Il riconoscimento dell’assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equi-ordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno.
L'accertamento relativo all'inadeguatezza dei mezzi o all'incapacità di procurarseli per ragioni oggettive del coniuge richiedente deve essere espresso alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all'età dell'avente diritto.
All'assegno divorzile in favore dell'ex coniuge deve riconoscersi, oltre alla natura assistenziale, anche quella perequativo-compensativa, la quale discende, in modo diretto, dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge istante, non il conseguimento dell'autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, ma il raggiungimento, in concreto, di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate.
La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –
Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 24564/2017 proposto da:
N.O., elettivamente domiciliata in Roma, Via G.G. Belli n. 36, presso lo studio dell’avvocato Cesali Massimiliano, rappresentata e difesa dall’avvocato Garzia Ezio, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
S.M.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 370/2017 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 29/03/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 30/03/2021 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA;
lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CERONI Francesca, che chiede alla Corte di Cassazione, riunita in Camera di consiglio, di accogliere il ricorso.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’Appello di Lecce, con sentenza n. 370/2017, emessa in data 29.03.2017, ha rigettato l’appello proposto N.O. avverso la sentenza n. 4038/2015 con cui il Tribunale di Lecce aveva respinto la sua domanda finalizzata ad ottenere la corresponsione a suo favore di un assegno divorzile da parte di S.M..
Il giudice di secondo grado, dopo aver evidenziato la necessità di porre a confronto le rispettive potenzialità economiche dei coniugi, intese non solo come disponibilità attuali di beni ed introiti, ma anche come attitudini a procurarsene in grado ulteriore, ha ritenuto che l’appellante, odierna ricorrente, non avesse provato l’impossibilità oggettiva di procurarsi mezzi adeguati per conseguire un tenore di vita analogo a quello tenuto in costanza di matrimonio. Era, infatti, emersa dall’istruttoria della causa l’idoneità della sig.ra N. di provvedere al proprio sostentamento, conducendo la stessa in locazione un immobile (villetta unifamiliare) per cui corrispondeva un canone e disponendo di un’autovettura a sè intestata.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione N.O. affidandolo a tre motivi.
S.M. non ha svolto difese.
Il Procuratore Generale presso la Suprema Corte di Cassazione ha depositato requisitoria scritta.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, in relazione all’errata applicazione del criterio della durata del matrimonio, parametro indicato dalla ricorrente per la quantificazione, quantomeno in via equitativa, dell’assegno divorzile.
Espone la ricorrente di aver contratto matrimonio concordatario in data ***** con S.M., che già all’epoca era sottoufficiale dell’Aereonautica Militare, mentre la stessa era casalinga, e la separazione dei coniugi è intervenuta nel ***** dopo ventiquattro anni di matrimonio, nei quali la stessa è stata al servizio della famiglia e del marito, godendo di quel tenore che i guadagni di quest’ultimo (stipendio non inferiore ad Euro 1800-1900,00 mensili, tredicesima, quattordicesima e note indennità militari) le consentivano di avere.
Assume, altresì, la ricorrente che, nel predetto arco temporale, proprio per aver dedicato la sua vita alla famiglia (ha cresciuto due figlie) ed al marito, non ha potuto realizzare la propria personalità lavorativa. Ne consegue che l’assegno divorzile ha non solo la funzione di riequilibrare i rapporti ed il tenore di vita avuto in costanza di famiglia, ma anche la dignità della sua persona, la cui realizzazione è garantita dagli artt. 2 e 3 Cost..
Infine, la ricorrente evidenzia che quanto statuito dalla Corte d’Appello, oltre a contrastare con la documentazione fiscale in atti e con le stesse dichiarazioni dello S., determina un evidente squilibrio con la posizione del coniuge, non tenendo conto nè del reddito assai superiore di quest’ultimo nè della durata del matrimonio.
2. Il motivo è fondato.
Va preliminarmente osservato che la sentenza impugnata ha applicato quale criterio esclusivo di attribuzione dell’assegno divorzile quello dell’inadeguatezza dei mezzi o dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive.
Va, tuttavia, osservato che la giurisprudenza più recente di questa Corte ha stabilito che il riconoscimento dell’assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equi-ordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. In particolare, si impone una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente l’assegno divorzile alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonchè di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto. La natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, conduce, quindi, al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente, non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate. La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata, peraltro, alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi (Cass. Sez. U. n. 18287/2018,; Cass. n. 1882/2019; Cass. n. 21926/2019).
Nel caso di specie, emerge, come sopra evidenziato, dalla lettura della sentenza impugnata che, nella valutazione in ordine alla debenza o meno dell’assegno divorzile, i criteri equi-ordinati del contributo fornito dal richiedente l’assegno divorzile alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonchè di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto, non sono stati minimamente presi in considerazione dalla Corte d’Appello, che è, pertanto, incorsa nella violazione della norma censurata.
Dovrà, pertanto, applicarsi la nuova regola di giudizio inaugurata con la predetta sentenza delle Sezioni Unite n. 18287/2018, atteso che la Suprema Corte, ove i motivi del ricorso censurino – come nel caso di specie – la violazione o falsa applicazione di una norma diritto con riguardo alla quale sia intervenuto un mutamento della giurisprudenza di legittimità, deve giudicare sulla base del nuovo orientamento giurisprudenziale della stessa Corte, posto che il giudizio di cassazione ha ad oggetto non l’operato del giudizio di merito, la conformità della decisione adottata all’ordinamento giuridico (vedi Cass. 11178/2019, punto 3.3.3.).
Deve, inoltre, precisarsi, come di recente pure chiarito da questa Corte (la già citata Cass. n. 11178/2019), che la cassazione della pronuncia impugnata con rinvio per un vizio di violazione o falsa applicazione di legge che reimposti in virtù di un nuovo orientamento interpretativo i termini giuridici della controversia (così da richiedere l’accertamento di fatti, intesi in senso storico e normativo, non trattati dalle parti e non esaminati dal giudice del merito) impone, perchè si possa dispiegare effettivamente il diritto di difesa, che le parti siano rimesse nei poteri di allegazione e prova conseguenti alle esigenze istruttorie conseguenti al nuovo principio di diritto da applicare in sede di giudizio di rinvio.
3. Il secondo motivo ed il terzo motivo, con cui la ricorrente ha rispettivamente dedotto la violazione, da un lato, degli artt. 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c. e, dall’altro, la violazione dell’art. 366 c.p.c., sono assorbiti per effetto dell’accoglimento del primo motivo.
Deve, pertanto, essere cassata la sentenza impugnata limitatamente al primo motivo accolto con rinvio alla Corte di Appello di Lecce, in diversa composizione, per nuovo esame e per statuire sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, assorbiti il secondo ed il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, per nuovo esame e per la decisione sulle spese del giudizio di cassazione.
Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.
Così deciso in Roma, il 30 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2021