LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 21272/2017 proposto da:
C.C.I., elettivamente domiciliata in Roma, Via Calabria n. 56, presso lo studio dell’avvocato Bonarrigo Giovanni, rappresentata e difesa dall’avvocato Gazzara Antonino, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
R.E.F., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Arena Letterio, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso l’ordinanza della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 29/03/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/02/2021 dal cons. ACIERNO MARIA.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
La corte d’Appello di Messina, in riforma della pronuncia del Tribunale, nel procedimento L. n. 898 del 1970, ex art. 9, promosso da R.E. nei confronti dell’ex coniuge C.C.I., ha revocato l’assegno di divorzio disposto in favore della ex moglie con decorrenza dalla domanda (16/17 luglio 2015).
A sostegno della decisione ha affermato:
risulta documentalmente provato che la situazione patrimoniale ed economica della C.C. avesse subito un rilevante miglioramento rispetto a quella valutata dalla Corte d’Appello nella sentenza n. 516 del 2009, passata in giudicato con la quale era stato disposto l’assegno di divorzio in suo fare per l’importo di Euro 1.500 mensili. La stessa ha ricevuto dalle figlie in donazione la nuda proprietà di due appartamenti ed un garage; ha ricevuto dallo zio un’eredità, come risulta da atto di divisione del 29/5/2014, pari a liquidi in Euro 436.842, 70 oltre alla metà indivisa di un fabbricato del valore di Euro 55.000. Ne consegue che, pur detraendo le spese che la stessa ha allegato di aver sostenuto (140.000 Euro) rimane un importo considerevole, cui va aggiunta la proprietà indivisa. Il lascito ereditario è sostanzialmente pari all’ammontare dell’assegno conteggiato per un periodo superiore a 20 anni e tale profilo temporale correlato all’età delle parti (ultra settantenni entrambi) è d’indubbio rilievo. L’incidenza economica e reddituale è indiscussa. Al contrario i fatti allegati dalla reclamata come sopravvenuti e migliorativi della situazione economica dell’ex marito non sono nuovi e consistono in mere modifiche della composizione del patrimonio del R. in quanto riguardanti nuovi immobili acquistati in favore dell’attuale moglie.
Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione C.C.I. accompagnato da memoria. Ha resistito con controricorso l’ex marito.
Nel primo motivo viene dedotta la violazione della L. n. 898 del 1970, art. 9, nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo in relazione al non aver accertato la persistente sperequazione economico-patrimoniale tra le parti in particolare in relazione alla donazione della nuda proprietà dei due immobili rimasti in usufrutto alle figlie relativa a due immobili di cui il R. rivendica giudiziariamente la proprietà.
La censura non supera il vaglio di ammissibilità perchè sostanzialmente rivolta ad una valutazione alternativa del compendio patrimoniale delle parti, accertato con giudizio di fatto insindacabile dalla Corte d’Appello, anche in relazione agli immobili oggetto di donazione della nuda proprietà, dal momento che la “proprietà giudiziaria” degli stessi, secondo la qualificazione di parte ricorrente, indica soltanto che si tratti di diritti rivendicati in sede giudiziale ma ancora sub iudice, laddove il trasferimento mediante donazione della nuda proprietà degli stessi, risulta per tabulas.
Nel secondo motivo le medesime censure vengono prospettate in relazione ad alcuni atti di disposizione (donazione di denaro volti all’acquisto di immobili) fatti dl R. in favore della attuale moglie e di alcune cessioni immobiliari, relative all’eredità ricevuta, che la ricorrente si è trovata costretta a fare per fronteggiare le difficoltà economiche delle figlie.
La censura non supera il vaglio di ammissibilità perchè volta come la precedente a fornire una valutazione della situazione economico patrimoniale della ricorrente alternativa a quella svolta insindacabilmente dal giudice del merito. Al riguardo vi è da precisare che il giudizio di revisione ex art. 9 ha ad oggetto l’accertamento dell’esistenza delle circostanze sopravvenute poste a fondamento della domanda, mentre non possono entrare nel giudizio elementi di fatto preesistenti, già valutati nel giudizio passato in giudicato. Ne consegue che, ferma la comparazione svolta nel procedimento di divorzio chiuso con sentenza del 2009 passata in giudicato, per ridurre l’impatto delle circostanze sopravvenute, non possono essere posti in comparazione fatti preesistenti quali nella specie le donazioni effettuate dal resistente nel 2006 (pag. 10 ricorso). Gli altri atti dispositivi indicati nella censura sono stati, invece, affrontati nel provvedimento impugnato con valutazione insindacabilmente alternativa a quella prospettata inammissibilmente nella censura stessa. Infine, la disponibilità della ricorrente al sostegno economico delle figlie, verosimilmente quando queste erano già in età adulta, senza specificare se si trattasse all’epoca di figlie non autosufficienti, è del tutto irrilevante, costituendo una scelta volontaria della ricorrente.
