Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.18326 del 25/06/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5153-2015 proposto da:

L.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL TRITONE 169, presso lo studio dell’avvocato LILIANA CURTILLI, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

EQUITALIA SUD SPA;

– intimato –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, DIREZIONE PROVINCIALE I ROMA UFFICIO LEGALE –

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 4436/2014 della COMM. TRIB. REG. LAZIO, depositata il 03/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 02/12/2020 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FEDERICI.

RILEVATO

che:

L.C. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 4436/14/14, depositata il 3.07.2014 dalla Commissione tributaria regionale del Lazio, con la quale, confermando la decisione del giudice di primo grado, era stato rigettato il ricorso introduttivo del contribuente avverso la cartella di pagamento, con la quale era richiesto il versamento di Euro 39.103,68 a titolo di maggiori imposte per gli anni 1996 e 1997. Ciò sul presupposto della mancata impugnazione dei prodromici avvisi di accertamento.

Il ricorrente ha riferito di non aver mai avuto conoscenza degli avvisi di accertamento, che l’Agenzia delle entrate gli aveva notificato nelle forme dell’art. 140 c.p.c., per presunti maggiori redditi da partecipazione nella società M.T. di C.L. & C. snc (a sua volta destinataria di altri due avvisi di accertamento per redditi induttivamente accertati). Poichè dalle copie estratte presso il competente Ufficio erano emersi vizi di notificazione che spiegavano la loro mancata ricezione, aveva proposto ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma avverso le cartelle e gli avvisi di accertamento, e querela di falso delle firme apposte sulle cartoline di ricevimento e di falsità delle relate di notifica dei medesimi avvisi dinanzi al Tribunale civile di Roma.

Sospeso il processo tributario in attesa della decisione del giudice civile, questo con sentenza del 3/12/2010 n. 23308 aveva rigettato la querela di falso. Il processo tributario era stato quindi ripreso e definito dalla Commissione provinciale con il rigetto del ricorso. Parimenti era stato rigettato l’appello dalla Commissione tributaria regionale del Lazio con la pronuncia ora al vaglio della Corte. Il giudice d’appello, stante il rigetto della querela di falso, ha ritenuto che tutti gli avvisi di accertamento, indirizzati alla società ed al socio, fossero stati ritualmente notificati, acquistando così carattere di definitività per non essere mai stati impugnati, con conseguente regolare emissione della cartella di pagamento.

Il ricorrente ha censurato la sentenza con due motivi:

con il primo per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 655 del 1982, e del D.M. 9 aprile 2001, nonchè dell’art. 140 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè, non avendo compreso che la sentenza del tribunale di Roma aveva rigettato la querela di falso senza tuttavia escludere motivi di invalidità delle notifiche degli avvisi di accertamento, il giudice regionale non ha tenuto conto che le notifiche erano viziate alla luce della disciplina applicabile;

con il secondo motivo per nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per non essersi pronunciato sulla eccepita decadenza dell’Ufficio dal potere accertativo, relativamente all’anno d’imposta 1996.

Ha dunque chiesto la cassazione della sentenza, senza rinvio e con liquidazione delle spese.

L’Agenzia delle entrate si è costituita al solo fine della eventuale partecipazione all’udienza pubblica. L’Agente della riscossione, cui pure risulta ritualmente notificato il ricorso, non ha inteso costituirsi.

Nell’adunanza camerale del 2 dicembre 2020 la causa è stata trattata e decisa.

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo il ricorrente sostiene l’erroneità della decisione del giudice regionale perchè la sentenza di rigetto della querela di falso, pronunciata dal Tribunale di Roma, non escludeva l’esistenza di vizi delle notifiche, alla luce della normativa di riferimento, invalidità sulle quali la Commissione regionale avrebbe dovuto soffermarsi.

Il motivo è inammissibile perchè, ontologicamente distinguendosi dalla querela per falsità della sottoscrizione, di esso non riferisce se fosse stato già formulato in primo grado e in sede d’appello; nè della documentazione che lo supporta, riprodotta in fotocopia nel presente ricorso, il ricorrente dice se e in quale atto processuale del giudizio d’appello fosse stata allegata, così violando il principio di autosufficienza. In ogni caso esso è infondato, sebbene la motivazione della sentenza d’appello vada corretta ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 4.

La decisione censurata è sorretta dalla considerazione che, rigettata la querela di falso del ricorrente, le notifiche degli avvisi di accertamento erano state corrette e gli atti impositivi, pervenuti nella sfera di conoscibilità del contribuente-destinatario e mai impugnati, erano divenuti pertanto definitivi. E tuttavia la decisione con la quale il Tribunale di Roma ha rigettato la querela di falso, riprodotta nel ricorso, non ha rigettato la domanda perchè infondata, ma, evidenziando che l’illegittimità della grafia rendeva impossibile operare un collegamento tra la sottoscrizione risultante sull’avviso di ricevimento e la persona del destinatario o di un suo famigliare, ha ritenuto impraticabile il rimedio della querela di falso, con ciò escludendo l’interesse alla proposizione della relativa azione, ferma la possibilità d’indagine sugli elementi di invalidità della notifica medesima. In altri termini il giudice civile ha rigettato la domanda per carenza d’interesse, ma, non riconoscendo la sottoscrizione del querelante o di suoi famigliari, non ha riconosciuto la regolarità della notifica, la cui indagine, afferma dunque il ricorrente, resta intonsa e oggetto del ricorso dinanzi al giudice tributario proprio ai fini dell’accertamento della sua invalidità.

