di legittimità, – alla cui stregua la contribuente era stata ritenuta soggetto passivo del tributo perchè “a tutti gli effetti detentore dell’area, – ed esponevano “una carenza motivazionale assoluta”;
– con un secondo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, il ricorrente deduce la nullità della sentenza in ragione di una incomprensibilità del decisum reso ancor più esplicito dal riferimento (improprio) operato (in motivazione) “All’accoglimento dell’appello”;
2. – in via pregiudiziale, va rilevata l’inammissibilità della memoria depositata dall’intimata, – atto, questo, che nemmeno risulta notificato, – posto che nel procedimento camerale di cui all’art. 380 bis1 c.p.c., introdotto dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1 bis, conv. con modif. dalla L. n. 197 del 2016, e con riferimento ai giudizi proposti con ricorso depositato successivamente all’entrata in vigore della predetta legge di conversione, dall’omessa tempestiva notifica del controricorso consegue la preclusione dell’art. 370 c.p.c. (v. Cass., 29 ottobre 2020, n. 23921; Cass., 12 dicembre 2019, n. 32724; Cass., 18 aprile 2019, 10813; Cass. Sez. U., 10 aprile 2019, n. 10019; Cass. 28 febbraio 2019, n. 5798);
3. – tanto premesso rileva la Corte che il primo motivo di ricorso non può trovare accoglimento;
3.1 – in disparte la tecnica di redazione del ricorso che rinvia, in termini inammissibili, a deduzioni e difese articolate nei gradi di merito del giudizio, occorre premettere che il decisum della gravata sentenza si fonda, com’è inequivoco, su di uno specifico, e motivato, accertamento in fatto che, – nei medesimi termini già svolto dal giudice del primo grado, – ha avuto ad oggetto la natura del servizio in affidamento alla concessionaria e, al contempo, l’esclusione del presupposto impositivo della TARSU che, a sua volta, implica “l’occupazione o la detenzione di locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti”;
3.2 – a fronte di un siffatto accertamento non ricorre, dunque, la denunciata violazione di legge in quanto, come affermato dalla Corte con risalente e consolidato orientamento interpretativo, il presupposto impositivo della TARSU è costituito dalla disponibilità dell’area produttrice di rifiuti e, dunque, la tassa è dovuta unicamente per il fatto di occupare o detenere locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti, ad eccezione di quelle pertinenziali o accessorie ad abitazione (Cass., 9 marzo 2020, n. 6551; Cass., 23 maggio 2019, 14037; Cass., 14 settembre 2016, n. 18054; Cass., 23 settembre 2004, n. 19173; Cass., 18 dicembre 2003, n. 19459); laddove la stessa giurisprudenza evocata dal ricorrente ha rimarcato siffatta identificazione del presupposto di imposta, statuendo che, ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, è indifferente il contenuto e l’esistenza stessa del titolo, giuridico o di fatto, in base al quale un’area od un locale siano occupati o detenuti in quanto la Tarsu deve essere corrisposta per il solo fatto oggettivo della occupazione o della detenzione (Cass., 23 gennaio 2004, n. 1179 cui adde Cass., 13 marzo 2015, n. 5047, in motivazione; Cass., 16 maggio 2012, n. 7654; principio ribadito, tra le altre, da Cass., 17 dicembre 2020, n. 29020; Cass., 16 maggio 2019, n. 13185);
3.3 – ciò che, per vero, il ricorrente finisce col denunciare, – giustappunto evocando la diversa fattispecie concreta definita da un precedente della Corte (Cass., 25 luglio 2012, n. 13100), – è la ricorrenza del cennato presupposto impositivo; doglianza questa che involge, però, – piuttosto che la denunciata violazione di legge, l’accertamento in fatto operato dal giudice del gravame e che, pertanto, andava svolta nei termini (e nei limiti) predicati dal controllo di legittimità su di un siffatto erroneo accertamento (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5);
4. – anche il secondo motivo di ricorso è destituito di fondamento posto che il riferimento, in motivazione, “All’accoglimento dell’appello” integra un mero refuso materiale, così come reso esplicito dalla chiara ratio decidendi, sottesa alla pronuncia di rigetto, di cui sopra s’è dato conto;
5. – avuto riguardo alla rilevata inammissibilità dell’attività difensiva svolta da parte intimata, non va assunta alcuna statuizione in punto di disciplina delle spese del giudizio di legittimità, mentre nei confronti del ricorrente sussistono i presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, se dovuto (D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater).
PQM
La Corte:
rigetta il ricorso;
ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio tenuta da remoto, il 22 gennaio 2021.
Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2021