Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.18479 del 30/06/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – rel. Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto proposto da:

C.F.F. rappresentato e difeso per procura a margine del ricorso dall’Avv. Pace Fabio;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12 preso gli Uffici dell’Avvocatura Generale di Stato dalla quale è

rappresentata e difesa;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza n. 77/15 della Commissione tributaria regionale della Lombardia, depositata il 14 gennaio 2015.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27 maggio 2021 dal relatore Cons. Crucitti Roberta.

RILEVATO

Che:

nella controversia originata dall’impugnazione da parte di C.F.F. di avviso di accertamento, emesso D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38, comma 4, e relativo a Irpef dell’anno di imposta 2006, la Commissione tributaria regionale della Lombardia, con la sentenza indicata in epigrafe, rigettando l’appello proposto dal contribuente, confermava la prima decisione di rigetto del ricorso introduttivo.

In particolare, la Commissione tributaria regionale rilevava che, con l’atto di appello, il contribuente aveva riproposto le stesse eccezioni già formulate in primo grado, integralmente esaminate dal primo giudice. Ribadiva che l’accertamento effettuato dall’Ufficio era legittimo, sussistendo tutti i presupposti di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4, per cui andavano condivise le conclusioni dei primi giudici.

Per la cassazione della sentenza il contribuente ha proposto ricorso su sette motivi cui resiste, con controricorso, l’Agenzia delle entrate.

Il ricorso è stato avviato, ai sensi dell’art. 380 bis-1 c.p.c. alla trattazione in camera di consiglio, in prossimità della quale il ricorrente ha depositato memoria.

CONSIDERATO

Che:

1. con il primo motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 112 c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53 e si denunzia la sentenza di nullità laddove la C.T.R. aveva ritenuto che i motivi di appello non si confrontassero con la motivazione della sentenza appellata.

1.1. La censura è inammissibile in quanto rivolta a un passo della sentenza impugnata privo di carattere decisorio atteso che la C.T.R., da tale argomentazione non ha fatto conseguire l’inammissibilità dell’appello che, al contrario, ha, invece, compiutamente esaminato nel merito, giungendo alla decisione di ritenerlo infondato, condividendo la decisione dei primi giudici.

2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame del fatto…consistente nell’illegittimità della sentenza appellata per avere confermato l’avviso di accertamento che non ha tenuto conto della provvista esente emersa in sede di contraddittorio procedimentale, e che non ha motivato con riguardo alla stessa. In particolare, nell’illustrazione del motivo, il ricorrente ha trascritto tre pagine dell’atto di appello, per poi concludere che la sentenza impugnata ha del tutto omesso di pronunciarsi sul punto.

2.1 La censura è, all’evidenza, inammissibile. Al ricorso è applicabile, essendo stata la sentenza impugnata depositata il 14 gennaio 2015, il nuovo disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite (cfr.Se.Un. 8053 del 7.04.2014) “introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie”.

Il mezzo di impugnazione, con il quale si ripropone, sostanzialmente, il contenuto dell’atto di appello, non possiede i requisiti richiesti, non indicando specificamente il fatto storico il cui esame sia stato omesso.

3 Con il terzo motivo di ricorso, si deduce la violazione o la falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 e art. 2967 c.c. e si censura la sentenza impugnata laddove la C.T.R. si era limitata, per quanto riguarda la prova della provvista fornita dal contribuente, a richiamarsi, per rigettare l’appello, genericamente alla documentazione in atti.

4.Con il quarto motivo si deduce la violazione delle stesse disposizioni di legge indicate nel terzo motivo per non avere la C.T.R. considerato la prova contraria, offerta dal contribuente, e, in particolare, la sussistenza di una provvista esente rispetto alle contestate spese gestionali.

5 Con il quinto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’illegittimità della sentenza per non avere esaminato il fatto, decisivo e controverso, consistente nell’illegittimità della sentenza appellata per avere confermato l’accertamento sintetico basato su indici presuntivi inidonei a rappresentare la reale capacità contributiva espressa dalla detenzione dei beni in questione e in presenza della prova contraria rispetto alle relative presunzioni sintetiche di spese gestionali.

6 Con il sesto motivo si deduce sempre la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 per non avere la C.T.R. ritenuto applicabile alla specie la versione più evoluta del redditometro.

7 Infine, con il settimo motivo, si deduce la violazione sempre del citato art. 38 laddove la C.T.R. aveva ritenuto legittimo l’accertamento, ritenendo che il reddito complessivo netto si discostava del 25% dal reddito imponibile dichiarato per almeno due annualità consecutive, mentre tale presupposto era venuto meno, in quanto per le due annualità successive i relativi giudizi erano stati dichiarati estinti per avere il contributo aderito alla definizione agevolata.

8 I motivi, attinenti tutti alla medesima questione, possono trattarsi congiuntamente e non meritano accoglimento, per essere inammissibili.

8.1. Nel merito della controversia, la C.T.R., con la sentenza impugnata, ha rigettato l’appello del contribuente avverso la prima decisione anche essa sfavorevole, ribadendo, sulla base della documentazione versata in atti, di dovere confermare la sentenza di primo grado. In particolare, il Giudice di appello ha, poi, osservato che il redditometro costituisce un criterio di determinazione sintetica del reddito complessivo netto delle persone fisiche, fondato su elementi indicativi di capacità contributiva. Nel caso di specie, l’Ufficio ha verificato la sussistenza delle condizioni di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4, ovvero, che il reddito complessivo netto accertabile si discostava per almeno il 25% dal reddito imponibile dichiarato, per almeno due annualità consecutive.

8.2. A fronte di tale modalità motivazionale, legittimamente effettuata dalla C.T.R. per relationem alla sentenza di primo grado, i motivi di ricorso con i quali si deduce violazione di legge (terzo, quarto, sesto e settimo) appaiono inammissibili in quanto generici e, d’altro canto, tesi, in realtà e nei termini in cui sono formulati, a investire il giudizio in fatto, attraverso una nuova disamina degli elementi di fatto forniti in giudizio e della loro valutazione da parte dei giudici di merito.

Va, infatti, da un canto, seguito l’orientamento consolidato di questa Corte (v. di recente, tra le altre, Cass.n. 4787/2020) secondo cui “in tema di ricorso per cassazione il motivo di impugnazione è rappresentato dall’enunciazione della o delle ragioni per le quali la decisione è erronea, con la conseguenza che l’esercizio di impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali per essere enunciate come tali debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere dovendosi, dunque il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo” e, dall’altro, ribadito il costante indirizzo di questa Corte, di recente confermato da Cass. n. 6960/2020 e da Cass.n. 8758/2020 secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operati dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito 8.3. Tali accertamenti in fatto, peraltro, non sono idoneamente contrastati con il ricorso non solo per le ragioni già svolte con riguardo al secondo motivo, ma, soprattutto, per l’inammissibilità del quinto motivo ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., vertendosi pacificamente in ipotesi di cd.”doppia conforme”.

9 In conclusione, per le considerazioni sin qui svolte, il ricorso va dichiarato inammissibile e il ricorrente, soccombente, condannato al pagamento, in favore dell’Agenzia delle entrate, delle spese processuali nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile.

Condanna il ricorrente alla refusione, in favore dell’Agenzia delle entrate, delle spese processuali liquidate in complessive Euro 2.300 (duemilatrecento), oltre alle spese prenotate a debito.

Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norna del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 27 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2021

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