LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANZON Enrico – Presidente –
Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –
Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –
Dott. ANTENAZZA Fabio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15199/2015 R.G. proposto da:
V.C. (C.F.: *****), nato a Como il *****, rappresentato e difeso dall’Avv. Adolfo Laviani presso il quale elegge domicilio (Con studio in Milano, via Olmetto n. 3);
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, domicilia;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale per la Lombardia n. 7027/24/2014, pronunciata il 9 dicembre 2014 e depositata il 18 dicembre 2014;
udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 27 gennaio 2021 dal Consigliere Dott. Antezza Fabio.
FATTI DI CAUSA
1. V.C., ricorre, con quattro motivi, per la cassazione della sentenza, indicata in epigrafe, di rigetto dell’appello stesso proposto avverso la sentenza n. 410/09/2013 emessa dalla CTP di Milano.
2. Circa i fatti di causa, per quanto ancora rileva in questa sede, dalla sentenza impugnata e dagli atti di parte emerge che il contribuente propose istanza di accertamento con adesione, del D.Lgs. n. 218 del 1997, ex art. 6, con riferimento agli avvisi di accertamento (in materia di imposte dirette) per gli anni 2006 e 2007, ricevendo l’invito dell’Amministrazione per la detta definizione, ai sensi del detto D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 6, comma 4 solo con riferimento all’annualità 2006.
In ragione del mancato perfezionamento della procedura di cui innanzi, il contribuente propose “istanza di autotutela” con riferimento all’annualità 2007, ritenendo violato il principio del contraddittorio endoprocedimentale per non aver ricevuto l’invito dell’Ufficio con riferimento al relativo avviso, e successivamente impugnò il silenzio-rifiuto in merito alla detta istanza, l’avviso di accertamento per il 2006 e la cartella di pagamento consequenziale ai due avvisi di accertamento.
3. La CTP rigettò i ricorsi, previamente riuniti, ritenendo in particolare fondata la ripresa a tassazione con riferimento al 2006 oltre che insussistente un silenzio-rifiuto autonomamente impugnabile circa l’annualità 2007, per l’assenza in capo all’Amministrazione finanziaria dell’obbligo di invitare il contribuente a comparire del D.Lgs. n. 218 del 1997, ex art. 6, comma 4, la cui istanza di accertamento con adesione sortì solo gli effetti di attivare la sospensione del termine per impugnare il relativo avviso di accertamento (nella specie mai impugnato).
4. La CTR, con la sentenza oggetto di attuale impugnazione, rigettò l’appello del contribuente confermando in toto la statuizione della CTP, anche in merito agli accertamenti di fatto.
5. Come detto, avverso la sentenza d’appello V.C. ricorre, con quattro motivi, e l’Agenzia delle Entrate (“A.E.”) si difende con controricorso (prospettando anche profili di inammissibilità dei singoli motivi).
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso non merita accoglimento.
2. I primi due motivi di ricorso (indicati, rispettivamente, con la lettera “A” e “B”) sono suscettibili di trattazione congiunta, in ragione della connessione delle questioni inerenti i relativi oggetti.
2.1 Con il primo motivo di ricorso, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si deduce la “nullità della sentenza impugnata… per violazione o falsa applicazione delle disposizioni di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, nonchè delle disposizioni di cui al D.P.R. n. 917 del 1986”.
Al di là dei riferimenti normativi di cui alla relativa rubrica, con la doglianza in esame si censura la sentenza impugnata per aver la CTR (al pari della CTP) ritenuto provata la maggiore capacità contributiva in ragione di accertati elementi di maggiore capacità contributiva (autovettura-abitazioni-assicurazioni ed investimenti) senza però “esaminare le prove” fornite dal contribuente.
Con il secondo motivo si deduce la “nullità della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 del per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”. In particolare, prosegue il ricorrente, La motivazione della sentenza sarebbe insufficiente e contraddittoria in quanto la CTR avrebbe dovuto motivare le ragioni dell’irrilevanza della documentazione agli atti ed approfondire maggiormente i fatti di causa senza limitarsi ad una scarna elencazione di poche circostanze poste a fondamento della decisione.
