Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.18577 del 30/06/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. GALATI Vincenzo – Consigliere –

Dott. CORRADINI Grazia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 21386/2014 R.G. proposto da:

V. e M. Srl, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’Avv. Marco Zelli, in virtù di procura speciale a margine del ricorso e presso lo stesso elettivamente domiciliata in Roma, nella via Filippo Nicolai n. 16/a;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici è domiciliata in Roma, nella via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio

– Sezione distaccata di Latina n. 933/39/2014 depositata il 13 febbraio 2014.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio dal Consigliere Grazia Corradini.

FATTI DI CAUSA

La Srl V. e M., esercente l’attività di ristorante e pizzeria, impugnò l’avviso di accertamento n. *****, emesso ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40, del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 19, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, con cui la Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di *****, previo contraddittorio, aveva determinato maggiori ricavi per Euro 81.272,00 relativi all’anno di imposta 2004, scaturiti della differenza tra i ricavi dichiarati ed il ricavo puntuale di cui all’applicazione degli studi di settore e quindi recuperato a tassazione maggiori imposte dirette, IRAP ed IVA ed accessori.

Con il ricorso la contribuente aveva dedotto l’illegittimità dello strumento operativo di cu al D.M. 30 settembre 1999, di approvazione dello specifico studio di settore, nonchè la mancanza di motivazione e la infondatezza nel merito dell’accertamento alla stregua della crisi del comparto di ristorazione.

La Commissione Tributaria Provinciale di Latina, con sentenza n. 553/1/2010, ritenne corretto l’accertamento, ma accolse in parte il ricorso con riguardo alla svantaggiata posizione dell’azienda, riducendo così i maggiori ricavi accertati del 30%.

Investita dall’appello della società contribuente – che lamentò la mancanza di una motivazione adeguata della sentenza impugnata sulla riduzione equitativa dei ricavi accertati, la invalidità dell’accertamento perchè basato solo sugli studi di settore e per mancanza di motivazione ai sensi dello statuto dei diritti del contribuente, art. 7, nonchè la inattendibilità dello studio di settore TG36U – la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, Sezione distaccata di Latina, con sentenza n. 933/39/2013, depositata il 13 febbraio 2014, rigettò l’appello, rilevando che il primo giudice aveva fatto corretta applicazione dei principi derivanti dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione a sezioni unite in ordine alla valutazione dei recuperi basati sullo studio di settore poichè aveva accertato le condizioni di applicabilità dello standard al caso concreto mentre il contribuente nessuna prova aveva offerto in merito alla presenza di elementi che giustificassero l’esclusione dall’area dei soggetti cui possono applicarsi gli standards o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo considerato. Sostenne poi che comunque l’accertamento non derivava in modo automatico dagli studi di settore bensì era basato e motivato sull’esame dei dati contabili e strutturali della società che avevano condotto ad evidenziare una situazione di continua perdita ed ulteriori elementi di conforto che avevano giustificato la evasione accertata, mentre la riduzione del 30% dei maggiori ricavi, da parte del giudice di primo grado, appariva condivisibile anche alla luce del rilievo che la stessa contribuente aveva dichiarato di esercitare l’attività pure nei giorni festivi.

Contro la sentenza di appello, non notificata, ha presentato ricorso per cassazione la società contribuente con atto notificato in data 9-10 settembre 2014, affidato a tre motivi, cui resiste con controricorso la Agenzia delle Entrate.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente lamenta omessa pronuncia sulle richieste proposte in sede di appello riguardo al mancato contraddittorio ed alla nullità dell’accertamento per violazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, comma 1, da parte dell’Agenzia delle Entrate poichè il contraddittorio era previsto nel caso di accertamento basato sugli studi di settore a pena di nullità e dalla lettura dell’accertamento non si comprendeva in quale modo la Agenzia avesse calcolato i maggiori ricavi.

2. Con il secondo motivo deduce assoluta ed insufficiente motivazione in ordine ai motivi di appello concernenti l’invalidità della valutazione equitativa dei maggiori ricavi, l’invalidità dell’accertamento perchè basato soltanto sulle risultanze degli studi di settore e l’inattendibilità dello studio di settore, considerato che la applicazione dello studio di settore non poteva essere automatica mentre era collegata ad una specifica indagine accertativa, non essendo sempre il conseguimento di una perdita sintomo di evasione.

3. Con il terzo motivo la ricorrente eccepisce, infine, l’invalidità della valutazione equitativa che aveva portato la CTP a ridurre i maggiori ricavi del 30%.