Il terzo motivo, che si limita a censurare la valutazione dell’incidenza dell’importo ricevuto a titolo ereditario dalla ricorrente, sul suo complessivo asse economico reddituale, con proiezione prognostica rivolta anche all’aspettativa di vita, è del tutto inammissibile perchè non censura una ratio decidendi, ma una delle argomentazioni svolte a sostegno della ratio (rilevanza dell’incremento sul diritto all’assegno).
Nel quarto motivo vengono svolte censure sostanzialmente ripetitive di quelle contenute nel primo motivo in quanto volte a rivedere integralmente il giudizio comparativo sulla condizione economico patrimoniale delle parti secondo indici relativi a fatti in larga parte anteriori al 2009 e per il resto considerati dalla Corte d’Appello e già affrontati nell’esame dei motivi precedenti.
Nel quinto motivo viene dedotta la violazione dei principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in relazione all’incidenza degli incrementi di natura ereditaria sulle condizioni economico-patrimoniali valutabili ai fini dell’attribuzione e determinazione dell’assegno di divorzio.
La censura è manifestamente infondata in quanto si riferisce ad orientamenti giurisprudenziali non più attuali in quanto centrati sulla individuazione quale criterio attributivo dell’assegno di divorzio del cd. “tenore di vita” goduto durante la vita matrimoniale. Alla luce di quel criterio si dava peculiare rilievo alle modifiche economico patrimoniali che fossero riconducibili eziologicamente alla condizione e capacità reddituale vissuta durante il matrimonio. Deve rilevarsi, tuttavia, che, alla luce del nuovo orientamento in tema di assegno di divorzio elaborato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza 18287 del 2018, lo squilibrio economico patrimoniale costituisce la precondizione necessaria per l’accertamento del diritto potendo trovare applicazione il criterio perequativo-compensativo, e quando rileva, da solo o unitamente agli altri, quello assistenziale soltanto se tale squilibrio persista nel tempo. Ove la fotografia della situazione economico-patrimoniale comparativa riferita agli ex coniugi muti per un’attribuzione patrimoniale che il giudice del merito, senza automatismi, accerti, in concreto, come rilevante in favore dell’avente diritto, il novum può essere posto a base di una domanda di revisione. L’operatività della circostanza sopravvenuta sarà oggetto della concreta valutazione del giudice del merito che ne verificherà l’effettiva incidenza sulle condizioni economico-patrimoniali dell’avente diritto all’assegno, l’idoneità ad equilibrare totalmente o parzialmente il dislivello pregresso, ben potendo l’assegno essere ridotto e non eliminato, ed infine le caratteristiche stabili o transeunti dell’accrescimento dedotto ed allegato. La giurisprudenza citata nella censura, infine, si riferisce all’incidenza di accrescimenti economico patrimoniali sopravvenuti nella sfera dell’obbligato e non dell’avente diritto all’assegno così da non essere neanche marginalmente utilizzabile nella fattispecie. Al contrario, deve rilevarsi che anche la giurisprudenza di legittimità che nel primo decennio del 2000 si è occupata della domanda di revisione dettata dall’incremento migliorativo della situazione del beneficiario dell’assegno di divorzio, ha sottolineato che l’allegazione di tali fatti deve essere oggetto di una valutazione concreta escludendo soltanto l’effetto estintivo automatico del diritto all’assegno, (Cass. 18367 del 2006).
Nel sesto motivo viene dedotto che il giudice del merito si è limitato a registrare l’incremento economico patrimoniale senza verificarne la capacità effettiva di mutare l’assetto preesistente. La censura è inammissibile perchè formulata in modo astratto e generico, tenuto conto della natura degli incrementi allegati (ingente liquidità, valutata anche al netto del parziale impiego dedotto dalla ricorrente) di diretta fruibilità ed incidenza reddituale.
Nel settimo motivo viene dedotto l’omesso esame della circostanza della avvenuta addebitabilità della separazione all’ex coniuge. Il profilo dedotto è del tutto nuovo e, conseguentemente, inammissibile.
Nel settimo motivo viene censurata l’applicazione del principio della soccombenza in relazione alle spese processuali. La Corte ha correttamente applicato il principio contestato anche alla luce dell’esito del presente ricorso.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali da liquidarsi in Euro 4000 per compensi, E 200 per esborsi /oltre accessori di legge.
Sussistono i presupposti processuali per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
In caso di diffusione omettere le generalità.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 8 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2021