2.2. I motivi in esame sono inammissibili per plurimi profili.
Entrambe le doglianze, al di là della mera indicazione numerica delle norme che si assumerebbero violate o falsamente applicate, si sostanziano difatti in mere riproposizioni delle proprie valutazioni di fatto, anche di natura probatoria, che, inammissibilmente, il ricorrente vorrebbe in questa sede sostituire a quelle del Giudice di merito. Il tentativo di cui innanzi, peraltro, si fonderebbe su documentazione il cui contenuto non è trascritto (neanche indirettamente) nel ricorso, con conseguente difetto di specificità, in termini di autosufficienza (per l’inammissibilità dovuta a difetto di specificità del motivo di ricorso, in termini di autosufficienza, si vedano altresì, ex plurimis, limitando i riferimenti solo a talune decisioni più recenti, oltre a Cass. sez. U, 27/12/2019, n. 34469, e Cass. sez. U, 19/04/2016, n. 7701: Cass. sez. 6-3, 23/02/2021, n. 4766; Cass. sez. 5, 30/09/2020, n. 20858, in motivazione; Cass. sez. 3, 27/05/2019, n. 14357, in motivazione; Cass. sez. 6-3, 24/05/2019, n. 14161, in motivazione; Cass. sez. 5, 13/11/2018, n. 29092, Rv. 651277-01; Cass. sez. 6-1, 27/07/2017, n. 18679, Rv. 645334-01; Cass. sez. 5, 12/04/2017, n. 9499, Rv. 643920-01, in motivazione; Cass. sez. 5, 15/07/2015, n. 14784, Rv. 636120-01; Cass. sez. 3, 09/04/2013, n. 8569, Rv. 625839-01, oltre che Cass. sez. 3, 03/07/2009, n. 15628, Rv. 609583-01).
Con il secondo motivo si prospettano altresì censure motivazionali, nei termini innanzi sintetizzati, non più deducibili in ragione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione, ratione tempris applicabile, successiva alla sua sostituzione ad opera del D.L. n. 83 del 2012, ed in un contesto processuale di merito caratterizzato dalla c.d. “doppia conforme” (come innanzi evidenziato nell’esposizione dei fatti di causa) che rende inammissibili doglianze articolate con riferimento al citato n. 5, ex art. 348 ter c.p.c. (ex plurimis, per l’operatività del detto principio anche con riferimento al ricorso per cassazione avverso sentenze della Commissione tributaria regionale, Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053, Rv. 629829-01; Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053, Rv. 629832-01).
3. Con il terzo motivo (indicato con la lettera “C”) si deduce la “nullità della sentenza per violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 1, per aver negato sia la giurisdizione delle Commissioni tributarie in materia di auto-tutela, con il rifiuto ad accogliere la lagnanza prodotta, sia per aver negato la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 10, oltre al vizio di inapplicabilità del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14, comma 1”.
3.1. La doglianza è infondata oltre che inammissibile per non aver colto la reale ratio decidendi, non avendo difatti la CTR negato la giurisdizione tributaria ma fondato la decisione sull’assenza in capo all’A.E. dell’obbligo di invitare il contribuente che abbia fatto istanza di accertamento con adesione del D.Lgs. n. 218 del 1997, ex art. 6 (per il detto profilo di inammissibilità inerente la ratio decidendi si vedano, ex plurimis, tra le più recenti: Cass. Sez. U, 15/09/2020, n. 19169, Rv. 658633-01, in motivazione; Cass. sez. 6-3, 15/10/2019, n. 26052, in motivazione; Cass. sez. 3, 15/10/2019, n. 25933, in motivazione, entrambe nel senso della considerazione della relativa censura alla stregua di un “non motivo”, inammissibile ex art. 366 c.p.c., n. 4; Cass. sez. 3, 11/12/2018, n. 31946, in motivazione; Cass. sez. 5, 07/11/2018, nn. 28398 e 28391; Cass. sez. 1, 10/04/2018, n. 8755; Cass. sez. 6-5, 07/09/2017, n. 20910, Rv. 645744-01, per la quale la proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al decisum della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 c.p.c., n. 4, con conseguente inammissibilità del ricorso, rilevabile anche d’ufficio; Cass. sez. 4, 22/11/2010, n. 23635, Rv. 615017-01).
Statuendo nei termini di cui innanzi, comunque, la CTR fa applicazione di principi già sanciti e ribaditi da questa Corte sia in tema di accertamento con adesione sia in merito al diniego di autotutela (proprio nei rapporti con la detta tipologia di accertamento).
Sotto il primo profilo, difatti, la presentazione di istanza di definizione da parte del contribuente, ai sensi del D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 6, non comporta l’inefficacia dell’avviso di accertamento, ma solo la sospensione del termine di impugnazione per un periodo di novanta giorni, decorsi i quali, senza che sia stata perfezionata la definizione consensuale, l’accertamento diviene comunque definitivo, in assenza di impugnazione, anche se sia mancata la convocazione del contribuente, che costituisce per l’Ufficio non un obbligo ma una facoltà, da esercitare in relazione ad una valutazione discrezionale del carattere di decisività degli elementi posti a base dell’Accertamento e dell’opportunità di evitare la contestazione giudiziaria (ex plurimis, tra le più recenti, Cass. sez. 5, 03/12/2019, n. 31472, Rv. 656009-01).
Circa il secondo dei due profili in considerazione, infine, è appena il caso di evidenziare che nella specie il contribuente, tanto con il ricorso per cassazione quanto in sede di merito, lamenta la pretesa illegittimità del diniego di autotutela senza neanche illustrare quali siano le ragioni di interesse generale che avrebbero dovuto giustificare l’adozione del provvedimento domandato.
