LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –
Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –
Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19518/2019 R.G. proposto da:
G.G., rappresentato e difeso dall’avv. Vanila Amoroso, elettivamente domiciliato presso il suo studio in Palermo, via Catania, n. 42.
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato.
– controricorrente –
Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione n. 03, n. 2682/03/19, pronunciata l’11/02/2019, depositata il 07/05/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 aprile 2021 dal Consigliere Riccardo Guida.
RILEVATO
che:
1. Con distinti ricorsi G.G., titolare di un’agenzia di pompe funebri, impugnò gli avvisi di accertamento che recuperavano a tassazione, ai fini IRPEF, IRAP, IVA, per le annualità 2010 e 2011, maggiori redditi non dichiarati;
2. la Commissione tributaria provinciale di Palermo (con le sentenze nn. 4006/2016 e 4007/2016) accolse entrambi i ricorsi, sul rilievo del difetto di motivazione degli avvisi;
3. la Commissione tributaria regionale (“CTR”) della Sicilia, riuniti gli atti di gravame dell’ufficio, con la pronuncia menzionata in epigrafe, ha accolto gli appelli, per quanto qui interessa, reputando, innanzitutto, che gli avvisi di accertamento analitico induttivo erano del tutto autosufficienti, benchè ad essi non fossero allegati taluni dei questionari inviati ai clienti, quali atti privi di concreto rilievo; in secondo luogo, che il contribuente, gravato del relativo onere probatorio, trattandosi, appunto, di accertamento analitico induttivo e non di accertamento induttivo “puro”, non aveva provato la ricorrenza di costi, il che impediva la loro deducibilità dall’imponibile;
4. il contribuente ricorre con tre motivi, illustrati con una memoria, e l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
CONSIDERATO
che:
a. preliminarmente, va disattesa l’eccezione del ricorrente, formulata nella memoria depositata in prossimità della camera di consiglio di questa Corte, d’inammissibilità del controricorso dell’Agenzia in quanto il legale che lo ha redatto (avv. Giovanni Palatiello) non risulta iscritto nel registro degli avvocati abilitati dinanzi alle giurisdizioni superiori e quindi nell’albo degli avvocati cassazionisti. A tale proposito, non si può dimenticare che gli avvocati dello Stato esercitano le loro funzioni innanzi a tutte le giurisdizioni e in qualunque sede e non hanno bisogno di mandato, neppure nei casi nei quali le norme ordinarie richiedono il mandato speciale, bastando che consti della loro qualità (R.D. n. 1611 del 1933, art. 1, comma 2);
1. con il primo motivo di ricorso (“1) Violazione e/o falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.”), il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere ritenuto sufficientemente motivato l’avviso di accertamento motivato per relationem a un PVC che, a sua volta, rinviava ad ulteriori documenti (i questionari dei clienti) che non erano stati allegati nè al PVC nè all’avviso di accertamento;
2. con il secondo motivo (“2) Violazione della L. n. 241 del 1990 della Costituzione, art. 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.”), il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere ritenuto sufficientemente motivato l’avviso di accertamento motivato per relationem non già al PVC, ma ad atti (i questionari dianzi citati e la comunicazione del Comune di Palermo contenente l’elenco dei servizi funebri) richiamati nel PVC e non comunicati o notificati all’interessato, che non ne era mai stato messo a conoscenza;
3. con il terzo motivo (“3) Violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 39, comma 2, lett. d, e dell’art. 2967 c.c. in relazione all’art. 360, n. 5, per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.”), il ricorrente assume che la CTR, per mera svista, non avrebbe rilevato che (in relazione a ciascun avviso) si trattava di un accertamento induttivo “puro” e non di un accertamento analitico induttivo; indi, ascrive alla CTR l’erronea valutazione del principio dispositivo della prova che l’ha indotta ad affermare contra legem che spettasse al contribuente dimostrare i costi, ai fini della loro deduzione dall’imponibile, senza considerare che, al contrario, per giurisprudenza costante, in caso di rettifica induttiva del reddito, alla ricostruzione dei ricavi deve corrispondere un’incidenza percentualizzata dei costi;