Nonostante la premessa della censura sia corretta, perchè il giudice regionale – se in quella sede investito della questione – avrebbe dovuto vagliare le doglianze mosse dal contribuente avverso i vizi della procedura di notificazione degli avvisi di accertamento, tuttavia nel merito essa è errata e la statuizione della sentenza, nel riconoscere la regolarità delle notificazioni contestate, è comunque conforme al diritto.

Va premesso che le notificazioni degli avvisi di accertamento, prodromici alla cartella impugnata, furono eseguite a mezzo del servizio postale, ai sensi della L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 14, come pacificamente riconosciuto dal ricorrente nelle sue difese, e, in assenza del destinatario, sul piano formale si compirono ai sensi dell’art. 140 c.p.c..

A tal fine, afferma il ricorrente, andavano osservate le prescrizioni dettate dal D.P.R. 29 maggio 1982, n. 655, che invece non furono rispettate. In particolare, riproducendo in ricorso le fotocopie della documentazione relativa alla comunicazione della notizia di avvenuto deposito (presso la Casa comunale) dell’atto spedito al destinatario assente, il L. lamenta che tanto con riguardo all’atto impositivo relativo all’anno d’imposta 1996, quanto a quello relativo al 1997, mancherebbero i requisiti della regolare esecuzione dell’attività di recapito dell’avviso di notifica e deposito delle raccomandate.

Questa Corte in materia di notificazione delle cartelle di pagamento, ma con principio applicabile più in generale alle notificazioni degli atti impositivi, ha affermato che per il loro perfezionamento, quando anche eseguite direttamente da parte del Concessionario mediante raccomandata con avviso di ricevimento – secondo quanto previsto del D.M. 9 aprile 2001, artt. 32 e 39 -, è sufficiente che la spedizione postale sia avvenuta con consegna del plico al domicilio del destinatario, senz’altro adempimento ad opera dell’ufficiale postale se non quello di curare che la persona da lui individuata come legittimata alla ricezione apponga la sua firma sul registro di consegna della corrispondenza, oltre che sull’avviso di ricevimento da restituire al mittente; peraltro, anche quando manchino nell’avviso di ricevimento le generalità della persona cui l’atto è stato consegnato, adempimento non previsto da alcuna norma, e la relativa sottoscrizione sia addotta come inintelligibile, l’atto è pur tuttavia valido, poichè la relazione tra la persona cui esso è destinato e quella cui è stato consegnato costituisce oggetto di un preliminare accertamento di competenza dell’ufficiale postale, assistito dall’efficacia probatoria di cui all’art. 2700 c.c., ed eventualmente solo in tal modo impugnabile, stante la natura di atto pubblico dell’avviso di ricevimento della raccomandata (Cass., 27/05/2011, n. 11708; 21/02/2018, n. 4275). Nel caso di specie per entrambe le ipotesi risulta che la cartolina di avviso riporta la sottoscrizione nella parte relativa alla firma del ricevente, e al lato risulta un timbro, portante la data “*****”, laddove non è dato comprendere se manchi la firma dell’incaricato, atteso che essa doveva essere apposta nella parte sottostante quella fotocopiata. Di contro risultano allegate anche le relate di notifica, queste sottoscritte dal messo speciale dell’Agenzia delle entrate, in cui si attesta il deposito della raccomandata presso la casa comunale e l’invio della notizia al destinatario dell’atto a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, portante il numero di raccomandata corrispondente alla cartolina sottoscritta dal destinatario.

Dunque, anche esaminando il merito del motivo, esso risulta infondato e in conclusione va rigettato.

Trova invece accoglimento il secondo motivo, con il quale ci si duole della nullità della decisione per omessa pronuncia sulla eccepita decadenza dell’Ufficio dal potere accertativo, relativamente all’anno d’imposta 1996, nei confronti della società, con conseguente nullità degli atti impositivi notificati al socio. Con il motivo d’appello riprodotto peraltro in ricorso – il contribuente aveva sostenuto che, se anche regolari le notifiche degli avvisi di accertamento, esse, eseguite ai sensi dell’art. 140 c.p.c., si sarebbero compiute il 6 gennaio 2003, con l’effetto che l’atto impositivo relativo all’anno d’imposta 1996 avrebbe raggiunto il L. quando ormai decaduta l’Agenzia delle entrate dal potere accertativo.

La sentenza del giudice regionale non risulta che abbia dato risposta a questa censura, così omettendo di pronunciarsi ed in tal modo incorrendo in un error in procedendo.

Il ricorso dunque trova accoglimento in riferimento al secondo motivo, che denuncia la nullità della sentenza per omessa pronuncia. La sentenza va pertanto cassata nei termini di cui in motivazione e il processo va rinviato alla Commissione tributaria regionale del Lazio, che in diversa composizione provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il secondo motivo, rigetta il primo. Cassa la sentenza e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio in diversa composizione, cui demanda anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2021

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