Quanto innanzi rileva in perchè l’annullamento in autotutela dell’atto impositivo, divenuto definitivo in conseguenza della sua mancata impugnazione da parte del contribuente, è atto discrezionale dell’Amministrazione finanziaria, come ripetutamente confermato da questa Corte. Nel processo tributario, il sindacato sull’atto di diniego dell’Amministrazione di procedere ad annullamento del provvedimento impositivo in sede di autotutela può difatti riguardare soltanto eventuali profili di illegittimità del rifiuto, in relazione a ragioni di rilevante interesse generale tali da giustificare l’esercizio di tale potere; esso, difatti, come affermato anche da Corte Cost. n. 181 del 2017, si fonda su valutazioni ampiamente discrezionali e non costituisce uno strumento di tutela dei diritti individuali del contribuente (ex plurimis: Cass. sez. 5, 25/09/2020, n. 20200, Rv. 658933-02, in motivazione; Cass. sez. 5, 24/08/2018, n. 21146, Rv. 650057-01; per i presupposti di ricorribilità del diniego di autotutela si vedano altresì diffusamente Cass. sez. 5, 21/01/2019, n. 1785, in motivazione, oltre che la richiamata Cass. Sez. U, 27/03/2007, n. 7388, Rv. 596024-01). Il sindacato del giudice tributario sul provvedimento di diniego dell’annullamento dell’atto tributario divenuto definitivo è quindi consentito nei limiti dell’accertamento della ricorrenza di ragioni di rilevante interesse generale dell’Amministrazione finanziaria alla rimozione dell’atto, originarie o sopravvenute (cfr., Cass. sez. 5, 26/9/2019, n. 24033, per la quale, dunque, deve escludersi che possa essere accolta l’impugnazione dell’atto di diniego proposta dal contribuente il quale contesti vizi dell’atto impositivo che avrebbe potuto far valere, per tutelare i propri interessi, in sede di impugnazione dell’atto, prima che divenisse definitivo).
4. Con il quarto motivo (indicato con la lettera “D”) si deduce “violazione della norma ex art. 360 c.p.c., n. 3 per la violazione e falsa applicazione di norme di diritto”. Per il ricorrente, in particolare, “a seguito di quanto esposto dalla Corte costituzionale con sentenza n. 37/2015 relativamente ai dirigenti di Agenzia delle Entrate nominati, senza concorso, va rilevato che gli accertamenti per cui è causa, furono sottoscritti dal Dott. R.A., primo della qualifica dirigenziale e come tale incompetente all’accertamento”.
4.1. Il motivo in esame è inammissibile per novità, non avendo il relativo profilo mai costituito oggetto del thema decidendum e la cui disamina richiederebbe accertamenti di fatto preclusi a questa Corte.
In tema di contenzioso tributario, è difatti inammissibile il motivo del ricorso per cassazione con cui si denunci un vizio dell’atto impugnato diverso da quelli originariamente allegati, censurando, altresì, l’omesso rilievo d’ufficio della nullità, atteso che nel giudizio tributario, in conseguenza della sua struttura impugnatoria, opera il principio generale di conversione dei motivi di nullità dell’atto tributario in motivi di gravame, sicchè l’invalidità non può essere rilevata di ufficio, nè può essere fatta valere per la prima volta in sede di legittimità.
In applicazione del principio di cui innanzi, al quale in questa sede si intende dare continuità, questa Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso con il quale era stata dedotta la nullità dei gradi di merito e delle relative pronunce per effetto della sentenza della Corte Cost. n. 37 del 2015, non essendo stata rilevata d’ufficio la nullità degli atti impositivi per carenza di potere del sottoscrittore (Cass. sez. 5, 23/09/2020, n. 19929, Rv. 659043-01; Cass. sez. 5., 09/11/2015, n. 22810, Rv. 637348-01).
Sicchè, nella specie, a nulla rileva in senso contrario, diversamente da quanto prospettato dal ricorrente, l’indicato successivo intervento della Consulta (Corte Cost. n. 37 del 2015), essendo la questione in esame non sub iudice in quanto mai prospettata del contribuente.
Il motivo di ricorso, peraltro, è inammissibile anche per difetto di specificità (in termini di autosufficienza), non essendo trascritti (neanche in forma indiretta) gli atti introduttivi dei gradi di merito nelle parti rilevanti ai fini dell’apprezzabilità della doglianza, in particolare per la verifica dell’effettiva prospettazione, in quella sede, del detto profilo di illegittimità degli avvisi di accertamento.
5. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, relative al presente giudizio di legittimità, in favore della controricorrente che si liquidano, in considerazione dei parametri ratione temporis applicabili, in Euro 5.600,00, oltre alle spese prenotate a debito.
5.1. Stante il tenore della pronuncia, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (aggiunto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), deve darsi atto della sussistenza dei presupposti, processuali, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto (circa i limiti di detta attestazione, da riferirsi esclusivamente al presupposto processuale della tipologia di pronuncia adottata e non al presupposto sostanziale della debenza del contributo del cui raddoppio trattasi, si veda Cass. Sez. U, 20/02/20, n. 4315).
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità, in favore della controricorrente, che si liquidano in Euro 5.600,00, oltre alle spese prenotate a debito, dando atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti, processuali, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 27 gennaio 2021.
Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2021