4. il primo e il secondo motivo, suscettibili d’esame congiunto per connessione, non sono fondati;
4.1. a prescindere dall’ipotizzabile inammissibilità delle censure, in mancanza di trascrizione, nel testo del ricorso per cassazione, dei passi salienti degli avvisi, motivati per relationem, comunque, vale a sciogliere il nodo della critica l’orientamento consolidato di questa Corte, che il Collegio fa proprio, in base al quale l’onere dell’ufficio di mettere in grado il contribuente, attraverso la motivazione dell’atto impositivo, di conoscere le ragioni della pretesa tributaria, può essere assolto per relationem mediante il riferimento a elementi offerti da altri documenti conosciuti o conoscibili dal destinatario, come il PVC della Guardia di finanza notificato o consegnato al contribuente. In tale prospettiva non v’è motivo di non riconoscere anche l’ammissibilità di una doppia motivazione per relationem laddove anche il PVC a sua volta faccia rimando a documenti in possesso o comunque conosciuti o agevolmente conoscibili dal contribuente (Cass. 24/11/2017, n. 28060; 12/12/2018, n. 32127; 25/01/2021, n. 593). Nella specie, la CTR (cfr. pag. 4 della decisione) ha ritenuto “autosufficienti” gli accertamenti che richiamavano i PVC, che il contribuente non nega di avere conosciuto, in cui erano trascritti i dati sui servizi funebri comunicati dal Comune di Palermo. D’altro canto, con un accertamento di fatto non attinto da specifica censura, la sentenza impugnata afferma che sono privi di rilievo, ai fini del decidere, alcuni questionari inviati ai clienti, non allegati agli atti impositivi. Sul punto è anche il caso di rimarcare che il contribuente neppure allega di non avere potuto conoscere agevolmente il contenuto degli atti (questionari etc.) acquisiti dall’ufficio nell’ambito della verifica fiscale;
5. il terzo motivo non è fondato;
in disparte la prospettabile inammissibilità della doglianza, “coacervata” ben oltre i limiti stabiliti dalle Sezioni unite (Cass. Sez. U. 06/05/2015, n. 9100), a causa del generico, perplesso, cumulativo riferimento all’omesso esame di un fatto decisivo e alla violazione di norme di diritto, la circostanza che, per ciascuna annualità, sia stato operato un accertamento analitico induttivo, oltre ad essere affermata dalla C.T.R., si evince direttamente dagli scritti difensivi delle parti: da un lato, (cfr. pag. 10 del ricorso) il ricorrente dichiara che il controllo dei verificatori si era basato, tra l’altro, sul riscontro della contabilità aziendale; dall’altro, (cfr. pag. 2 del controricorso) l’Agenzia riferisce che il controllo della Guardia di finanza poggiava sul riscontro tra la contabilità aziendale e gli elenchi del Comune di Palermo contenenti il numero di servizi funebri svolti dalla ditta del ricorrente (incrociati con i questionari inviati ai clienti, contenuti negli stessi elenchi);
la decisione della CTR, che ha escluso la deducibilità dei costi non provati dal contribuente, gravato del relativo onere probatorio, è in linea con l’indirizzo nomofilattico per il quale “in tema di imposte sui redditi, l’Amministrazione finanziaria deve riconoscere una deduzione in. misura percentuale forfettaria dei costi di produzione soltanto in caso di accertamento induttivo “puro” D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 2, mentre in caso di accertamento analitico o analitico presuntivo è il contribuente ad avere l’onere di provare l’esistenza di costi deducibili, afferenti ai maggiori ricavi o compensi, senza che l’Ufficio possa, o debba, procedere al loro riconoscimento forfettario (Cass. n. 22868/2017).” (Cass. 25/01/2021, n. 1528);
6. le spese del giudizio di cassazione sono regolate in dispositivo.
PQM
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a corrispondere all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 27 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2021