4. Con il controricorso la Agenzia delle Entrate ha opposto che in realtà l’accertamento impugnato nel presente giudizio, pur se scaturito dalla segnalazione di una situazione anomala evidenziata nelle liste selettive, con riguardo in particolare alle perdite dichiarate per più anni di imposta dalla società soggetta ad accertamento, si era poi basato su una indagine istruttoria anche con richiesta di documentazione alla parte ed era stato quindi emesso ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40, del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 19, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, con riferimento alla antieconomicità della condotta, alle anomalie del magazzino, al ricarico ed al valore aggiunto per addetto, mentre lo studio di settore era stato utilizzato come elemento di controllo per la rideterminazione del reddito, per cui i vizi dedotti con il ricorso non avevano attinenza con l’atto di accertamento la cui motivazione era completa e sorretta da un complesso apparato giustificativo.

5. Il ricorso è in effetti infondato in relazione a tutti i motivi addotti.

6. Con il primo motivo la ricorrente si limita, in realtà, ad evidenziare una pretesa “omessa pronuncia” sul mancato contraddittorio e sulla nullità dell’accertamento per omessa motivazione, senza indicare però lo specifico vizio dedotto e la specifica disposizione violata. Tuttavia, pur avendo il ricorso per cassazione ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, per cui deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, il ricorso in esame non appare nella specie inammissibile sotto tale profilo poichè a tal fine non appare necessaria l’adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con riguardo all’art. 112 c.p.c., purchè il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione (v. Sez. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013 Rv. 627268 – 01; successive conformi: Cass. Sez. 2 -, Ordinanza n. 10862 del 07/05/2018 Rv. 648018 – 01).

6.1. La detta pronuncia a sezioni unite peraltro aggiunge che il ricorso, pur se ammissibile anche senza la indicazione della specifica disposizione sotto cui va a collocarsi il vizio dedotto, diviene peraltro inammissibile allorchè il contenuto del gravame sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge. Sotto tale profilo è quindi inammissibile la seconda parte del primo motivo di ricorso laddove la contribuente sostiene, nel corpo del motivo, esclusivamente che l’accertamento sarebbe nullo, in violazione dello statuto dei diritti del contribuente, art. 7, poichè dalla sua lettura non si evincerebbe in che modo e su quali dati la Agenzia avrebbe calcolato i maggiori ricavi, senza però evidenziare neppure un difetto di pronuncia della sentenza di appello in relazione al motivo di gravame relativo alla carenza di motivazione dell’accertamento.

6.2. Dalla sentenza impugnata emerge, al contrario, con estrema chiarezza una risposta a tale motivo di appello poichè nella motivazione la sentenza ha riprodotto proprio il contenuto dell’accertamento, così dimostrando la esistenza di una articolata motivazione dell’atto impugnato sotto il duplice profilo della violazione degli standards desunti dallo specifico studio di settore, applicabile in concreto nel caso in esame, ma anche da altri numerosi elementi presuntivi che inficiavano la correttezza sostanziale della contabilità e dimostravano la ingiustificata antieconomicità della attività per più anni di seguito. E, di fronte a tale specifica risposta contenuta nella sentenza impugnata, il ricorso non si è confrontato con essa limitandosi a sostenere che dalla lettura dell’avviso di accertamento non sarebbe stato consentito comprendere come avrebbe operato la Agenzia delle Entrate, il che non appare all’evidenza sufficiente.

6.3. Quanto invece alla prima parte della censura, che riguarda la pretesa omessa pronuncia della sentenza impugnata sul mancato contraddittorio endoprocedimentale, il motivo è inammissibile poichè emerge dalla trascrizione dell’atto di appello (contenuta a pagine da 3 a 5 del ricorso) che la questione non ha costituito in precedenza oggetto dell’appello e non sono stati neppure trascritti i motivi iniziali del ricorso ai fini della autosufficienza, per cui il giudice di appello non doveva pronunciarsi su una questione non devoluta al suo esame. E se è vero che, nel processo tributario la sanzione di inammissibilità dell’appello per difetto di specificità dei motivi, prevista dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1, deve essere interpretata restrittivamente, in conformità all’art. 14 preleggi, trattandosi di disposizione eccezionale che limita l’accesso alla giustizia, dovendosi consentire, ogni qual volta nell’atto sia comunque espressa la volontà di contestare la decisione di primo grado, l’effettività del sindacato sul merito dell’impugnazione, peraltro la mancata indicazione dello specifico motivo del ricorso iniziale e la trascrizione dei motivi di appello che non indicavano tale censura dimostrano che su tale motivo, se anche in ipotesi dedotto specificamente nel primo grado, si era formato il giudicato interno.

