LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele Gaetano Antonio – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –
Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 25639/2018 proposto da:
RIO SNC, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA MAZZINI N. 8, presso lo studio dell’avvocato CRISTINA LAURA CECCHINI, rappresentato e difeso dall’avvocato MARCELLO CANTONI, del foro di Forlì;
– ricorrente –
contro
DITTA OG DI B.O. E G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA GIULIANA, 44, presso lo studio dell’avvocato STEFANO SANTAROSSA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALESSANDRO SINTUCCI;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1626/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 27/06/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 03/02/2021 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI.
RILEVATO
che:
1. La RIO s.n.c. propone ricorso per cassazione, con atto notificato il 27/8/2018, affidato ad un unico motivo, illustrato da memoria, avverso la sentenza n. 1626/2018 della Corte d’Appello di Bologna, depositata il 27/6/2018. Con controricorso, illustrato da memoria, notificato in data 8/10/2018 resiste la O.G. di B.O. e G. s.s. (già s.n.c. con la medesima denominazione).
2. Per quanto ancora rileva, con sentenza n. 255/2017, il Tribunale di Forlì dichiarava la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento della conduttrice RIO s.n.c., con condanna della medesima al pagamento in favore della locatrice O.G. s.n.c. dei canoni locativi non corrisposti per l’importo di Euro 56.563,68, nonchè al risarcimento del danno arrecato all’immobile per Euro 8.264,00, oltre alla rifusione delle spese di lite.
3. Avverso la sentenza di prime cure, nel luglio 2017 ha proposto appello la società RIO contestando il rigetto della domanda riconvenzionale di risarcimento dei danni patiti in conseguenza della mancata esecuzione da parte della locatrice delle opere di manutenzione straordinaria del fabbricato. Con la sentenza in questa sede impugnata, la Corte d’Appello di Bologna ha dichiarato inammissibile il gravame in quanto risultava provato per via documentale che la società appellante fosse stata cancellata dal registro delle imprese per cessazione dell’attività in data 6/7/2016 e, pertanto, si era estinta con conseguenziale perdita della capacità di stare in giudizio; ha condannato la società conduttrice al pagamento delle spese di lite.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.. Le parti hanno depositato memorie, mentre il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni.
CONSIDERATO
che:
1. Con l’unico motivo di ricorso si denuncia “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) in relazione al disposto del D.P.R. 23 luglio 2004, n. 247, art. 3 e art. 110 c.p.c.”. La sentenza viene censurata là dove ha ritenuto provata l’intervenuta cancellazione della RIO s.n.c. dal registro delle imprese e, per l’effetto, ha dichiarato inammissibile l’appello spiegato dalla società qui ricorrente, sulla base di una erronea interpretazione della visura RR.II. prodotta dalla società appellata. Difatti, dalla visura camerale emergerebbe che la società RIO prodotta in causa, trascritta nel ricorso, da cui si evince che la società sia regolarmente iscritta al Registro Imprese, per quanto “inattiva”, mentre la dicitura “cancellata per cessazione attività” sarebbe riferita alla cessazione della sola attività artigiana e alla iscrizione all’Albo delle imprese artigiane. Parte resistente adduce l’inammissibilità del motivo in quanto il vizio di violazione di legge sarebbe stato erroneamente prospettato dalla ricorrente, poichè nel caso di specie vi sarebbe stata, semmai una lettura errata e/o parzialmente omessa (che poi errata non sarebbe) di un documento di causa, ossia la visura camerale della società ricorrente (v., in particolare, memoria, p. 7).
2. Il motivo è fondato.
3. Quanto alla questione processuale sollevata dalla controricorrente, si osserva che il motivo denuncia un vizio di sussunzione, cioè di falsa applicazione della legge e, dunque, dalla ricorrente correttamente è stato evocato dell’art. 360 c.p.c., n. 3; quanto alla indicazione delle norme di diritto, in disparte ogni valutazione sulla correttezza del richiamo al D.P.R. n. 247 del 2004, art. 3, assume rilievo il seguente principio di diritto enunciato nel precedente reso da Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12929 del 04/06/2007 (Rv. 597308 – 01): “L’indicazione, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4, delle norme che si assumono violate non si pone come requisito autonomo ed imprescindibile ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, ma come elemento richiesto al fine di chiarire il contenuto delle censure formulate e di identificare i limiti della impugnazione, sicchè la mancata od erronea indicazione delle disposizioni di legge non comporta l’inammissibilità del gravame ove gli argomenti addotti dal ricorrente, valutati nel loro complesso, consentano di individuare le norme o i principi di diritto che si assumono violati e rendano possibile la delimitazione del “quid disputandum” “(v. per tutte Sez. U., Sentenza n. 17931 del 24/07/2013; Sezioni Unite: N. 9652 del 2001 Rv. 548244 – 01).
4. Nel caso di specie, il giudice di secondo grado è incorso nel vizio di falsa applicazione di legge, per avere erroneamente sussunto la fattispecie in esame, riguardante la cancellazione dall’albo delle imprese artigiane per cessazione dell’inattività, entro la diversa cornice della cancellazione della società di persone, essendo il fatto della inattività indicato nella visura camerale prodotta del tutto diverso dalla cancellazione della società dal registro delle imprese, considerate anche le disposizioni del D.P.R. n. 247 del 2004, in tema di cancellazione d’ufficio dal Registro delle imprese delle società di persone per le quali risulti il mancato compimento di atti di gestione per tre anni consecutivi, disposizioni che di per sè sono idonee ad integrare, anche a fini interpretativi generali, le previsioni ex art. 2275 c.c., in tema di scioglimento della società.