6.4. Risulta in ogni caso dalla sentenza impugnata che il contraddittorio preventivo si era volto svolto (riga 3 di pagina 1) e nella motivazione della stessa si conferma incidentalmente che il contraddittorio aveva avuto corso anche se il suo esito non vincolava l’Ufficio e neppure con tale parte della motivazione della sentenza si è confrontata la ricorrente, il che rende inammissibile il motivo anche sotto tale ulteriore motivo. E’ infatti consolidato il principio per cui “Ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza (v., per tutte, Sez. 1 -, Sentenza n. 18641 del 27/07/2017 Rv. 645076 – 01; N. 389 del 2007 Rv. 595599 – 01, N. 13070 del 2007 Rv. 597598 – 01, N. 3386 del 2011 Rv. 615988 – 01, N. 2108 del 2012 Rv. 621882 – 01).

7. Il secondo motivo dedotto sotto il profilo del vizio di assoluta o insufficiente motivazione della sentenza di appello in relazione ai motivi A), B) e D) dell’atto di appello è inammissibile poichè, a tacere anche in tal caso la mancata indicazione del vizio dedotto in relazione alla disposizione in ipotesi violata, si scontra con l’indirizzo di questa Corte (Cass. n. 21152/14), secondo cui tale disposizione, già nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, prevede l'”omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione”, come riferita ad “un fatto controverso e decisivo per il giudizio” ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate. La censura si s’infrange ora anche contro il principio di diritto, applicabile ratione temporis (all’impugnazione della sentenza, depositata il 13.2.2014, si applica il testo novellato ancora nel 2012 dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), secondo il quale la riformulazione di questa norma dev’essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053 e 8054 nonchè, tra varie, ord. 9 giugno 2014, n. 12928 e sez.un. 19881 del 2014).

7.1. Nel caso in esame, comunque, il giudice d’appello ha motivato, non solo con richiamo alla sentenza di primo grado ma anche con motivazione autonoma sia con riguardo alla valutazione della riduzione dei ricavi che con riferimento ai plurimi e concordanti elementi indiziari, diversi dagli studi di settore, su cui aveva fondato l’accertamento, il che rendeva poi irrilevante la questione della attendibilità o meno degli studi di settore.

7.2 Il motivo si traduce quindi nella denuncia di erronea o insufficiente motivazione, inibita dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

8. Il terzo motivo è infine palesemente inammissibile poichè non indica quale sarebbe il vizio dedotto, limitandosi ad eccepire la invalidità della “valutazione equitativa” con riguardo ad una motivazione carente in merito agli elementi che avrebbero provato un maggior reddito in capo al contribuente, senza neppure menzionare la disposizione che si pretende violata e facendo comunque riferimento a carenze argomentative che hanno già formato oggetto del secondo motivo di ricorso.

8.1. Non si tratterebbe in ogni caso di equità sostitutiva, come assume il ricorrente, bensì di una valutazione estimativa in merito all’ammontare dei tributi evasi, per cui la valutazione del giudice tributario, in quanto frutto di un giudizio estimativo, non è riconducibile ad una decisione della causa secondo la cosiddetta equità sostitutiva, che, consentita nei soli casi previsti dalla legge, attiene al piano delle regole sostanziali utilizzabili in funzione della pronuncia ed attribuisce al giudice il potere di prescindere nella fattispecie dal diritto positivo. In relazione ad essa non è, pertanto, ipotizzabile la violazione dell’art. 113 c.p.c., comma 2, e, rientrando il suddetto apprezzamento nei generali poteri conferiti al giudice dagli artt. 115 e 116 c.p.c., la relativa pronuncia, rimessa alla sua prudente discrezionalità, è suscettibile di controllo, in sede di legittimità, soltanto sotto il profilo della carenza od inadeguatezza della corrispondente motivazione (v., per tutte, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 24520 del 21/11/2005 Rv. 585565 – 01 e successive conformi; da ultimo Sez. 5 -, Ordinanza n. 12021 del 19/06/2020 Rv. 657933 – 01).

9. In conclusione, il ricorso deve rigettato con condanna della ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità. Poichè il procedimento di impugnazione è iniziato dopo il trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della L. n. 228 del 2012, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità, in favore della controricorrente, che si liquidano in complessivi Euro 4.100,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Quinta Sezione Civile, il 10 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472