5. Pertanto, è evidente che vi sia stato un erroneo inquadramento della fattispecie de qua entro la cornice della cancellazione societaria, quando invece la società era solo in uno stato di inattività e risultava ancora iscritta nel registro delle imprese (cfr. Cass., Sez. 5 -, Sentenza n. 23851 del 25/9/2019, quanto all’errore di sussunzione in termini di errore di diritto). E, in effetti, dalla visura estratta dal Registro Imprese in data 11/1/2018, riprodotta nel ricorso (p. 11-15), nonchè depositata in questa sede, la società RIO s.n.c. risulta iscritta nel registro delle imprese come “impresa inattiva”, situazione che ha comportato la formale indicazione che alla data del 16/09/2016 è stata cancellata per cessazione dell’attività artigiana, a partire dal 6/7/2016, dall’Albo delle Imprese Artigiane.
6. Sicchè, la Corte d’appello ha erroneamente ritenuto che la cancellazione della società di persone dall’albo delle imprese artigiane, in relazione alla sua inattività, abbia determinato l’estinzione della società stessa, privandola della capacità di stare in giudizio, con le conseguenze processuali indicate – inter alios – dalla sentenza n. 6070/2013 delle Sezioni Unite, per cui l’impugnazione, spiegata nel luglio 2017, doveva ritenersi inammissibile (cfr. sentenza impugnata: p. 4, 5 – 6 cpv.), in applicazione dei principi in tema di effetti processuali della cancellazione della società, anche di persone, che prevedono che l’impugnazione deve provenire o essere indirizzata, a pena d’inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci, atteso che la stabilizzazione processuale di un soggetto estinto non può eccedere il grado di giudizio nel quale l’evento estintivo è occorso” (Sez. 1 -, Ordinanza n. 28658 del 15/12/2020; Cass., Sez. U., Sentenza n. 6070 del 12/3/2013; succ. in senso conforme, Cass., Sez. 3 -, Ordinanza n. 25869 del 16/11/2020; Sez. L -, Sentenza n. 19580 del 4/8/2017; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 25275 del 28/11/2014).
7. Di contro, la società inattiva, ma non cancellata dal registro delle imprese, che si ha nella situazione in cui la società, per quanto esistente, non è operativa sotto il profilo gestionale, non può determinare gli effetti estintivi e successori considerati con la cancellazione dal registro delle imprese, recte con la iscrizione della cessazione della società nel registro delle imprese. Ed invero, la disciplina di cui all’art. 2495 c.c. (nel testo introdotto dal D.Lgs. n. 6 del 2003, art. 4), secondo la quale l’iscrizione della cancellazione delle società di capitali e delle cooperative dal registro delle imprese, avendo natura costitutiva, estingue le società, anche se sopravvivono rapporti giuridici dell’ente, è estesa alle società di persone quanto agli effetti estintivi, mentre lo stesso discorso non vale per il solo imprenditore individuale, il quale non si distingue dalla persona fisica che compie l’attività imprenditoriale, sicchè l’inizio e la fine della qualità di imprenditore non sono subordinati alla realizzazione di formalità, ma all’effettivo svolgimento o al reale venir meno dell’attività imprenditoriale (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 98 del 07/01/2016; Sez. 3, Sentenza n. 21714 del 23/09/2013 Cass. 4 maggio 2011, n. 9744).
8. Nelle società di persone, in effetti, è l’atto di cancellazione dal registro delle imprese a provocare il medesimo effetto estintivo definito per le società di capitali nell’art. 2495 c.c., posto che, nell’ipotesi di semplice inattività, l’organizzazione sociale è in grado di sopravvivere, entro determinati limiti temporali, anche ai suoi soci, ex art. 2272 n. 4 c.c. (v. anche Cass., Sez. Un., Sentenza n. 6070 del 12/3/2013; Cass. S.U. n. 4060/2010; Cass. S. Un. 4061/10).
9. Tuttavia, l’annotazione della società di persone nel registro delle imprese, a differenza della società di capitali ove l’iscrizione nel registro ha valore costitutivo, per la società di persone conserva invece effetto dichiarativo, formando quindi una presunzione di estinzione (o di esistenza) anche là dove perdurino (o non perdurino) rapporti od azioni concernente il sodalizio (Cass., Sez. U., Sentenza n. 6070 del 12/3/2013; cass. S.U. n. 4060/2010; Cass. S.U. n. 4061/10).
10. Tornando al caso in questione, non essendo all’epoca dell’impugnazione decorso il triennio per la cancellazione d’ufficio della società dal registro delle imprese ex D.P.R. n. 247 del 2004, che pur deve essere dichiarata dall’ufficio competente affinchè si determinino de plano gli effetti estintivi considerati, ne consegue che deve presumersi che la società di persone, pur risultando all’epoca inattiva, ma tuttavia ancora iscritta nel registro delle imprese, al tempo dell’impugnazione non aveva perso la propria capacità processuale, nè i soci avrebbero potuto succedere nella sua posizione, mancando un formale atto di cancellazione nel registro delle imprese.
11. Il ricorso va pertanto accolto; per l’effetto, la sentenza è cassata con rinvio alla Corte d’appello di Bologna, anche per il regolamento delle spese del presente procedimento.
P.Q.M.
La Corte, in accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Bologna anche per le spese.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 3 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2021